martedì 26 settembre 2023

Driver, l’imprendibile – George Roy Hill

un bravo autista (anche un po' autistico) è sul mercato per chi offre di più, purché sia affidabile.

attori in forma, un poliziotto che parla molto (con le sue teorie e sicuro di sé), un collega che lo affianca, un pilota quasi muto, una ragazza che sembra uscire da un altro film (è un complimento).

un film tutto di corsa, ma anche una partita a scacchi, un film da non perdere, promesso.

buona (automobilistica e misteriosa) visione - Ismaele


 

 

 

 

Purtroppo, al momento dell’uscita, The Driver è un fiasco commerciale che recupera a malapena il modesto budget di 4 milioni di dollari grazie quasi solo alla distribuzione internazionale. Nelle interviste, Hill è molto sportivo al riguardo (il successo strepitoso di I guerrieri della notte, di appena sei mesi dopo, aiuta a mettere le cose in prospettiva) mentre Gordon non ha dubbi: ad affossare il film è il suo cast, sgangherato e privo di nomi di richiamo.

Nel ruolo del protagonista si era pensato a Steve McQueen o a Charles Bronson. Il primo si farebbe detonare piuttosto che fare l’ennesimo film di macchine, il secondo si farebbe detonare piuttosto che lavorare di nuovo con Hill (ne parlavamo la settimana scorsa). Si ripiega così su Ryan O’Neal, che nonostante un passato da pugile nessuno riesce a concepire in un ruolo da duro: ha appena finito di fare Barry Lyndon con Kubrick, un drammone in costume di seicento ore ambientato durante la Guerra dei sette anni, ed è famoso soprattutto per Love Story e la commedia romantica What’s Up, Doc?. Recita, come si dice dalle loro parti, against type offrendo un’interpretazione fenomenale che nessuno capisce.

Isabelle Adjani, poco più che 20enne e appena lanciata da Truffaut con Adèle H. (che le frutta la sua prima nomination agli Oscar), è un nome più o meno calato dall’alto. Hill ha scritto la parte della Giocatrice con in mente Tuesday Weld (che poi finirà in una pellicola molto simile, Thief di Mann, nel 1981) ma chi mette i soldi, la EMI Films, vuole un’attrice europea come gancio per la distribuzione all’estero. Hill e Adjani si incontrano: lui pensa di aver fatto tombola perché un’attrice in quel momento popolarissima è disposta a lavorare con lui; lei si sente pressata ad accettare qualsiasi ruolo in una produzione americana perché deve fare “il salto”. Ma The Driver non porterà alcun beneficio alla carriera di Adjani negli Stati Uniti, né avrà tutto questo successo in Europa. Hill ricorderà la loro collaborazione con garbata indifferenza, ma, a rivederla adesso, anche l’interpretazione di Adjani è fantastica: misteriosa, affascinante, occhi che bucano lo schermo. È difficile immaginare chiunque altro al suo posto.

L’unico su cui nessuno ha da ridire, all’epoca come oggi, è Bruce Dern, che ha sempre dato il meglio in parti da viscido o da matto. Ma è un caratterista che non ha ancora mai ricoperto ruoli da protagonista in film importanti: è in grado di caricarsi sulle spalle un intero film (non che in The Driver ce ne sia bisogno) ma non è il motivo per cui la gente va a vedere un film…

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Lotta senza esclusione di colpi fra un autista che si mette al servizio di bande criminali senza però farne parte e un poliziotto che gli dà la caccia. Personaggi archetipici, senza storia e senza nome (nell’originale “Driver” significa semplicemente “guidatore”, diversamente da quanto lascia intendere il titolo italiano): Ryan O’Neal ha un ruolo melvilliano, di delinquente puntiglioso, impassibile e fedele alla propria morale; Bruce Dern è uno sbirro con la tendenza a filosofeggiare; Isabelle Adjani fa la sfinge. Un film asciutto, senza fronzoli, che fila liscio come l’olio. Le prolungate sequenze in auto (due inseguimenti, uno all’inizio e uno alla fine, più un’esibizione dimostrativa nel mezzo) sono una vera goduria. E alla fine, come vuole la tradizione, tutti gabbati: che poi è anche l’unico modo per far sì che non ci sia un vinto e un vincitore.

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Driver l’imprendibile è un film che vive di varie anime, mai però in conflitto, bensì in simbiosi fra loro, grazie a una regia solida e sicura, la regia di un autore che conosce bene il genere e dimostra di saper dirigere un noir coi fiocchi: da una parte, c’è la componente più spettacolare dei forsennati inseguimenti automobilistici; dall’altra, c’è invece l’elemento più squisitamente noir – cioè lo scavo nella psicologia dei protagonisti e la rappresentazione del milieu criminale – un elemento che è predominante nella narrazione ed è piacevolmente intercalato dalle sequenze d’azione; infine, c’è il fattore visivo, quello formato dalle imponenti scenografie naturali della città (predominanti rispetto agli interni) e dalla fotografia contrastata di Philip H. Lathrop, nel quale ancora una volta lo sguardo del regista si rivela lungimirante e anticipatore di un certo tipo di cinema del decennio successivo.

