lunedì 18 dicembre 2017

High-Rise (High-Rise: La rivolta) - Ben Wheatley

il film è tratto da una storia di James Ballard, chi ci prova è uno con del coraggio molto grande.
un racconto di un futuro prossimo venturo, in cui un grattacielo ospita e fa convivere persone di classi (un tempo non lontano si sarebbe detto così) diverse.
un po' come in Snowpiercer, dove un treno, e non un grattacielo, raccoglie persone di classi molto diverse, in vagoni diversi.
in High-Rise ai pieni alti ci sono i più abbienti e fanno la loro bella vita fino a che le cose cambiano, e molto.
non sarà un film perfetto, ma merita di certo la visione - Ismaele





Correva il glorioso anno 1975 quando la fervida immaginazione del visionario scrittore J. G. Ballard – vate della fantascienza sociale grazie a opere seminali quali La mostra delle atrocità e Crash – partorì High Rise (in Italia conosciuto come Il condominio), spietata e grottesca satira sulle pericolose e inquietanti derive di un microcosmo abitativo i cui componenti si trovano a vivere una terribile involuzione specchio di una società già allora vicina al collasso totale. Il grande successo di pubblico e il profondo impatto culturale esercitato dal romanzo fin dalla sua pubblicazione spinsero il produttore Jeremy Thomas a progettarne un ambizioso adattamento cinematografico, segretamente e disperatamente covato per oltre quarant’anni e sul quale si sono avvicendate personalità di grande spessore, tra cui Stanley Kubrick, Nicolas Roeg e Vincenzo Natali. Tuttavia è toccato a Ben Wheatley raccogliere la sfida alle soglie del 2013, affidandosi alla collaborazione della compagna sceneggiatrice Amy Jump per poter finalmente vedere rappresentate sul grande schermo le vicissitudini del dottor Robert Laing (Tom Hiddleston), fascinoso fisiologo inglese da poco trasferitosi in un imponente grattacielo facente parte di un avveniristico complesso residenziale progettato dall’architetto Anthony Royal (Jeremy Irons), con l’intento di replicare strutturalmente le stratificazioni della piramide sociale…

Affascinante solo l'idea di adattare il bellissimo romanzo di Ballard, Il condominio, un'allegoria molto potente e concettualmente molto attuale. Cronenberg in qualche modo lo aveva già in una certa misura anticipato con Il demone sotto la pelle, con canoni più indirizzati verso l'horror. Un complesso che teoricamente è un 'esperimento sociale" secondo la volontà del suo stesso creatore, Royal. Grattacielo con tutti i confort, quasi autosufficiente per non dire autoreferenziale, ma con alla base tanti, troppi elementi che ne determinaranno la degenerazione e la caduta. Una rigida divisione in classi sociali dal basso verso la cima di questa moderna Torre di Babele con giardini pensili all'attico dei Dio creatore Royal. Una torre che si deve "assestare" nei suoi sistemi, i cui guasti sin da quelli di piccola entità non fanno altro che alimentare dissapori fino a generare odio e violenza. Una convivnenza impossibile perchè troppo imprigionata nella sua rigidità sociale, impedisce ogni scalata se non con l'ausilio della violenza stessa. Un critica feroce ai sistemi capitalistici che al loro interno, non esistendo concetti come solidarietà ed equilibrio sociale, genera solo differenze sempre più marcate. Il Complesso/Torre è marcio fin dalle sue fondamenta. E' un film affascinante, visivamente presenta dei passaggi straordinari, ma a volte la seneggiatura è confusa e ridondante. Bravissimi comunque il cast con un Hiddleston sicuro dei suoi mezzi e perfetto nel ruolo di Laing. Un film che pur nelle sue imperfezioni, confermano il talento di uno dei migliori registi d'oltremanica.

