lunedì 30 gennaio 2012

Un Homme Qui Crie - Mahamat-Salet Haroun

un film lento, ma che appassiona.
una storia di padre e figlio, con la guerra sullo sfondo e non solo.
bellissima fotografia - Ismaele.


So I truly do recommend this film as a great example of effective filmmaking. I didn't know what I was going to get with this one, but the results we're overwhelming in a good way. If you get a chance to see this film, do not pass it up, as far as dramatic films go for the year, this is among the best you'll find…

«Gardez-vous de vous croiser les bras en l’attitude stérile du spectateur, car la vie n’est pas un spectacle, car une mer de douleurs n’est pas un proscenium, car un homme qui crie n’est pas un ours qui danse». Così il grande poeta martinicano Aimé Césaire in uno dei passi più densi di significato del suo Cahiers d’un retour au pays natal (1939). Ancora più didascalicamente, il titolo di lavorazione del film recitava Un homme qui crie n’est pas un ours qui danse, come a marcare con più forza il debito d’ispirazione diretto al poema di Césaire, filtrato dall’Abderrahmane Sissako de La vie sur terre (1998), apologo cinematografico che usa il testo di Césaire come un palinsesto, riscrivendolo liberamente. Un messaggio apparentemente semplice, persino ovvio, ma così essenziale per inquadrare la condizione permanente dell’Africa, continente immerso in un mare di dolore che lo sguardo di noi occidentali trasforma in proscenio, scosso da grida che continuano ad intrattenerci in prima serata. Haroun ci invita a dismettere l’attitudine sterile dello spettatore e ad aprire la nostra comprensione alle ragioni di una condizione d’esistenza che non conosce ragioni, ma solo fragilità e dolore…


giovedì 26 gennaio 2012

dietro Marlon Brando c'era Jim Morrison

Antonio, che non usa internet, mi dice che dopo diverse visioni di "Ultimo tango a Parigi", nel tempo, e successivi ragionamenti era arrivato all'ipotesi/conclusione che dietro Marlon Brando ci fosse Jim Morrison.

era vero! - Ismaele

 

 

 

…Hervé Muller, fotografo parigino, conobbe Jim Morrison una mattina della primavera del 1971, quando l’ex cantante dei Doors, dopo una sbronza colossale, svenne nel suo letto. 

Alain Ronay, ex compagno di corso di Morrison all’UCLA, era tornato in Francia all’inizio del 1970, e fu il principale punto di riferimento di Jim a Parigi. 

Agnès Varda, regista, aveva conosciuto Jim durante il suo lungo soggiorno a Los Angeles, e quando Morrison si stabilì a Parigi anche lei, come Ronay, rappresentò per il poeta un fondamentale appoggio. 

Jacques Demi, marito della Varda, anch’egli regista, fece parte stabilmente della ristretta cerchia di Morrison durante tutta la sua permanenza a Parigi. 

Bernardo Bertolucci, il celebre regista italiano, trascorse tutta l’estate del 1971 a casa della Varda e di Demi, visto che proprio assieme alla Varda stava scrivendo la sceneggiatura del suo prossimo film: “Ultimo tango a Parigi”…

da qui




A Morrison no se le notaba muy interesado por la música, pero sí por el cine. Pasaba las tardes en las salas cerca de la Sorbona y visitaba varias veces por semana a la realizadora y documentalista Agnès Varda (hoy llamada la “abuela de la Nouvelle Vague”), quien le daba alojamiento al amigo de Jim, Alain Ronay. La directora de Cleo de 5 a 7, escribía algunos diálogos para un proyecto de Bernardo Bertolucci que contaba la historia de un americano alcohólico y deprimido que erraba por París tras la muerte de su esposa. Morrison era en parte la inspiración del relato y según Steele, habría querido protagonizar la película. Pero eso no pasó y Jim quedó profundamente afectado…

mercoledì 25 gennaio 2012

Shame - Steve McQueen (2)

continua a girarmi in testa, e a scavare, e allora ci torno su.
mi ha colpito al musica di Bach suonata da Glenn Gould, Michael Fassbender angelo caduto e malato,
ascolta una musica da paradiso e vive una vita che è come la fiamma di una candela.
il film sembra un quadro e ogni scena una pennellata, e l'insieme è disturbante, come un quadro di Bacon.
decido quindi che non è da meno di "Hunger", che "Shame" è davvero un gran film. - Ismaele

ricordo di Theo Angelopoulos

venerdì 20 gennaio 2012

Shame - Steve McQueen

premesso che non faccio paragoni con "Hunger" (che mi ha preso di più), "Shame" è un film che merita.
mostra la solitudine di un uomo allo stesso tempo prigioniero e alienato, figlio del nostro tempo, a suo modo un eroe dei nostri tempi, in cui tutto si compra e si consuma, non esiste più, e spaventa, l'idea di un rapporto che può durare, di un impegno.
è una caduta senza possibilità di salvezza.
è un film doloroso da vedere, in questo, come in "Hunger", è impossibile uscire dal cinema sorridendo, ma è necessario vederlo. - Ismaele