Come si è detto più volte, il cinema di Walter Hill risente spesso dell’influenza di Sam Peckinpah, colui che fu in un certo senso il suo ispiratore – e ricordiamo che Hill scrisse la sceneggiatura del crime Getaway! (1972), uno tra i più rappresentativi film di Bloody Sam. Questo, fin da I guerrieri della notte, che trabocca di scene al ralenti durante i combattimenti, e via via proseguendo fino a quell’action-western mai abbastanza celebrato che è Ricercati: ufficialmente morti. Eppure, in The Driver non sembra esservi traccia alcuna del cinema di Peckinpah. La storia, che potrebbe in parte richiamare quella di Getaway!, è in realtà agli antipodi rispetto al precedente lavoro scritto da Hill: la regia fugge da ogni suggestione legata all’heist-movie o alla messa in scena delle rapine, tant’è vero che le medesime sono riprese soltanto nei loro momenti iniziali o conclusivi, lasciando volutamente fuori il momento clou dell’azione dei rapinatori.

Di ralenti non ce n’è nemmeno uno, e anche i mirabolanti inseguimenti in auto, ricchi di soggettive, inversioni di marcia e car-crash, sono girati in modo asciutto, essenziale, proprio in virtù di quel coté realistico che il Nostro ha voluto imprimere a questo suo film, decisamente più un noir che un film d’azione. Un carattere secco ed essenziale che permea ogni istante del film, sostenuto da una sorta di struttura archetipica che conduce Hill addirittura a non chiamare i protagonisti per nome, ma solo con l’etichetta del ruolo che rivestono, come se The Driver volesse essere una sorta di prototipo del cinema noir…

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domenica 24 settembre 2023

Rollerball – Norman Jewison

l'avevo visto da ragazzino, un film che non ti dimentichi più, per la violenza, il messaggio e le musiche.

adesso non è come la prima volta, ma resta sempre un signor film.

il Sistema (un Grande Fratello che tutto controlla) usa questi atleti come valvola di sfogo per le pulsioni del popolo, qualcuno in alto decide cosa devono fare gli atleti, ma Johnatan non ci sta più, cosa succederà è un incognita, intanto il popolo è con lui.

buona (rollerball) visione - Ismaele

  

 

QUI il film completo, su Raiplay

 



Pellicola che aveva profondamente soggiogato la mia fantasia di ragazzo. La prova della "revisione" me l'ha restituita decisamente meno "tough", forte e "ricca" di quanto promettesse il ricordo. A venire a galla sono soprattutto i limiti di Jewison, regista del "vorrei ma perché devo?", spesso fermo alla superficie delle sue ambizioni liberal. Resta comunque un apologo forse striminzito ma efficace sulla perdita di centralità dell'individuo, cui lo script ellittico di Harrison alla fine giova. Caan centratissimo, ma restano impressi Houseman e Richardson.

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Ottimo film di fanta-politica, cult e capo-stipite di un genere per gli anni in cui uscì. La regia viene affidata ad un Maestro. E questo ne fa guadagnare in spettacolarità nelle immagini delle partite/scontri. La sceneggiatura a volte balbetta e qualche scena può risultare noiosa. Ma nel complesso, visti anche i mezzi a disposizione ad inizio anni 70, è sicuramente una pellicola più che riuscita. Buona prova di Caan e bravissimo Beck che, grazie alla sua perizia sui pattini, rinunciò alla controfigura per quasi tutto il film.

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Lo spunto viene da piuttosto lontano, dal romano "panem et circenses", nutrisci il popolo e dai a esso lo spettacolo, violento, anzi sanguinario, per dare uno sfogo controllato agli istinti più brutali che albergano nell'uomo. Non troppo fantascientifico in questo senso. Realizzato stupendamente, nelle riprese, nella fotografia, nei suoni e nella colonna sonora classica, come andava di moda allora. Interpretato ottimamente con un Caan credo al suo meglio e un notevole gruppo di stunt. Molto pulito e chiaro nei significati, direi universali.

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Il Grande Fratello vede tutto, sa tutto e pensa per noi. Per farci felici. In cambio chiede solo di non rompere le palle. Non chiede molto in fondo.

In un futuro orwelliano le guerre sono un ricordo, ma l'animale Uomo deve pur sfogare la violenza insita in lui. Ecco allora il Rollerball, gioco truculento e spettacolare. Jonathan ne è il grande campione, ma sta diventando troppo grande, piu grande del gioco stesso. E questo non deve accadere. Le Corporazioni non lo possono permettere. Così lo invitano a ritirarsi, per il suo bene. Ma lui non ne vuole sapere così cercano di farlo fuori in una partita ad hoc. Ma ahimè sarà l'unico superstite. E adesso per le Corporazioni saranno cazzi. Un ribelle pensante non era previsto; le masse potrebbero seguirlo.