l’opera di Ballard è brillante, originale, complessa e destabilizzante. Per questo motivo trarne un film era di certo una sfida ardua e rischiosa. E’ molto frequente che una rappresentazione cinematografica adotti mezzi narrativi diversi rispetto all’opera da cui è tratta; il punto chiave per una buona trasposizione, però, è il saper cogliere gli elementi fondamentali che danno al romanzo la sua unicità. Nonostante alcune scene visivamente efficaci, come quella dell’immenso giardino terrazza, quasi un paradiso terrestre, costruito sulla sommità del grattacielo da Royal, il megalomane architetto della costruzione, e un bel cast al suo servizio (Jeremy IronsTom HiddlestonLuke Evans), il regista Ben Wheatley non riesce a portare sulla scena l’anima del libro, né a coglierne il suo messaggio più importante e profondo. Egli, infatti, concentra spesso la sua attenzione su particolari a dir poco marginali delle storia (es. il figlio di Charlotte Melville o le notti brave dei protagonisti), trascurandone altri di fondamentale importanza. E’ così che il film appare in molti casi slegato nel suo sviluppo. 
Il difetto principale sta poi nel non saper rappresentare appieno la "malata dipendenza" che gli abitanti del grattacielo hanno per il condominio. Nel film sembra che essi siano più che altro degli esaltati, viziati e dediti agli eccessi e che il caos da loro generato sia giustificato da questi motivi o dalla noia, piuttosto che dal loro autolesionistico bisogno di annichilimentoall’interno del grattacielo. Ci si concentra sui loro comportamenti esteriori, invece che sulle contorte e inquietanti motivazioni delle loro condotte. La macchina da presa sfiora la superficie, mentre avrebbe dovuto immergersi a capofitto in questi personaggi, per sviscerarne la psicologia e i disturbi. Ad esempio è privata del suo spessore la “scalata” di Wilder verso la sommità del grattacielo. Il regista la fa passare quasi in sordina, ignorando uno dei motori fondamentali del romanzo: il desiderio di Wilder di sovvertire le gerarchie del palazzo, animato prima da un ideale di libertà e di ribellione verso i superbi abitanti dei piani superiori; poi da una crescente spirale di violenza e brutalità che finiranno per renderlo simile ad una bestia, interessata soltanto ai suoi bisogni primari. E’ un vero peccato, perché Luke Evans era perfetto nel ruolo di Wilder. Lui e il suo personaggio sono i più trascurati dalla sceneggiatura e dalla regia. Anche gli altri due protagonisti, il dottor Laing (nel romanzo alter-ego dello scrittore), e l’architetto Royale, interpretati rispettivamente da Tom Hiddleston e Jeremy Irons, ben calati nel ruolo, alla fine vengono ridimensionati e soprattutto appaiono privi di quell’intensità e quel pathos che era necessario per trasmettere l’angoscia celata dietro la prigionia autoindotta degli abitanti del grattacielo…

Tutta la prima parte del film è un’esplosione di stile, sfarzo, superfici lucide e splendenti, costumi da capogiro, corpi perfetti. La vita nel condominio è scandita da party che durano tutta la notte e poco importa se, al mattino dopo, la spazzatura ostruisce i corridoi. Sono dettagli risibili mentre ogni cosa procede alla perfezione. Le automobili luccicano nuove e pulite nel grande parcheggio riservato ai condomini, gli appartamenti sono nuovi e senza un graffio. Persino i poveracci ai piani inferiori sembrano avere diritto a una piccola fetta del benessere.
Forse è qui che l’estetica di Wheatley funziona meglio, quando deve introdurre un contesto che poggia su un equilibrio precario ma all’apparenza rigidissimo, la simulazione di un’utopia verticale basata su un severe regole gerarchiche.
Tutto ciò è reso in maniera davvero esemplare da una regia che rispecchia visivamente questo schema. Wheatley è geometrico, seziona personaggi e, soprattutto, ambiente con una precisione chirurgica, ci fa sentire, senza spiegarcelo, il peso della suddivisione in classi, così che, al momento della deflagrazione, potrà sbizzarrirsi a forzare e, finalmente, a rompere lo schema…

2 commenti:

  1. A me Snowpiercer mi ha rimasto più di un dubbio, qui poi ancora peggio, io sinceramente non ho capito niente di questo film, che mischia critica sociale, fantascienza e horror in modo davvero caotico..

    RispondiElimina
    Risposte
    1. insomma, sui due film la vediamo in maniera decisamente opposta, mi sa, ma ogni tanto va bene, no?

      Elimina