domenica 31 luglio 2022

Marlina, omicida in quattro atti - Mouly Surya

Mouly Surya gira un film di vendetta e speranza, le donne vincono, gli uomini sono quasi sempre gente di merda.

Marlina viene presa come ostaggio e rapinata di tutto, dai maschioni delinquenti del paese, ma poi i torti si pagano, non lo sapevano con chi avevano a che fare.

non è un film per maschilisti, questo è sicuro.

buona (resistente) visione - Ismaele



 

 

Una giustizia che, come nella migliore tradizione cinematografica delle storie di vendetta è fin troppo timida quando garantita dalle forze di polizia, mentre è efficace e catartica se conquistata con le proprie mani. La denuncia ufficiale di Marlina è rallentata dalla burocrazia e resa difficile dall’atteggiamento degli agenti uomini, che sembrano più interessati a sapere il numero esatto di assalitori piuttosto che mostrare solidarietà alla vittima, la quale tra l’altro non può dimostrare la violenza prima di essere visitata da un medico. La sua parola non conta nulla. È chiaro che la storia individuale di Marlina, se si considera l’attuale condizione sociale della donna nello Stato indonesiano, assume le forme di un importante grido di denuncia dall’ampio respiro. La regista trentasettenne Mouly Surya imposta dunque un film tutto incentrato sulla forza della sua protagonista, una figura forte e ostinata «ispirata dall’immagine delle donne che ho incontrato sull’isola di Sumba» ha raccontato la regista e che riassume in sé caratteri tradizionalmente virili. Da un punto di vista cinematografico, ecco allora giustificata l’attribuzione dell’etichetta di western per questo Marlina, omicida in quattro atti: virilità, sangue freddo e storie di vendetta sono elementi topici di questo genere, riformulati in questa pellicola al fine di far emergere un personaggio femminile forte, protagonista di una quotidiana sfida contro quella discriminazione tra sessi che è ancora molto sentita nel paese della regista. I suggestivi paesaggi dell’isola di Sumba fanno da scenario ad un racconto di sangue e violenza che dichiara attraverso le immagini i propri modelli cinematografici: Marlina procede a cavallo lungo strade deserte come gli anti-eroi solitari di Leone e Eastwood, mentre la testa mozzata non può non rievocare quella di Alfredo Garcia presente nel film di un altro grande regista di western, Sam Peckinpah. Se i riferimenti cinematografici si lasciano apprezzare per il modo in cui vengono trasposti,  il film manca forse del giusto ritmo, caratteristica che sembra in effetti non desumere dalla tradizione alla quale fa riferimento. La suddivisione in quattro atti (La rapina, Il viaggio, La confessione, Il parto) introduce una scansione narrativa tipica del racconto pulp, tra romanzo e fumetto, che qui perde di efficacia perché non supportato da un intreccio sufficientemente accattivante…

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…Per il suo racconto Mouly Surya sceglie canoni e situazioni tipicamente occidentali: i richiami a Tarantino, come detto, ma anche al cinema western sono chiarissimi; Marlina che gira a cavallo e con la immancabile spada forgiata a scimitarra ( la spada tipica che portano con sè gli uomini nei villaggi) portata a tracolla ricorda molto quelle eroine western e ancor più la Sposa di tarantiniana memoria che non si separava mai dalla sua katana.

Pensare però al lavoro della Surya come ad un semplice riferimento citazionista sarebbe errore grave: pur presentando infatti qualche momento che non convince al massimo, nel suo insieme la storia di Marlina mostra una forza notevole, grazie ad una figura di grande impatto che va incontro in pochi fotogrammi ad una trasformazione da umile femmina sottomessa a feroce giustiziera.

Seppur venato di momenti di violenza tutt'altro che banali, la pellicola ha però la sua leggerezza narrativa che trova non solo nel bel ritratto della protagonista il suo fulcro, ma anche nel personaggio della compagna di viaggio di Marlina; a questo si aggiunge una fotografia spettacolare in cui i toni caldi del giallo delle campagne arse , la polvere che offusca l'immagine e la luce naturale abbacinante costituiscono un palcoscenico naturale autentico e bellissimo.

La eccellente prova di Marsha Timothy nel ruolo dell'eroina del racconto è un ulteriore fattore che gioca in favore del film, interpretazione che è valsa all'attrice il premio come migliore attrice al Festival di Sitges nel 2017.

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Tout se passe sur l’île indonésienne de Sumba, autant dire pour nous, européens, le bout du monde et surtout un endroit où la culture traditionnelle ne peut que paraître surréaliste. Et le moins que l’on puisse dire, c’est qu’au niveau exotique et étrange, le spectateur de MARLINA, THE MURDERER IN FOUR ACTS est servi: le mari momifié, les hommes du voisinage qui viennent piller la ferme de la veuve et qui viennent également profiter (sans son consentement) de ses charmes!

Et ce n’est pas fini car Marlina n’est pas femme à se laisser faire et harcèlement et viol ne lui font pas peur. Sa réaction aussi violente qu’efficace ne sera que le prélude à une dénonciation des actes de ces hommes à la ville la plus proche.

Mélange de road movie, de “survival”, de film de revanche, MARLINA, THE MURDERER IN FOUR ACTS est un film entre conte et réalisme avec une mise en scène simple mais efficace. Si le film est lent, c’est plus pour suivre le rythme de vie indonésien de l’île de Sumba qu’un manque de rythme.

Les images somptueuses et la musique très “western” font de cette co-production franco-indo-thai-malaisienne un véritable petit bijou non seulement exotique mais aussi très révélateur de comment les femmes d’un pays majoritairement musulman savent prendre leur destin en main. Une leçon à méditer, sans aucun doute…

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Com uma promessa de estilização, bem característica em narrativas pensadas e organizadas em capítulos, “Marlina, Assassina em Quatro Atos” se mostra até mesmo contido neste aspecto. As decapitações estão bem distantes dos barris de sangue de um “Kill Bill” e a música instrumental excelente da dupla Yudhi Arfani e Zeke Khaseli tem como função apenas enfatizar a tensão em determinados enfrentamentos com o risco. Somente os toques de humor soam um tanto deslocados da proposta central.

É válida também o interesse da diretora Mouly Surya, que também coassina o roteiro, em levar para o centro uma personagem secundária, Novi (Dea Panendra). Grávida que demora a dar a luz, ela também é vista em um contexto de abuso, constantemente humilhada por um marido que a acusa de infidelidade com insultos. Duas amigas que, unidas, enfrentam com os recursos em mãos a sobrevivência em um território sem lei.

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