Possiamo già parlare di film “alla McQueen“, poiché il regista londinese (premiato con la Caméra d’Or al Festival di Cannes per “Hunger”) dimostra di voler perseguire uno stile preciso, inconfondibile, dando importanza al dialogo e arricchendo il tutto grazie alla  poderosa colonna sonora di Harry Escott , punto forte della pellicola, insieme alla fotografia. Dagli esasperati primi piani dei protagonisti alla ripresa con la videocamera in movimento del protagonista impegnato in una seduta notturna di jogging, è un crescendo di intuizioni e virtuosismi stilistici di valore, realizzati senza remore, con coraggio (il nudo integrale di Fassbender  e della Mulligan farà discutere). La vera astuzia di McQuenn è però quella di proporci una storia, e dei personaggi, senza seguire un percorso preciso, non indirizzando il film in un sentiero ben delineato ma facendoci seguire le azioni di Fassbender e della Mulligancome se fossimo dei voyeur. L’esposizione, prolungata, delle nudità dei protagonisti appare come una precisa volontà del regista che ci invita a una riflessione continua su quelli che sono i comportamenti sociali non ritenuti adeguati. Quale è, in fondo, la vergogna? la ricerca continua del piacere sessuale per un annoiato manager trentenne o l’impietoso giudizio a cui le nostre azioni vengono continuamente sottoposte? Nella società degli eccessi McQueen ci propone lo straordinario resoconto di una dipendenza (non più grave di quella alcolica o tabagistica) con una leggerezza che lascia più di uno spunto di riflessione…

Il film non si sofferma ad indagare le ragioni intime e i rapporti interpersonali che intercorrono trai soggetti, ne mostra solo il lento disfacimento, l’inesorabile discesa verso un baratro che sembra apparentemente inevitabile. Come sempre più spesso accade, nel finale non ci è dato sapere quale sarà la sorte del nostro eroe. Dopo aver toccato il fondo e rischiato irreversibile, Brandon torna alla sua vita regolare e monotona, ma il suo sguardo è davvero cambiato? McQueen sceglie di lasciarci nel dubbio e per una storia che scende così a fondo nella perversione della psiche umana probabilmente dare un finale esplicativo sarebbe stato impossibile, o quantomeno riduttivo….
"Shame" è un film dalla potenza devastante, che esprime con spiazzante facilità e commovente bellezza le pulsioni di un uomo messo a nudo dalla sua dignità. Come ha sottolineato lo stesso regista, Brandon è imprigionato mentalmente, isolato da qualsiasi relazione/comportamento che possa discostare dal sesso, unica vera fonte di nutrimento per la sua anima. McQueen persevera costantemente dinanzi a nudi integrali, ai rapporti sessuali e alle svariate forme di depravazione che il personaggio commette senza mai scadere in un eccesso fine a se stesso. Sesso, prostituzione e masturbazione divengono così le principali nature di un bisogno umano ed esistenziale che si riflettono con lampante autenticità su un tessuto sociale immerso sempre più nell'amoralità e nell'impudicizia, dove il concetto di vergogna sembra assumere una connotazione indefinibile col passare del tempo, dove l'istinto animale/darwiniano sembra tornare prepotentemente a galla e i valori che si direbbero autentici non trovano respiro tra i fotogrammi della pellicola, come se fossero andati persi. Brandon che origlia mentre la sorella al telefono piange d'amore e urla "ti amo". Lui che si dispera con lo sguardo perso nel vuoto perché in fondo lo vorrebbe anche lui. Non c'è amore in "Shame", non c'è affezione. Gli avvenimenti si succedono reiteratamente, meccanicamente, come un automatismo (il risveglio, la segreteria telefonica, il bagno). Il corpo nudo non ha pudori di nessun tipo, proprio per questo viene ossessivamente inquadrato, quasi a voler constatare la mancanza di un valore umano che sappia compensare a tutto ciò.



giovedì 19 gennaio 2012

Repo men - Miguel Sapochnik

niente di speciale, c'è Forest Whitaker, una storia di riscossione crediti un po' più cruenta del solito, quelli di Equitalia sembrano signori, al confronto.
il resto è quello che ti aspetti - Ismaele


… L’esagerazione satirica di alcune situazioni rivela, con l’insipienza della messa in scena, un atteggiamento ipocrita e morboso, la vergogna per la stessa violenza parossistica che provocatoriamente si vuole mostrare.
E “provocatoriamente” implica già attribuire velleità di distopia sociologica che una baracconata simile brucia nell’arco di dieci minuti.
Un tuttavia resta ed è costituito da una sequenza, l’unica sequenza efficace, forte, perversa, con echi di Cronenberg, che tenta di spostare verso l’alto la barra della rappresentabilità dei feticismi moderni, miscelando sangue, sesso e chirurgia, una versione hardcore di “Nip & Tuck”, che per alcuni minuti ipnotizza e dimostra che il regista ha riversato tutta la sua concentrazione su quella scena, perchè se c’è un motivo di esistere per “Repo men” è quello di girare intorno a questo fulcro emotivo fatto di squarci anatomici senza anestesia, di mani che si infilano nelle interiora per inserire un lettore di codici a barre, di abbracci fra rivoli di sangue e dolori indicibili, di movimenti di camera che abbracciano e guardano e godono mentre la penetrazione diventa dissanguamento ed autopsia.
Uno screenplay che si fosse preoccupato del rigore logico, che non venisse chiuso in modo adolescenziale e neuromantico (senza motivo) e una dose di vero coraggio e talento visivo, e “Repo men” avrebbe avuto le carte in regola per essere lo shocker dell’anno.
Purtroppo rimane in mano un cerino che si spegne in fretta e brucia solo per alcuni attimi.