Grande James Caan , malinconico e combattuto.

Grande colonna sonora classica Bach, Albinoni.

Grande film a sfondo sociopolitico.

Un cult.

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Rollerball è un capolavoro da massimo dei voti per il semplice motivo che è l'unico film che racconta in maniera plausibile uno sport del futuro.

Jewison ha dichiarato apertamente che il suo modello visivo è stato "Arancia Meccanica" e bisogna ammettere che il trasferello filmico gli è riuscito, si ha come l'impressione che le due storie accadano nello stesso universo, è quindi facile per lo spettatore immaginare che nella stanza di qualche drugo poteva stare tranquillamente appeso alla parete un poster di Johnatan E con la sua maglia numero 6 arancione, allo stesso tempo non è da escludere che in una delle ville isolate dei ricchi e viziati amici di Johnatan E sia stato eseguito il numero visita a sorpresa per mano di Alex e la sua banda di drughi.

La descrizione di una società futura in cui le corporazioni sono a capo di tutto è a mio avviso l'aspetto più marginale del film anche se in effetti ne rappresenta il cuore narrativo, rimangono più impresse certe abitudini sociali come le feste dell'alta società durante le quali ci si droga legalmente scambiandosi pillole come figurine e all'alba si da sfogo alla sete di violenza incendiando alberi con una pistola lanciafiamme, un mondo asettico dove tutto è registrato in un cervello elettronico centrale a mo di grande fratello ma soprattutto c'è il rollerball e la sua brutale realtà sportiva.

Il film si apre proprio sulla prima grande sfida fra la squadra del nostro eroe ovvero Houston e il Real Madrid che storicamente è più noto per il giuoco del calcio ma sembra essersi adeguato a questo sport globale che fonde le seguenti discipline: pattinaggio e motociclismo visto che le squadre si muovono su di una pista circolare e sono formate per tre quarti da pattinatori e con i numeri 1-2-3 da motociclisti addetti al traino e lo sfondamento, baseball e basketball dato che da un cannone laterale viene sparata una boccia d'acciaio poi raccolta da un ricevitore e consegnata ad un attaccante che ha il compito di infilarla in un canestro magnetico e segnare il punto, football americano da come le squadre sono equipaggiate con caschi robusti e guanti chiodati e infine tutti gli sport di contatto dalla box alla lotta e perfino le arti marziali: uno spettacolo per gli occhi vedere una partita montata a regola d'arte apparire come reale con il ruggito della folla e i clangori degli scontri, il sangue che schizza sullo schermo mentre Johnatan E ancorato al retro di una moto plana letteralmente davanti alla difesa spagnola per infilare il bersaglio che risuona come un pugno di ferro in colonna sonora, le riprese furono così efficaci che gli spettatori comparse vociferavano sull’organizzare dei veri tornei di rollerball destando un certo sgomento in Jewison…

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venerdì 22 settembre 2023

Le due sorelle – Brian de Palma

due sorelle siamesi, dopo l'operazione, vanno ognuna per la sua vita.

solo che una è un'assassina e l'altra la protegge.

una giornalista capisce che c'è un problema serio, la polizia non le crede, lei rischia la vita, ma è la sua natura, la ricerca della verità.

appare e scompare un investigatore privato, le cose si complicano, forse c'è troppa carne al fuoco, alla fine si scopre qualcosa, ci fa credere il regista.

buona (doppia) visione - Ismaele

 

 

 

QUI il film completo, in italiano

 

 

 

Piu' hitchcockiano di cosi'c'è solo Hitchcock.De Palma gira una perfetta macchina da spavento citando apertamente due capolavori del maestro del brivido inglese,Psyco,col suo tema della schizofrenia e del doppio,e La Finestra sul cortile col suo bravo voyeurismo che genera malintesi(sembra che è colpa di chi guarda,non di chi perpreta il crimine).Il film è interessante la suspense sostenuta lungo tutto il racconto anche se si intuisce quasi subito quale sia il problema.Il finale è abbastanza curioso e rasenta il sarcastico.In epoca di cellulari film come questo non sarebbero esistiti....

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Secondo lo psicologo Otto Rank il doppio è intimamente legato e strettamente connesso con la morte. Non è quindi un caso se, poco prima di morire, Philip incontri alla pasticceria una coppia di commesse lebische. Non lo è se l’omicida Danielle– in questo il film è leggibile anche come perverso aggiornamento del classico Lo specchio scuro [The Dark Mirror, 1946] di Robert Siodmak –  soffre di una schizofrenia che ha scisso la sua personalità in due, la sua e quella della gemella/doppelgänger Dominique. Non lo è nemmeno se gli ultimi, concitati istanti della morte di Philip vengano raccontati attraverso uno split screen che, per l’appunto, raddoppia il punto di vista bisecando (scindendo) l’immagine in due parti uguali (per la quantità di spazio occupata sullo schermo) e complementari (lo split screen si sostituisce tanto al campo/controcampo – creando un’ideale continuità dell’azione nello spazio e nel tempo – quanto al montaggio parallelo, mantenendo inalterata la continuità nel tempo ma producendo una discontinuità spaziale). Questa sequenza inoltre sancisce un avvenuto transfert nel ruolo di protagonista tra Philip e Grace (per accentuare l’effetto sorpresa, il regista avrebbe voluto scritturare Sidney Poitier e Marlo Thomas, ma dovette desistere per questioni di budget…

