un film che racconta gli Stati Uniti con lo sguardo dei neri, degli schiavi, degli ultimi.
due fratelli riescono ad aprire un locale dove i neri possano ballare e bere ascoltando la musica degli schiavi neri, il blues.
un luogo di libertà, per chi è sempre costretto a servire.
tutto va per il meglio, c'è anche un giovane superchitarrista, cugino dei fretelli per una serata indimenticabile.
ma i bianchi non ci stanno, e allora inizia la seconda parte del film, una questione di vita o di morte, una lotta senza quartiere, tutta da vedere.
e poi appaiono anche quegli assassini del Ku Klux Klan, è bellissimo vederli ammazzati, è quello che si meritano.
la fine è un dolce sogno, negli attimi prima di morire.
un film da non perdere, una bella sorpresa, andate e godetene tutti.
buona (musicale e mortale) visione - Ismaele
ps: non uscite dal cinema subito, vi perdereste tre minuti importanti.
… Si diventa immortali se ci si assimila
all’elemento bianco.
E quello che mette in scena Coogler è un conflitto fra identità
culturali, all’interno del quale, una, la bianca, tenta in tutti i
modi di appropriarsi dell’altra. Ancora più dell’utilizzo delle convenzioni di
genere, corrette, ritmate, interessanti soprattutto nella rottura della
suspense, ma non dissimili da molte altre altrettanto riuscite, è
soprattutto nelle scene di raccordo dell’azione che va ricercato il senso più
profondo. Quanto fascino e inquietudine c’è nella contrapposizione tra
il blues grezzo suonato nel Juke Joint dal giovane Sammie (Miles Caton,
esordiente nel cinema e musicista dall’ancora esiguo seguito: poco più di 2000
followers su YouTube, ma qualcosa mi dice che la cifra s’innalzerà a breve) e
la Rocky Road To Dublin cantata e danzata da Jack O’Donnell
nello spiazzo antistante insieme a tutti i vampiri? Sembra un numero
coreografato da musical, e invece è uno scontro violentissimo in cui una
cultura (quella europea, incarnata dal folk irlandese, in questo caso) cerca di
fagocitare le radici di quella nera per assimilarla e poi riproporla.
Vampirizzandola, appunto. Non è quello che è successo davvero nell’industria
musicale? (faccio ammenda: anche da parte dei miei amati Led Zeppelin, che
senza i bluesman avrebbero scritto non più di 4 canzoni originali). Non vedevo
una scena del genere dal 1960, quando Lillian Gish ne Gli inesorabili di
John Huston suonò un pianoforte a coda davanti alla sua casa nella prateria per
contrapporre la propria superiorità (musicale, culturale, razziale) ai flauti
kiowa che risuonavano minacciosi nella vallata. Come dire: beccatevi Beethoven,
selvaggi. Peggio solo Vecchioni alla manifestazione per l’Europa…
Aiutatemi voi a dire quanto è bello Sinners perché a me manca
la favella. E pensare che non avevo idea di cosa fosse, perché il trailer è
decisamente ingannevole e lo fa sembrare un action coi vampiri che ha, come
unica particolarità, il fatto di essere ambientato nel Sud degli Stati Uniti negli
anni ’30. Già di per sé, questo non è poco, chiariamo: è il motivo per cui sono
andata a vederlo, data la mia nota debolezza per tutto ciò che può essere
definito Southern Gothic. Ma niente vi può preparare a Sinners, neanche se io
ci scrivessi un saggio sopra, cosa che non sono in grado di fare perché mi
mancano gli strumenti culturali.
Per rendere la cosa più semplice possibile,
nella seconda parte, diventa un film di John Carpenter, un western d’assedio
violentissimo coi vampiri che spuntano da ogni angolo; c’è persino la scena del
test de La Cosa, però con uno spicchio d’aglio come discriminante per capire
chi è infetto e chi no.
Potrei chiuderla qui, dirvi di andare a vederlo
e di non considerare niente altro sia nelle sale in questi giorni…
…La regia e il montaggio danzano a
ritmi a volte placidamente insidiosi e spesso invece forsennati o irruenti, in
un assedio che più volte viene fragorosamente interrotto prima del faccia a
faccia finale. La musica non si spegne nemmeno quando iniziano i titoli di
coda, che anzi danno solo il via al vero epilogo del film. Sarebbe un crimine
raccontarlo, quindi ci limitiamo a dire che se da una parte può essere un
eccesso didascalico - quasi Coogler volesse chiarire in modo del tutto
esplicito il senso del suo film - dall'altra è però un colpo di coda. Riscrive
quel che poteva passare per una risoluzione convenzionale sui toni, ancora una
volta, di un dolente blues.
Coogler si avvale di un ottimo cast,
spesso chiamato a performance canore o di danza. Tanto che non è la doppia
performance di Michael B. Jordan (interpreta i due gemelli) a emergere, ma sono
soprattutto l'esordiente Miles Caton, la nemesi Jack O'Connell e, in una scena
di ballo indimenticabile, Jayme Lawson. Ha una forte presenza anche Wunmi
Mosaku, black mama in contatto con gli spiriti e interesse romantico fuori
dalle convenzioni per uno dei due gemelli Jordan. Più sexy che mai è poi Hailee
Steinfeld, in controcasting rispetto ai ruoli cui ci aveva abituato di teenager
deliziosamente a modo, in un film come Bumblebee e
nelle serie Dickinson e Hawkeye. Michael B.
Jordan ha soprattutto il merito di saper rendere facilmente distinguibile per
la mimica facciale e del corpo i due gemelli Stack e Smoke: un'impresa non
trascurabile. Che ciò nonostante siano gli altri a rubargli spesso la scena,
non fa che testimoniare il valore di un cast in stato di grazia.
…Un film che osa, azzarda, persino esagera nel suo costruire un
racconto che parte sin troppo lentamente e si trasforma poi repentinamente in
un film di genere che osa utilizzare una metafora vampiristica per denunciare
un malessere insito nella innata malvagità umana.
Un horror, inoltre, che sa cogliere l'essenza del male fine a se
stesso e elevato a qualcosa di assoluto e sin teorico, utile a giustificare una
inguaribile indole umana predisposta alla violenza e alla prevaricazione.
Poi certo I Peccatori si
evolve, si trasforma, esagera accavallando finali su finali, senza farsi
mancare nemmeno sparatorie esaltate degne di Rambo, più che di Apollo Creed,
per rimanere in zona di "zio Stallone".
Ma è anche un film sostanzialmente riuscito e coraggioso nel suo
azzardare sin spudorato temi e tematiche che riguardano l'uomo nella sua
inquietante essenza.
Scegliendo il vampirismo come metafora riuscita di un male che
avvolge a sé e trasforma le proprie vittime attraverso una mutazione-dannazione
da cui è impossibile tornare indietro.
…Quello di I peccatori è il medesimo territorio che percorrono Tarantino e Jordan Peele, ovvero lavorare in modo politico sui generi classici e rimettere in scena parte dell’immaginario tradizionale del cinema con una prospettiva personale. Solo che qui non c’è alcuna prospettiva personale ma un film che fa quello che fanno tutti gli altri, che obbedisce a ogni regola come un horror dozzinale, anche la parte di effetti digitale creazione del fantastico non ha nessuna personalità visiva! Una fotografia di primo livello, un montaggio estremamente abile e una confezione in generale professionale, danno l’idea di essere davvero davanti a un film importante. Peccato che non lo sia. Avrebbe potuto esserlo, viste le idee. E invece no.