"Repo Man" is a gore and violent film with a predictable plot. The story has a poor description of this futuristic society, where a corporation has the power of God, tricking clients and using abusive means to retrieve the prostheses from those that do not pay the bill. When we see the line of production, it is hard to believe that the prostheses are so expensive that the company needs to retrieve them. If the intention is to intimidate the clients to pay, this type of marketing would never work. Therefore, the principle of the story is stupid and contradictory. The conclusion is totally predictable and disappointing. My vote is six.
A parte il finale abbastanza a sorpresa, è un action-movie futuristico abbastanza brillante e dinamico, che ha però nella prevedibilità la sua peggior caratteristica, con il recuperatore che poi si ritroverà ad essere uno da recuperare e quindi lotterà contro il sistema che rappresentava, ecc... . Tutto sommato non male per impegno neuronale minimo, buono per una visione disimpegnata in tutto relax. Non fosse per la violenza anche sanguinosa di alcune scene (quelle che mi sono più piaciute, s'intende) ottimo anche per una prima serata su tv generalista, molto meglio della media di roba che mettono di solito in palinsesto…
Al discorso centrale su una diffusa mancanza di umanità e alla costruzione di un meccanismo a suspense rivisto, ma tutto sommato efficace si somma l’insistita esplorazione dei corpi: l'efferata eppure sensuale sequenza del pre-finale tra Jude Law e Alice Braga, i continui dettagli delle asportazioni, i trapianti, le operazioni di fortuna. Tra la voce off del protagonista che ci guida in un paesaggio già follemente vicino e le interpretazioni di una buona squadra di attori, la pellicola non lesina azione, violenza e un certo numero di scene riuscite, specialmente nel primo terzo. Sebbene i palazzi fatiscenti, gli angoli bui e le luci artificiali siano gli stessi apparsi in mille altri visioni fantascientifiche, l'opera prima di Sapochnik ha la precisa identità del film medio.
L'idea - ottima, sulla carta - del recupero crediti legato agli organi - ho i brividi solo a pensare a cosa avrebbe potuto fare con un soggetto simile il Park Chan Wook dei tempi d'oro - viene così progressivamente svilita dai più banali sviluppi che si possano immaginare: l'antieroe è in realtà un brav'uomo vessato dalla moglie nonchè amico fedele e dipendente modello, la sfortuna e il caso lo portano ad empatizzare con chi, prima, lo stesso toglieva senza troppi problemi di mezzo per portare lo stipendio a casa, sopraggiunge la consueta crisi di coscienza legata a doppio filo con l'abbandono da parte della moglie, arrivano a ruota la rottura con il sistema, la crisi con l'amico di una vita, il consueto nuovo e tormentato amore. 
Tutto prima di rompere culi a destra e a manca per riportare l'ordine e la giustizia.
Troppo facile, così.
E anche quando il colpo di scena conclusivo pare riportare su un binario interessante l'intera pellicola si resta comunque perplessi sul perchè non si potesse far durare il tutto una buona mezzora in meno e con la sensazione, in qualche modo, di essere stati presi in giro con un gioco di specchi che è ben lontano dall'essere lo stesso di The prestige.
Nolan, ecco un altro nome che avrebbe fatto faville, con materia come questa.
Peccato davvero che, dietro la macchina da presa, ci fosse Miguel Sapochnik, che il massimo cui potrà aspirare, sarà continuare a dirigere episodi del Dr. House.
Troppo facile, davvero...

lunedì 16 gennaio 2012

Addio Zio Tom - Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi

ho ascoltato questa musica bellissima qualche tempo fa, nel video qui sotto, e





leggo che alcune sequenze sono tratte da "Addio Zio Tom" e allora decido di vederlo.
sapevo di "Mondo cane", un film documentario estremo degli anni '60, che non ho mai visto.
ma Pasolini, la musica, il video mi hanno convinto a vedere "Addio Zio Tom".
è un film davvero bellissimo, discontinuo, strano, ma grande.
ho letto poi delle polemiche sul film, che è cinema razzista e fascista, dice qualcuno, ma ho l'età nella quale distinguo fra film belli e brutti e questo sta nella fascia alta, imperfetto, ma un piccolo capolavoro - Ismaele






…A differenza della costruzione documentaristica sull'attualità presente in Africa addio, Jacopetti e Prosperi rivelano subito che lo spettatore si trova davanti a una rappresentazione di fiction: Addio zio Tom è un "documentario nella Storia", che si addentra nell'America schiavista dell'800, fotografata dai due autori in soggettiva, intervistatori moderni e dotati di elicottero, proiettati nel passato e alle prese con personaggi bizzarri e spiazzanti, tutti coinvolti nel traffico di uomini e donne africane.
Il film si propone come una satira sociale e di fatto resta un oggetto anomalo e irripetibile nel panorama cinematografico italiano, differenziandosi nettamente anche dai precedenti lavori della coppia.
Ampiamente criticata per razzismo e pretestuosità, nonché per un neo-schiavismo massmediologico nei confronti di una moltitudine di comparse di colore (e spesso nude), gentilmente fornite dal dittatore haitiano, la pellicola non ha avuto facile circolazione a causa della censura ed è stata inizialmente sequestrata, per essere poi rimontata (con interventi dello stesso Jacopetti) e rieditata con il titolo alternativo di Zio Tom…
da qui


…Il film è molto ben fatto, il senso di marciume, di lezzo, la foschia delle paludi schiarita dal sole, così come le immagini di grandi case coloniali, campi di fiori, facciate sbrecciate, immagini di placida e rurale pace e tranquillità, che allora ci spingono ancora più prepotentemente e per contrasto, a guardare in faccia gli schiavi stipati all'inverosimile nel sudore, nel sangue e nella merda, come direbbe P.P.P. -che con Jacopetti ha avuto, e sarebbe interessante una ricerca al riguardo, molti più motivi di “incontro-scontro” ideologico e culturale di quelli che si potrebbe solo lontanamente immaginare, all'epoca- nello scafo di una nave negriera, e di come gli schiavi abbiano poi inevitabilmente aver dovuto tirare fuori i denti, dopo aver mangiato come maiali recintati in un porcile, o lentamente marcire in un buio umido, legati alla catena…
da qui