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Non mi ha conquistato. Stento a trovarci tutte quelle raffinatezze che in tantissimi hanno esaltato, addirittura elencato, per cui sarà certamente colpa mia. Ma mi pare che il meccanismo non conquisti più di tanto e credo pure che, se lo si vedesse ignorandone l’autore, lo si giudicherebbe con maggiore severità, per via specialmente di quelle divagazioni che sottraggono, anziché aggiungere.

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Due sono le sorelle e aprono la strada al concetto di doppio per un’ambiguità diffusa che De Palma utilizza come spina dorsale per la sua opera. Non restringe il campo a una mera questione fisica, ampliando il significato a un fattore psicologico e di personalità dalla quale scaturisce un intreccio in grado di farsi seguire, spinti dalla curiosità. Tuttavia non sembra intenzionato a voler andare troppo a fondo, dando l’impressione di preferire i dettagli e le sfumature necessarie a plasmare uno stile estetico dalle caratteristiche precise e dai richiami che conducono a Hitchcock.

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Che questo film, a quanto leggo, faccia parte dei 100 migliori film di sempre mi lascia piuttosto basito. Se questo è uno dei migliori cento meglio smettere di guardare film...

E' un film interessante, ma oltre che datato non è realizzato nel migliore dei modi.E' tutto troppo chiare ed evidente, a volte la realtà dirompente stride con l'eccessiva 'brillantezza' della polizia come degli altri personaggi. I colpi di scena sono bruciati ogni volta da qualche rivelazione. Solo la scena dell'ultima telefonata è valida.

Ben in 3 non vedono la macchia sul divano, la torta che cade, porti la torta all'amata con un bel coltellino, polizia che non fa nemmeno un controllo degno di questo nome. Ma a proposito... come ha fatto la torta a rimanere intera mentre il giuovine veniva accoltellato... Nel dubbio avrà almeno messo in salvo quella tra un rantolo e l'altro.

E' un film fatto d'espedienti che ha il solo merito di una storia mediocremente interessante, scarna eredità di un'idea iniziale valida, ma soprattutto, rovinata dalla messa in scena e da un gruppo di attori non particolarmente all'altezza.

Le sbinocolate fanno davvero sorridere... provate a mettervi in un'auto con un binocolo... e contate i secondi che impiegherà la gente a notarvi...

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mercoledì 20 settembre 2023

Beretta's island - Michael Preece

Ollolai  è il centro della produzione di droga nel mondo.

Franco Columbu indaga, torna in Sardegna, inizia da schifo, poi peggiora, sceneggiatura di merda, recitazione schifosa, poi non so cosa succede, ma la prima mezz'ora mi è bastata.

una cagata assoluta.

e non dite che non vi avevo avvisato 

buona (non) visione - Ismaele

 

 

 

Pazzesco. Con i 5 minuti iniziali (Franco e Arnold che "pompano i bicipiti") si crede di aver già toccato il fondo; in realtà il meglio deve ancora arrivare. Dopo la suddetta sequenza Schwarzy sparisce nel nulla e ci si sposta in Sardegna. Qui si entra nel vivo: azione ultratrash, scenari tristissimi, feste paesane con comparse che guardano in macchina (e se la ridono), dialoghi assurdi, un Columbu con fisico, espressioni e movenze al di là di ogni immaginazione. Topless a sorpresa nel finale: un piccolo premio per chi riesce a raggiungerlo.

MEMORABILE: Ogni frame in cui compare Franco Columbu, che per l'occasione spara, picchia, balla, canta, marpioneggia e ovviamente pompa i bicipiti. Un grande!

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 Film che ispira una certa tenerezza per l'ingenuità del buon Columbu, dalla trama risibile fino alla prova attoriale dell'atleta stesso, qui cinquantenne e dall'aspetto non proprio credibile come eroe e sciupafemmine, nonostante un fisico ancora prestante. Si segnalano le presenze della Kaitan, sempre bella, nonché quella inaspettata di Schwarzenegger in un cameo amichevole; il resto è un disastro in odor di trash, tra ripetute riprese di feste paesane sarde, momenti action ridicoli e un'atmosfera da telefilm regionale ai limiti dell'amatorialità. Imperdibile per i trashofili.

MEMORABILE: L'interminabile allenamento iniziale con Schwarzy; Columbu che ci prova con la Kaitan; Columbu che canta alla sagra di paese.

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 Prima dell'inarrivabile Dreamland, Columbu mette anima e corpo (non solo metaforicamente) in quest'assurdo action che ha nella componente nostalgica una delle caratteristiche principali. Il nostro alle prese con combattimenti che rasentano il ridicolo, inseguimenti di una lentezza inimmaginabile e sparatorie inverosimili sfodera una prestazione trash che lo colloca senza dubbio nella Hall of fame degli attori meno cinematografici del globo. Imperdibile l'allenamento con l'amico Schwarzy. Da vedere almeno una volta nella vita!

MEMORABILE: Columbu l'attore meno cinematografico del globo; La festa patronale; Il tuffo spettacolare che mette in secondo piano il seno dell'amata.

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 Franco detto "Beretta" è un poliziotto implacabile, i cui infallibili metodi consistono nell'andare a cavallo, cantare alle sagre, pomparsi in palestra e in definitiva farsi i cavoli propri per tutto il film, aspettando che succeda qualcosa. Davvero mozzafiato le scene d'azione, con Fiat Uno lanciate a 20 all'ora, scazzottate al rallentatore e spericolate acrobazie in moto dello stesso Columbu (a cui devono aver insegnato a guidare la sera prima). Della trama non ho capito nulla ma va bene così. Da vedere assolutamente.

MEMORABILE: Franco che accende la dinamite col sigaro, alla Tex Willer; L'esibizione canora, la messa e il palio di Ollolai (inutili ma almeno interessanti).

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 Ollolai è la cittadina in collina che vide i natali del grande Franco Columbu. L'omaggio non privo di suggestioni, la festa di San Bartolomeo, il mare (a 80 km circa da Ollolai sia ben chiaro), action in giusta dose e la faccia di un emigrante che ha saputo fare fortuna con l'aiuto del suo grande amico Arnold Schwarzenegger. La trama è banalotta, ma le premesse c'erano tutte.

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 Franco Beretta è un agente Interpol a riposo che riprende l'attività, dopo l'uccisione di una sua collega, per sgominare una banda di narcotrafficanti che operano tra Los Angeles/Sardegna (!). Nei primi minuti vediamo Franco e Schwarzenegger che si allenano, segue il delirio totale... Sceneggiatura scritta da Columbu, film prodotto dallo stesso, una sorta di "regalo" alla sua Sardegna, il resto è da sorvolare... per gli amanti del trash merita un 10 e lode!

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martedì 19 settembre 2023

Il colpo della metropolitana - Joseph Sargent

un colpo grosso alla metropolitana di New York, un convoglio sequestrato, il Pelham 123, 17 ostaggi, il rilascia in cambio di un milione di dollari.

sceneggiatura ad orologeria, quando tutto sembra andare bene per i ladri sequestratori le cose si complicano, per colpa/merito dell'ispettore Garber (Walter Matthau).

non mancano i morti, il sequestro non è uno scherzo, il piano è perfetto, ma l'ispettore Garber è più che perfetto, per intuito più che per astratta logica.

una corsa contro il tempo che non deluderà nessuno, promesso.

buona (milionesca) visione - Ismaele

 

 

QUI il film completo, in italiano


 

… Molto probabilmente è un thriller poliziesco con qualcosa in più: una feroce satira sociale e anche politica che si mescola con un gusto grottesco per i dialoghi e soprattutto in alcune scene. Questo rende il film non solo un semplice noir ma un’evoluzione di quest’ultimo. Il colpo della metropolitana è una commistione di generi che sfilano immagine dopo immagine. Robert Shaw e Walter Matthau, i protagonisti dell’opera di Sargent, rappresentano appunto questo mix di categorie. Da una parte c’è il freddo e spietato criminale e dall’altra il poliziotto cinico e pigro che comunque riesce ad avere la meglio sulla malavita.

E tutto il film è un continuo andirivieni dal dramma all’action movie, dalla commedia nera al thriller fino a quel finale tanto ironico quanto monumentale che si prende gioco dei classici, seriosi e a volte anche lagnosi film della stessa matrice. Una rivoluzione del genere crime e anche dei film d’azioni che da quel momento si avrà su moltissime altre opere. Tuttavia Il colpo della metropolitana si burla della stessa società americana che prende di mira tutti, dalle alte sfere fino agli stessi poliziotti lasciando i poveri ostaggi a fare da simbolo ad una società omogenea ma solo sulla carta: multiforme e classista…

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Ricordato spesso dai più giovani unicamente per essere stato una delle tante fonti di “ispirazione” (termine gentile) per Quentin Tarantino al momento della scrittura de Le iene, il film di Sargent merita di essere rivisto per motivi più validi dello stratagemma dei nomi dei criminali, a partire da una regia solida e potente come la storia richiede, perfettamente nel solco tracciato da Don Siegel.