…Il film non è però solo un divertissement pseudo documentaristico: la rabbia dei neri del Novecento che vedono il "dream" di Martin Luther King annegato nel sangue di un omicidio allarmarono i distributori USA che chiesero ai registi tagli per 14 minuti, reintegrati solo nell versione uncut, quella che dura 136 minuti e l'unica che valga davvero la pena vedere ed acquistare. Scomodo questo Addio Zio Tom, a tratti volgare ed in altri quasi commovente pensando alla sorte di tanti poveri esseri umani, da una parte voyeuristico e mascalzone per unire dramma a scenette di greve erotismo, dall'altra sovversivo per il medesimo motivo. Un film unico, consigliato a coloro che sanno di potersi permettere di vederlo (e di goderlo), per tutti gli altri c'è Amistad (1977), con la certezza che è più facile essere migliori di Addio Zio Tom che essere come Addio Zio Tom
da qui

 

giovedì 12 gennaio 2012

Goodbye Solo - Ramin Bahrani

un film che più indipendente è difficile, una storia di conoscenza e affetto e rispetto, davvero bella.
che il dio del cinema continui a farci vedere film così, freschi e profondi, con attori davvero bravi, che non hanno bisogno di urlare per farsi sentire da chi guarda - Ismaele


…Amicizia, solitudine, rispetto, senso di estraneità verso un mondo nel quale non ci si ritrova, sono le tematiche che Goodbye Solo affronta in un racconto compatto, essenziale, denso di sguardi muti, carichi di parole e di emozioni non enunciate.
Nella terra dove tutto è possibile, del self made man, entrambi i protagonisti sognano e desiderano mondi diversi. Bravissimi gli attori, Souleymane Sy Savané e Red West, nel dare corpo e carattere ai propri personaggi, nel tratteggiarne le psicologie, il loro progressivo avvicinarsi e confrontarsi, nel rispetto di una decisione ormai presa, nel corso del viaggio che intraprendono. Un viaggio che soltanto all'apparenza sembra trovare una conclusione con l'arrivo sulla cima della montagna, nel corso del quale Solo apprenderà il senso profondo della solidarietà e del significato di libero arbitrio…

On the lonely roads of Winston-Salem, North Carolina, two men forge an improbable friendship that will change both of their lives forever. Solo is a Senegalese cab driver working to provide a better life for his young family. William is a tough Southern good ol‘ boy with a lifetime of regrets.
One man‘s American dream is just beginning, while the other‘s is quickly winding down. But despite their differences, both men soon realize they need each other more than either is willing to admit. Through this unlikely but unforgettable friendship, GOODBYE SOLO deftly explores the passing of a generation as well as the rapidly changing face of America.
 
…It's a work of small gestures and great meaning, constructed as gracefully and as meticulously as any important film you can name, made by a director who never insinuates himself into the mechanism.
The story moves along with the relentlessness and surprising randomness of reality. No exchange is banal. No piece of dialogue suggests a scripted drama. Yet every moment – including a physically exhausting climactic scene that both confounds expectations and compounds the film's poetic majesty – is evidence of a masterpiece.

…Ma il respiro del film al quale ci siamo abbandonati più volentieri è quello che ci richiama alla presenza di una cultura dell’ascolto, qui messa in valore da qualcuno che abbraccia – come Rahmani – una prospettiva transnazionale, diasporica, aliena da ogni tentazione di rifugio negli assoluti identitari. Ecco, uno dei motivi per cui bisognerebbe raccomandare a un distributore italiano di recuperare questo piccolo capolavoro, anche solo per il mercato homevideo, è che Goodbye Solo potrebbe risultare terribilmente indigesto agli amministratori di Coccaglio e a quanti hanno sviluppato un insano terrore per l’incontro. Fra tassisti senegalesi, mogli/figlie ispaniche, vecchi hippy frustrati e registi iraniano-americani, il film mette in circolo tanti anticorpi preziosi a proteggerci dalla paura del non-bianco…
 
La volontà del regista si esprime soprattutto attraverso il non dire e il non vedere: continui filoni narrativi vengono aperti e puntualmente abbandonati, lasciati rinsecchire senza una risposta definitiva che tolga, almeno parzialmente, la sete di sapere dello spettatore. Le ricerche di Solo sulla vita passata di William, sui suoi eventuali parenti ancora in vita, finiscono tutte per arenarsi; alla fine del film nemmeno un fotogramma viene dedicato al corpo di William, la sua fine e i suoi eventuali propositi suicidi restano in sospeso senza una risposta, esattamente come un bastone che lanciato dalla vetta della montagna del vento, invece di cadere, rimane a fluttuare nell’aria. Solo alla fine ci accorgiamo che quella sete che credevamo di avere il film ce l’ha tolta, anche senza averci mai fatto vedere una sola goccia d’acqua…
 
…Mr. Bahrani has cited Roberto Rossellini’s “Flowers of Saint Francis” as an influence on “Goodbye Solo,” and while Solo is hardly without sin, he does seem at times to be in possession of a quality that can be described only as grace.
William has it too, but in a more melancholy form. The two men, though they seem to share a destination, in fact cross paths going in opposite directions. Solo, a fairly new arrival in a strange land, is working his way up and in, toward the bright promise not only of material comfort but also of belonging. William is in flight, seeking the outer edge of experience and the oblivion that lies beyond it.
What each one takes from the other is not spelled out and does not need to be. Because grace is also what defines Mr. Bahrani’s filmmaking. I can’t think of anything else to call the quality of exquisite attention, wry humor and wide-awake intelligence that informs every frame of this almost perfect film

…'Goodbye Solo' is a truly engaging and emotional experience. The film furthers the great tradition of humanist cinema that masters such as Satyajit Ray, Ken Loach and Abbas Kiarostami have become legends pioneering. It is so hopeful that cinema-lovers of my generation can begin to look at Ramin Bahrani as a filmmaker with a talent and depth that exudes respect for the medium and towards those who love it.