Dopo un’ottima partenza, con il silenzioso sequestro del treno da parte dei quattro uomini, il film procede in crescendo, rendendo benissimo la costante presenza della scadenza fissata per l’esecuzione degli ostaggi e gli infiniti inconvenienti di percorso cui tutti quelli impegnati nella trattativa o nelle azioni di forza devono far fronte. In particolare il personaggio di Garber (Walter Matthau), inizialmente distratto e svogliato, acquisisce sempre più peso all’interno dell’operazione e diventa il principale referente dell’autorità per i sequestratori e il vero “eroe” del film, contro figure teoricamente più titolate di lui (sindaco, capo della polizia) ma di minore valore morale. Il ritrarre Garber come un uomo comune, forse solo un poco più intelligente della media, ma che in realtà risolve la situazione facendo affidamento principalmente sul proprio buon senso mentre tanti intorno a lui non sanno che fare nel contesto di elevata tensione in cui si trovano, è un altro punto a favore della scrittura del film…

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Un thriller come pochi, capace di alternare sapientemente scene di alta tensione con diversivi di alleggerimento, tipo la carrellata iniziale di Walter Matthau con i colleghi giapponesi e la signora che nel finale si risveglia da un bel sonnellino, inconscia di tutto ciò che le è capitato. Tutto avvincente ed emozionante, ottime interpretazioni e finale perfettamente in linea con la vena sarcastica del film. Sicuramente sottovalutato.

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Un ottimo film sotto ogni punto di vista, ma è la sceneggiatura che lo fa emergere rispetto ad altri dello stesso genere. Il divertente incipit prepara il terreno illustrandoci (assieme ai "babbuini" giapponesi) la sede operativa della metropolitana di NY, piuttosto scarna per la verità, con personaggi di ogni tipo (dai nervosi direttori ai rilassati membri della sicurezza); poi il fattaccio che coglie tutti di sorpresa e suscita le reazioni più diverse, dove primeggiano la calma e la razionalità di Matthau. Buon sviluppo fino al perfetto finale.

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E' una vergogna che questo splendido film venga classificato sul Mereghetti con due palle e mezzo.
La trama è un gioiellino ingegnoso, i dialoghi sono meravigliosi, oscillano tra il comico e il drammatico, e così le situazioni, tutti gli attori, comparse comprese, sono bravissimi.
Matthau eccezionale, Martin Balsam straordinario, regia eccellente. Girato nel '74, è un film pressoché perfetto, che come tutti i veri capolavori mantiene immutata la sua forza.

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Grande film, un poliziesco anni 70 come ormai non se ne fanno piu':veloce,senza fronzoli con un gruppo di rapinatori che non esita ad usare la violenza, un ritmo indiavolato e protagonisti affiatatissimi.I 4 rapinatori fanno veramente paura e nonostante l'ambientazione claustrofobica e sostanzialmente rispettando l'unita' di spazio,c'è una suspense che si taglia col coltello.il finale è assolutamente memorabile come la faccia di Matthau. Una vera delizia per gli amanti del genere...

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domenica 17 settembre 2023

Wild river (Fango sulle stelle) - Elia Kazan

Pessimo titolo italiano, per un film che affronta la lotta per il progresso, ma non tutto è così semplice.

Le dighe sul fiume Tennessee eviteranno alluvioni, ma a costo di espropriare le terre che saranno sommerse.

Una vecchietta non cede la sua isola, (ex) schiavi inclusi.

E' una partita a scacchi, nella quale non tutto è bianco e nero, il funzionario che arriva dal nord deve risolvere un problema, in quello Stato dove ancora la segregazione e il razzismo sono la regola.

E l'amore ci mette lo zampino, in una storia di ordine pubblico, dove bisogna raggiungere i risultati, lo sgombero e l'esproprio, senza la forza pubblica.

E Montgomery Clift ci riesce.

Il progresso, il razzismo, le disuguaglianze si scontrano, una lotta tutta da vedere.

C'è l'insopportabile retorica del progresso, a qualsiasi costo, che asfalta tutto il resto.

A parte questo, un gran bel film, Lee Remick e Montgomery Clift sono proprio un bel vedere, e tutti sono bravi, Elia Kazan sa come si fa il cinema.

buona (non razzista) visione - Ismaele


ps: il vedovo di Carol si chiama James Baldwin, sarà un omaggio allo scrittore?

 

 

 

QUI il film completo, in italiano

 

 

Per consentire la costruzione di una diga nel Tennessee che metterebbe fine alle periodiche inondazioni che colpiscono la zona, un ingegnere di città cerca di convincere una vecchia signora a vendere la sua terra, destinata ad essere sommersa... Melodramma sudista intriso di passioni che si impernia sul contrasto tra la spinta del progresso e l'attaccamento alle proprie radici sostenuto da un individualismo di stampo pioneristico. Kazan mostra come entrambe le parti abbiano le proprie ragioni e questa complessità rende il film contradditorio ma anche interessante. Grande cast.

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Quando i sentimenti, la libertà (in un paese libero), la vita stessa vengono sepolti da inappellabili scelte "in nome del progresso". Grande sceneggiatura - tratta da due romanzi - e grande direzione di Kazan, Wild River riesce a coinvolgere per i diversi temi trattati, sentimenti, interessi piccoli e superiori, discriminazioni razziali e la bellezza selvaggia di una natura che l'uomo tenta di dominare. Un notevole cast dove spiccano figure femminili determinate più che mai, con le ottime interpretazioni della Van Fleet e della Remick.