Find out where this film is showing and go and watch it, regardless of the 'kind of film' you think you like to see. From the first scene, you will feel welcomed, engaged, amused, challenged and moved.

You will leave the screening when it's finished, but the film might not leave you for a long time.

Almanya - Yasemin Samdereli

molti si ritroveranno in una storia che racconta emigrazione e spostamenti, situazioni nelle quale molti dei nostri padri e nonni sono stati protagonisti.
e così per vita vissuta o per conoscenza personale qualche situazione e battuta del film ce l'abbiamo dentro.
il film merita molto per il sorriso e l'ottimismo di tutti i personaggi, le qualità migliori per battere i razzisti.
ci sarà da ridere e pensare, non è un film perfetto, ma vi aspetta e non vi deluderà - Ismaele


La regista si serve di aneddoti palesemente autobiografici, come il desiderio dei più piccoli di festeggiare il Natale, invidiosi dei regali, dell'albero e dei pranzi che sfoggiavano i loro coetanei, e li alterna a questioni impegnate come quelle riguardanti il ruolo dello straniero per lo sviluppo socio-economico (si parla dunque di classi operaie) della Germania. Significativa la frase storica dello scrittore Max Frisch: "chiedevamo dei lavoratori e sono arrivata delle persone". Che chiude (e al contempo apre al futuro) l'epopea dei suoi protagonisti. Appurato che l'Elia Kazan più autobiografico, quello di "Il ribelle dell'Anatolia" ("America, America", 1963) resta un modello assolutamente irraggiungibile, i riferimenti della Samdereli sono comunque numerosi e piuttosto evidenti: il britannico "East is East" (su una famiglia di pakistani in Inghilterra), Fatih Akin (il più importante regista turco-tedesco del cinema contemporaneo), alcune scorribande familiari di Emir Kusturica, Jean-Pierre Jeunet (soprattutto nella sequenza del sogno a base di Coca-Cola).
"Almanya" è un altro film sul tema dell'imigrazione, sincero ma impersonale, con flashback e bozzetti sull'orlo della cartolina caricaturale, esile ma gradevole, scanzonato e con annessa lacrimuccia finale, pur sostanzialmente non fasulla.
…Le sorelle Samdereli con un certo coraggio (e chissà quanto consapevole) e con supremo sprezzo della probabile indignazione della critica engagée, osano l’inosabile, cioè raccontare l’immigrazione turca in Germania degli anni del boom economico degli anni Sessanta-Settanta (il boom tedesco, quello turco è adesso) senza piagnistei, senza accuse di razzismo ai tedeschi, senza farci vedere il rifiuto e il rigetto da parte dei biondi teutonici del moro e scuretto e baffuto uomo anatolico, insomma aggirando il canone del film di immigrazione, che sia Il Padrino parte seconda o il pur adorabile e venerabile Rocco viscontiano. Anzi, in famiglia (quella del film, e forse anche quella della regista che in tutta evidenza ci mette parcchio di autobiografico in quello che ci fa vedere), c’è una gran felicità e un certo orgoglio nell’essere in Germania e gratitudine, ebbene sì gratitudine, per il paese che li ha accolti, mica respinti come usa adesso…
…Non si può far a meno di pensare che il film sia in una qualche misura autobiografico: le sorelle Samdereli raccontano storie di persone con le quali sono cresciute, inserendo episodi della loro infanzia da musulmane in terra cattolica, senza cadere nel facile clichè del diverso, vittima di una cultura fondamentalmente razzista. Anzi, con grande intelligenza riescono a trattare la materia che hanno con una comicità fresca e pulita, che sfrutta gli stereotipi attraverso gli occhi ingenui di chi vede il mondo per la prima volta.
Non c’è dramma, il multiculturalismo non è solo la pagina nera dei giornali … c’è dell’altro, ed è bene raccontarlo con un sottofondo travolgente e immagini ravvivate da colori accesi e da una forte positività insita in ogni sequenza: neanche la morte, in questo elegante film, riesce a svuotare di significato la vita, a guastare la serenità e l’equilibrio interiore … e dove può accadere, se non in oriente?
 

martedì 10 gennaio 2012

Dementia 13 (Terrore alla tredicesima ora) - Francis Ford Coppola

il secondo film di Francis Ford Coppola (nei titoli di testa il nome appare senza Ford).
scuderia Corman, non è perfetto, ma si vede con piacere.
un buon inizio (aveva 24 anni), per il giovane Francis  - Ismaele



Prodotto a basso costo da Roger Corman, il secondo lungometraggio di Coppola se la vede con una sceneggiatura a dir poco incoerente, puro pretesto per sequenze di suspense e di sangue. Emerge comunque una messa in scena gotica, non priva di eleganza e di tocchi surreali.