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L'azione non è la particolarità di Kazan, ma quello che più gli interessa è affrontare i temi sociali e morali attraverso i suoi personaggi, e qui ce ne sono importanti, come il New Deal ed il razzismo nel sud. Lo scavo psicologico dei personaggi è quello che incide meglio nella storia, la stessa fotografia, abbastanza insolita, di una provincia realisticamente ritratta è assoltutamente di primo piano.La storia d'amore non annacqua il tutto, anzi lo sottolinea in maniera determinata. I problemi vissuti dal di dentro riescono ad acchiapparci la mente senza ricorrere a mezzucci del caso.

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Elia Kazan è stato tra i più controversi autori hollywoodiani:sul giudizio circa la sua figura pesa fortemente il comportamento moralmente condannabile che lo vide commettere un'abiura coinvolgente personalità dello spettacolo che si videro rovinare carriere ed esistenze anche grazie alle sue delazioni.Dal punto di vista artistico,negare la sua importanza sarebbe assurdo:è stato, come è risaputo, uno dei più grandi direttori di attori, e comunque un cineasta spesso capace di saper raccontare storie intense, come questa di "Fango sulle stelle". Una pellicola profondamente americana,che mette in scena molte conflittualità:dal conservatorismo ottuso degli abitanti sul fiume Tennessee che rifiutano di trasferirsi per far posto ad una diga che porti migliorie nell'ambiente e che risparmi vite strappate via dal fiume,alle tensioni razziali, e dall'uomo di Stato che si ritrova coinvolto anche nei sentimenti e nella difficile missione di convincere i più recalcitranti tra gli autoctoni. Se può sembrare un film in cui l'azione latita, drammaturgicamente non cerca il facile effetto del melodramma,ma porta le proprie argomentazioni in fondo con un senso della Storia e del raccontare un aspetto se si vuole marginale ma essenziale della crescita di una nazione.Notevoli sia Monty Clift che Lee Remick, tra i maggiori talenti del cinema americano dell'epoca.

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sabato 16 settembre 2023

Questa terra è la mia terra (Bound for glory) – Hal Ashby

Per le tre o quattro persone che non sanno niente di Woody Guthrie*, questo film è un'ottima base di partenza.

Cantore dei diseredati, dei poveri, dei precari, dei migranti, dei disoccupati, dei raccoglitori di frutta a giornata, quasi schiavi, Woody era uno di loro, sapeva cos'era la fame, e la solidarietà, odiava i fascisti, cantava per Sacco e Vanzetti.


La regia del film è di Hal Ashby, il meno conosciuto e prolifico dei leggendari registi fra New York e la California (Oltre in giardino, con un immenso Peter Sellers, ha la sua firma), Woody Guthrie è David Carradine, perfetto per il ruolo (nello stesso periodo ha lavorato per Ingmar Bergman), tutti gli attori sono bravissimi, anche merito del regista, no?

Il film, del 1976, dura due ore e mezza, ma nessun minuto è di troppo.

Buona (imperdibile) visione - Ismaele



 

QUI si può vedere il film, in italiano

 


La crisi americana degli anni trenta ricostruita sulla base della autobiografia del grande cantante Woody Guthrie, padre della musica country.
La storia si concentra sul periodo che va dal 1936 al 1940 e Hal Ashby,ricostruisce e ci fornisce, insieme alla storia dell'artista, un amaro e veritiero ritratto dell'America della depressione con la crudeltà dei sicari dei padroni, lo sfruttamento dei braccianti agricoli, il fenomeno degli hobo che viaggiano di nascosto sui treni merci, e la cronaca degli scontri anche violenti con le forze dell'ordine.
Un indimenticabile David Carradine è l'appropriato e coinvolto protagonista,assieme a Randy Quaid e Melinda Dillon.
Imperdibile la colonna sonora.

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Autobiografia a suon di country music.La vita di Guthrie è solo la cartina di tornasole dell'America della Grande Depressione,la sua parabola ,da nullatenente che lascia moglie e figlie per fare fortuna in California e vi riesce con la musica country (o folk come preferite)dopo aver fatto molti lavori sfiancanti e mal pagati è la perfetta descrizione di quello che doveva essere Il Sogno Americano.Il film di Ashby tocca solo tre anni della vita di Guthrie proletario antelitteram che preferisce la protesta sociale al suo successo personale,il cui talento non è mai stato in vendita.Ci viene il dubbio che ci siano anche sfumature agiografiche in questo personaggio tutto d'un pezzo ma in fondo il suo essere granitico,monolitico,le cui idee non sono in vendita lo fa diventare ai nostri occhi un perdente,perchè perde i suoi affetti,moglie e figlie lo lasciano. E il ritratto americano che ci consegna è un America prostrata ma non disperata,che cerca di riprendersi.Grande prova di Carradine per un personaggio che,prima di questo film mi era assolutamente sconosciuto....