… La regia di questo film a bassissimo budget (si dice circa 30.000 dollari) da girare in Irlanda viene affidata da Roger Corman all’allora collaboratore Francis Ford Coppola. Ma Coppola torna dall’Irlanda con un film incompleto, che dura meno di un’ora. “È stato allora che c’è stata la famosa scena, quando Roger Corman ha visionato il primo montaggio per la AIP: ha rotto la matita, l’ha gettata contro lo schermo e se n’è andato dalla sala di proiezioni, era così arrabbiato – racconta Jack Hill, all’epoca anch’egli collaboratore di Corman. Mancavano intere scene e quello che c’era non si amalgamava insieme e non aveva senso”. Per rimediare, Coppola scrive delle nuove scene, ma non basta. Corman incarica Hill di scrivere e dirigere delle ulteriori sequenze e supervisiona il montaggio finale. “Era un film incompleto e sostanzialmente ho avuto il compito di metterlo insieme” ricorda ancora Hill. Terrore alla tredicesima ora risulta alla fine uno psycho thriler elegante, visivamente ricercato, incentrato su un gruppo di famiglia con psicopatico assassino, con una coerenza interna non eccessiva e un finale un po’ troppo brusco

qui si può vedere e/o scaricare con i sottotitoli in spagnolo

domenica 8 gennaio 2012

Il bagnino d'inverno (Cuvar plaze u zimskom periodu) - Goran Paskaljevic

Il primo film di Paskaljevic è un film davvero bello. Se non ti dicessero che è un film jugoslavo penseresti che sia un film italiano degli anni ’60, uno di quei gioiellini da rivalutare, divertente e triste insieme, in una storia, senza tempo, di giovani e delle loro famiglie.
Davvero una bella sorpresa, merita - Ismaele


Giovane diplomato senza fisso lavoro decide di sposare la fidanzata, giusto perché entrambi sono stanchi di vivere nelle rispettive famiglie dove regnano miseria e malumore. Si sistemano in uno stabilimento balneare, disabitato poiché è inverno. Il ragazzo si mette a fare umili lavori pur di guadagnare qualche soldo, ma la vita è amara. Intanto i genitori della sposina la convincono a lasciare il marito. Per sopravvivere lo sfortunato giovane dovrà emigrare in Scandinavia.

This was Paskaljevic's first feature and, although it has faults, it is a fine accomplishment in itself. Dragan is an almost unemployable young man, with no qualifications- a repeated theme of the film is the importance of qualifications- dominated by his deranged family and going from one unsuitable temporary job to another, sponsored by friends of his drunken aunt. He meets a girl from an equally dysfunctional family, equally eager to escape her relatives,and they marry, against her family's wishes…


 

sabato 7 gennaio 2012

Grazie al cielo - Andrea Jublin

Il Supplente - Andrea Jublin





È dedicato a chi ha problemi di condotta Il supplente, il cortometraggio candidato all'Oscar scritto, diretto e interpretato dal torinese Andrea Jublin e prodotto da Sky Cinema. Nel filmato di 15 minuti, Jublin ha il ruolo di un avvocato che fa irruzione in una classe di liceo fingendosi un supplente assai più indisciplinato degli alunni. «È un uomo che vuole ritrovare l'energia dell'adolescenza - racconta il regista -; ha problemi di condotta perch´ rifiuta di soccombere all'immobilismo del mondo degli adulti. Continua a desiderare di crescere».
Anche la storia personale di Jublin è all'insegna delle aspirazioni perseguite per una vita, a costo di grandi sacrifici. Classe 1970, il regista ha lavorato per anni come copywriter. «Scrivevo i miei soggetti la notte - racconta -. Il primo lungometraggio, Ginestra, l'ho girato in uno scantinato in condizioni agghiaccianti». A Sky Jublin è arrivato vincendo un concorso: ne Il supplente l'azienda ha investito circa 80mila euro ed è stata lungimirante perché il cortometraggio ha vinto riconoscimenti prestigiosi. «Ma quando mi ha telefonato l'Academy per dirmi che ero stato nominato agli Oscar ero sicuro che si trattasse di uno scherzo», confessa.
da qui

venerdì 6 gennaio 2012

Emotivi anonimi - Jean-Pierre Ameris

bravissimi gli attori, una storia di timidezze e paure e decisioni, mi è piaciuto più di quanto pensassi.
lasciate il divano, non è un capolavoro, ma ne vale la pena - Ismaele


Costruito sulla mimica dei due protagonisti, straordinari nel calarsi nei rispettivi ruoli senza mai dar l'impressione di essere diversi da quello che vediamo, Emotivi anonimi funziona per l'equilibrio tra il senso del tragico, derivato da una condizione di assoluto impaccio, e la voglia di esorcizzarlo con un atteggiamento ludico e clownesco; nella fisiognomica dell'insieme, popolato di facce che non diventano mai caricature ma ne ricalcano l'enfasi per il dettaglio, nello stile sofisticato che non diventa mai altezzoso…

Commedia delicata e un po’ fuori dal tempo (per colori e ambientazioni) ma anche attualissima per il tema affrontato. Chi di noi non si è mai sentito, almeno per una volta, preoccupato del giudizio altrui? Tutti, più o meno: ma se per qualcuno si tratta di una preoccupazione passeggera, a qualcun altro capita di cadere nell’ansia totale se non addirittura nel panico. E così accade che tante persone di talento siano frenate dalla troppa timidezza (come accade alla protagonista Angélique che riesce ad esprimere la sua abilità solo nel completo anonimato) oppure che persone imprigionate nella loro mediocre quotidianità non riescano a uscire dal loro guscio (come il protagonista Jean-René incapace persino di stabilire un semplice contatto fisico).
I due protagonisti hanno il grande merito di rendere alla perfezione emozioni forti e contrapposte: timidezza e attrazione, imbarazzo e tenerezza, paura e desiderio. Sono proprio loro, Isabelle Carré (interprete fra gli altri de Il rifugio di François Ozon) e Benoit Poelvoorde (visto di recente nella commedia francese Niente da dichiarare? accanto a Dany Boon nei panni di un doganiere belga razzista e intollerante) la cosa migliore del film: due interpreti semplicemente deliziosi. Ma va dato merito al regista Jean-Pierre Améris, alla sua prima prova in una commedia, di aver costruito una favola surreale (ma non troppo) che prende le mosse da uno spunto fortemente autobiografico. Ex (o forse non del tutto) “Emotivo Anonimo” che ha frequentato le riunioni dell’associazione “Les Emotifs Anonymes” che funziona come altri gruppi di appoggio che si propongono di aiutare persone affette da particolari disturbi o dipendenze (un po’ come gli Alcolisti Anonimi), Améris dimostra di saper giocare con un tema non facile firmando un’opera in cui raffinatezza e garbo dominano ininterrotti per ottantadue minuti. Una fiaba al sapore di cioccolata ma in cui non si fa indigestione, perché tutto è diluito dalla sottile e amarognola ironia con cui è trattato un disturbo che porta a solitudine e asocialità. Un disagio prepotentemente attuale soprattutto in tempi come questi, dominati da modelli “vincenti” e al limite dell’irreale perfezione (interiore ed esteriore)…

…Per chi, come chi scrive, si troverà ad essersi trovato spesso, nella vita, a soffrire di timidezza ed emotività cronica, la visione del film di Améris avrà una funzione terapeutica. Il protagonista, che lo stesso regista non ha fatto mistero di aver immaginato proprio sul modello delle proprie debolezze, ha una fabbrica di cioccolato in una Parigi da favola in cui va a lavorare una giovane talentuosa cioccolataia. I due hanno tutto in comune, compresa la loro insopprimibile paura del mondo. "Purché non ci succeda niente", è il motto delle loro esistenze. L'incontro tra i due sarà ovviamente occasione di esplosione sentimentale, ma anche di situazioni comiche tra le più esilaranti viste nelle ultime commedie dell'anno.
Sì, perché il merito vero della sceneggiatura di "Emotivi anonimi" non si ferma all'aver fotografato con grande realismo e intuito un tipo di carattere così diffuso e così difficile da tratteggiare al cinema. Si estende invece, da un punto di vista strettamente cinematografico, all'averci regalato una serie di "situazioni comiche" come non se ne vedevano da tempo. Congegnato come un meccanismo perfezionista, che mira a incastrare al meglio il procedere equilibrato dell'innamoramento con l'improvviso momento comico, il film scivola via con grande piacere per tutti i brevi ottanta minuti. Alla fine, il messaggio ottimista che resta, per una volta, risulta non consolatorio o fuori posto. E il finale a metà tra il sognante e il gioioso non tradisce neanche lo spettatore più severo o esigente: ogni momento di felicità costa fatica per chiunque.

Emotivi anonimi è un po' come una lieve spolverata di neve che non riesce ad attaccare al suolo, ma che s'insinua ciò nonostante nell'immaginazione dello spettatore grazie alla tenera malia dei due protagonisti, amabilmente contraddistinti dai loro tic, dalle loro smorfie, dalla loro sostanziale incapacità di superare - senza intoppi - la distanza di sicurezza oltre la quale possono sbocciare e fiorire i sentimenti. E anche se il ritmo altalenante, tra flash di indubbia simpatia e momenti di ridondanza narrativa, in parte inficia la fluidità del racconto, Jean-René e Angélique riescono invece a far breccia nel nostro cuore grazie alla loro importante allegoria di 'rinascita'; due anime spaesate e trasognate quanto basta per aprirci le porte di un mondo romantico e ingenuo (che ci appare oggi forse più distante che mai) e del quale vorremmo invece fare parte…


mercoledì 4 gennaio 2012

film (non al cinema) del 2011 - Africa, Asia, Oceania

senza parole, anzi no.
(inizia con la musica dei Penguin Cafè Orchestra)
cercatelo e guardatelo, bellissimo e terribile.


un film africano, ti aspetti morti, carestie, dittature, prevaricazioni e cose così.
qui la bellezza straordinaria è che c'è la vita povera dignitosa e pacifica di un villaggio nel quale torna Abderrahmane Sissako, c'è il padre che legge Aime Cesaire, un ufficio postale dove si prova e telefonare, e una mancanza di ansia impagabile.
astenersi chi non ha un ora da guadagnare.

una ragazza poco esperta in una specie di ospizio, a fare da infermiera/badante.
esistono, tra gli altri, due persone con un dolore che annichilisce, lei è una, e solo  un giorno e una notte nella foresta di Mogari riesce a lenire il dolore che si portano dietro, a combattere e vincere, se si può, il lutto, la sofferenza interiore.
un film che non si può raccontare, non ci sono urla, dichiarazioni, spiegazioni, tu vedi tutto, in un crescendo di emozione e coinvolgimento.
più bello di quello che ti immagini, eccezionale .