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Se il 14 luglio 1789, giorno della presa della Bastiglia, segna la data di nascita della Rivoluzione francese (rivoluzione che coinvolse anche altri Paesi europei, tanto da essere ancora oggi considerata l’emblema della libertà e dell’indipendenza dei popoli), il 14 luglio 1912  - ricorrerà il centenario tra pochi giorni - segna la data di nascita dell'uomo che rivoluzionò la musica Folk americana (e non solo), in virtù di una straordinaria capacità di sintesi tra il country dei bianchi e il blues dei ne(g)ri, facendola assurgere a emblema delle istanze dei diseredati di tutto il mondo. 
Precursore della canzone di protesta, Woodrow Wilson Guthrie fu uno tra i più importanti rappresentanti della cultura hobo, nonché principale fonte d'ispirazione per una miriade di intellettuali e artisti - sia americani che europei -, a partire da Robert Zimmerman fino ad arrivare ai Wilco, passando fra Billy Bragg e Bruce Springsteen (giusto per citare i più noti).
Tormentato dalla sfortuna e dagli incendi (il primo divampò nella casa di famiglia riducendola in cenere mentre, qualche tempo dopo, un secondo rogo uccise la sorella Clara quando Woody aveva solo sette anni e un terzo identico evento ebbe come vittima il padre che si salvò ma rimase gravemente ustionato. Le reali cause di queste sciagure non sono mai state accertate e non si esclude che almeno due di queste possano essere state cagionate dalla madre Nora, afflitta dalla malattia di Huntington - Còrea Maior -, patologia degenerativa di origine ereditaria che conduce alla demenza e che fu la causa della prematura dipartita dello stesso Woody, avvenuta agli inizi di ottobre del 1967 al termine di una lunghissima degenza. Quest'ultima, tragica, fase della sua vita viene menzionata nel film Alice's Restaurant, nel quale il figlio Arlo e l'amico Pete Seeger interpretano se stessi mentre accorrono al suo capezzale.
In piena epoca maccartista venne, inoltre, perseguitato dall'FBI di J. Edgar Hoover a causa del suo attivismo postbellico e di quello spirito anticonformista e fortemente eversivo nei confronti delle logiche capitalistiche che lo accompagnerà pervicacemente fino alla fine, senza cedimenti, e che  lo porterà a vagabondare attraverso gli States in cerca di lavoro raccontando l'immane tragedia umana causata dalla Grande Depressione armato della sua chitarra, la quale recava, ben visibile, sulla parte anteriore della cassa armonica l'inequivocabile scritta THIS MACHINE KILLS FASCISTS.
 
Scrittore prolifico, oltre alle tantissime canzoni (più di mille; oggi conservate nella Library of Congress di Washington) Woody Guthrie lasciò in eredità una raccolta di poesie, disegni e scritti vari chiamata Born to Win, un romanzo (Seeds of Man) e un'autobiografia intitolata Bound for Glory (Questa terra è la mia terra), pubblicata nel 1943 e subito bollata da alcuni come una “riproduzione troppo accurata della lingua degli analfabetiQuesto film, firmato da Hal Ashby, è l'adattamento cinematografico di un estratto di quell'autobiografia e, a parte qualche peccatuccio veniale (per esempio Woody che canta Deportee nel 1939, quando quella canzone non la scrisse prima del 1948 dopo che un incidente aereo causò la morte di 28 messicani che stavano per essere deportati, appunto), il risultato è più che decente. La pellicola riesce a restituire abbastanza bene il clima di quel periodo tragico e i protagonisti, a cominciare proprio da David Carradine, sono assolutamente credibili.
Inizialmente, la scelta per interpretare il ruolo del folksinger originario di Okemah, Oklahoma, era caduta su Tim Buckley il quale però, disgraziatamente, morì poco prima dell'inizio delle riprese a causa di un'overdose e, in seguito, Kris Kristofferson rifiutò la parte in quanto non si sentiva fisicamente adatto.

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…The film is faithful to that experience, totally so. There's not a false moment in it, not a moment when we feel the meaning of Guthrie's life has been compromised for movie reasons. David Carradine's performance as Guthrie finds just the right balance between his pride and innate simplicity. And the film looks right; there can seldom have been a period film with such loving attention to detail, to the ways cars and dresses and living rooms and roadside diners looked during the Depression. All of these elements have been handled carefully, and with respect.

And yet “Bound For Glory” is ultimately a rather slow-moving experience. Each scene is established so carefully, is framed with such artistry (Haskell Wexler's cinematography is a series of perfectly-seen compositions), is played with such weight, that finally the movie seems too much of a piece.

We want more humor, more irreverence, more of an indication that Guthrie had acid mixed in with his humanity. That's almost the only criticism I can make of the film, although it's a fundamental one; anyone who loves movies or is interested in Guthrie should see “Bound For Glory”, but it'll be a worthwhile experience that's pretty slow-going…

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QUI si possono ascoltare le canzoni di Woody Guthrie

*QUI un articolo (fra i tanti disponibili in internet) su Woody