Ambientato lungo le rive del fiume che è lo stesso di "Bad Guy", di Kim ki-Duk, è un film che non ti molla fino alla fine, nel quale partecipi e parteggi per la bambina e il padre, novello Ulisse che deve sconfiggere il nemico-mostro ricorrendo all'astuzia. Un film che non delude, la storia è potente e semplice insieme. Grande cinema.

film (non al cinema) del 2011 - Europa (2)

Inizio dicendo che è un film epico e immenso.
Servono altre parole per invitare a vedere un film?
Gli attori sono perfetti, i militari golpisti schifosi, Trintignant un po' come Falcone, Montand un politico d'altri tempi, Perrin viscido, la storia è sempre attuale, la musica perfetta.
insomma, se non si è capito, questo film è un capolavoro.


un film formidabile,  non ti stacchi fino alla fine, un bianco e nero senza tempo, una tensione crescente, una sceneggiatura a orologeria.
ricorda tanti altri film, ma è originale, originalissimo, a suo modo.
in sintesi: un film imperdibile 

lo rivedo dopo 15 anni, e mi sembra ancora davvero un gran bel film. 
meglio vederlo di notte, al buio, Ole Bornedal è davvero un grande (poi ha fatto un remake in Usa con attori famosi, ma la versione danese è la migliore).
se posso fare un paragone è con "Tesis", di Alejandro Amenabar, sono due film sorprendenti.

un film che non ti aspetti, una storia concreta che sembra di fiaba, ben prima del neorealismo e di De Sica. 
per me una gioia, una scoperta, un capolavoro

Uno di quei film quasi impossibili da raccontare, un bianco e nero perfetto, due attrici che non si scordano, una storia nella quale non si capisce chi accudisce chi, chi ha più bisogno di comunicare, un film in una casa in riva al mare, ma il mondo entra, con la televisione e una foto, come a dire che le guerre esistono e non si possono dimenticare.
Una storia di immagini, e di parole, dette e non dette.
Un giorno o l'altro questo film bisogna vederlo. 


film (non al cinema) del 2011 - Europa (1)

Un film unico, all'inizio sembra una cosetta, poi ti prende fino alla fine, in un crescendo verso altro, preda di un occhio che incanta, cattura, trasforma, uccide, forse. Inquietante e bello. Provare per credere.

A Torinói ló (Il cavallo di Torino) - Bela Tarr

Eraserhead dice che i commenti al film di Bela Tarr sono inadeguati (mai stato più d’accordo), Giuliano dice che di affrontare un discorso su Bela Tarr ancora non se la sente, io per mia parte provo a raccontare qualcosa che il film ha scatenato.
A partire dalla storia di Nietsche aTorino un cavallo riporta a casa un uomo, forse il vetturino di quell'episodio. E' una storia con un uomo di 58 anni, della figlia, del cavallo e un pozzo che si asciuga. Bela Tarr fa un film, che nessuno, temo, distribuirà in Italia.

La storia, a partire da pochi elementi con poco contesto, diventa universale, e tutti la possono capire, a vari livelli.


Siamo alla fine della vita di un luogo, la Terra, chissà, appare un compratore di alcol, che cerca di spiegare le cose che succedono, e non succedono, con dei miti e complotti, il padre giudica il tutto come scemenze; appaiono degli zingari che vogliono partire e si invitano al pozzo, il padre deve tirare fuori un’accetta per mandarli via. Intanto il cavallo smette di voler viaggiare e poi anche di mangiare (sta lasciandosi morire?), poi padre e figlia e cavallo partono, ma tornano indietro, è inutile fuggire, l’elogio della fuga non esiste.

Mi è venuta in mente una frase di Cesare Pavese, “Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola.”

Tre melodie accompagnano gli eventi, la musica pulsante di Vig Mihaly, la musica incessante del vento e il suono del silenzio. 


Il mondo è sempre stato difficile, per molti lo è, e il futuro sarà oscuro. Tutto è essenziale, sorrisi non ce n’è, parole solo quelle indispensabili, anche meno, non esistono telefono, tv, riscaldamento, giornali, un grado zero della tecnologia e dei rapporti umani.

Mi sono venute in mente le parole di Primo Levi, “Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici:Considerate se questo è un uomo…”, un corto circuito mentale, chissà. (Pavese e Levi, sono morti entrambi suicidi, a Torino).

È un film da vedere senza rete, lasciandosene attraversare, abbandonandosi alle immagini, alla storia, ai suoni, (alle associazioni mentali); Bela Tarr non lo ingabbi in schemi precostituiti. 

Come volevasi dimostrare ogni commento è inadeguato.
L’ho visto in lingua originale, con sottotitoli in inglese, forse apparirà anche con sottotitoli in italiano, chissà. 

Alla fine della visione sai solo che è un film immenso. 

California Dreamin' (Nesfarsit) - Cristian Nemescu

morto a 27 anni, sarebbe diventato un grandissimo del cinema.
il film, che non è stato montato del tutto, causa morte, è già bellissimo così, per i miei gusti.
sotto metto qualche recensione sfavorevole, per completezza, giudizi ingenerosi e sbagliati.
i romeni, vedi anche Radu Mihaileanu, in "Train de vie, devono avere un talento per i treni:)
imperdibile, a un passo dal capolavoro.

un film che ti lascia senza parole, non ti stacchi fino alla fine, poi taci.
grande regista, certe cose da sole valgono il film, il dialogo col prete, il poliziotto che piange, il resto aggiungetelo voi.
da non perdere, potente,

una sorpresa bellissima, un film misurato, non retorico, con attori che ti sembra di conoscere nella vita.
e tutti bravissimi.
sembra che ci concedano il privilegio di farsi raccontare la loro vita.
l'idea di Patriota, poi, è geniale.
non ve ne pentirete.

Michael Caine in stato di grazia, in un film che è un meccanismo ad orologeria perfetto, una sceneggiatura splendida in un crescendo irresistibile. 
servono altre parole per cercarlo?