Alyosha, un bambino di 12 anni, un peso per i genitori, è il non protagonista del film.
il mondo va veloce, soldi, lavoro, lusso, non c'è posto per un bambino, è un ostacolo alla felicità.
se il film non fosse in russo si potrebbe scambiare per un film Usa, o europeo, il mondo è diventato (quasi) tutto uguale.
la polizia fa finta di cercarlo, ma in realtà chi lo cerca è un esercito di volontari (ah, i volontari, come da noi) che svolgono le funzioni che i poteri pubblici abbandonano (come da noi, che coincidenza)
Andrey Zvyagintsev fa pochi film, e tutti fanno male, sono impietosi, l'occhio del regista è un po' il nostro specchio, non ci lascia tranquilli.
fotografia e musica davvero potenti.
naturalmente il film è in un pugno di sale, riemergerà solo se vincerà l'Oscar per il miglior film straniero.
voi cercatelo, se potete, non vi farà stare bene - Ismaele
il mondo va veloce, soldi, lavoro, lusso, non c'è posto per un bambino, è un ostacolo alla felicità.
se il film non fosse in russo si potrebbe scambiare per un film Usa, o europeo, il mondo è diventato (quasi) tutto uguale.
la polizia fa finta di cercarlo, ma in realtà chi lo cerca è un esercito di volontari (ah, i volontari, come da noi) che svolgono le funzioni che i poteri pubblici abbandonano (come da noi, che coincidenza)
Andrey Zvyagintsev fa pochi film, e tutti fanno male, sono impietosi, l'occhio del regista è un po' il nostro specchio, non ci lascia tranquilli.
fotografia e musica davvero potenti.
naturalmente il film è in un pugno di sale, riemergerà solo se vincerà l'Oscar per il miglior film straniero.
voi cercatelo, se potete, non vi farà stare bene - Ismaele
…Il Male è dappertutto, dentro e fuori le persone, ha
radici antiche ma si nutre del nuovo nichilisno di massa, del rifiuto di Dio,
del trionfo della società liquida anzi fusa. Zvyagintsev non si vergogna, come
invece succede nel cinema europeo e americano, a confezionare un film
profondamente etico, a mostrarci – indignandosi – quale possa essere il grado
di mostrificazione indotto dalla cultura della prevalenza dell’Io. Il suo film
è una Passione laica con molti carnefici e una vittima sacrificalea. Qui non ci
sono le concitazioni di tanto cinema giovane con uso e abuso di macchina a
mano, la camera è lenta quando non immobile, i personaggi dislocati con
sapienza all’interno dello spazio schermico. Cinema cerebrale e costruito, che
mostra orgogliosamente il proprio artificio, la propria progettualità. Non c’è
traccia di naturalismo e di ogni spontaneismo-immediatismo, e nemmeno del tanto
diffuso oggi neo-neorealismo. Zvyagintsev muove la macchina da presa (quando la
muove), in una liturgia che ci induce tutti a interrogarci sulla colpa e la
forse impossibile redenzione. E che sapienza, già vista in Leviathan, nell’usare i paesaggi per farne proiezione
e estensione delle anime, e sono desolati pezzi di Russia invernale congelata,
sono edifici abbandonati e ridotti a rovine della contempraneità, metafora
trasparentissima di un mondo in disfacimento. Film monumentale, titanico, che
usa i drammi personali non per un banale chiacchiericcio psicologistico, ma per
avvertirci della presenza di quella cosa che si chiama Male. E memorabile la
sequenza con la madre di lei disseccata dentro dalla vita, e forse anche dai
troppi anni di comunismo. Cinema etico che crede in se stesso e nella propria
missione di denunciare il male. Cinema con l’anima che si rivolge a un mondo, e
a uno spettatore, che l’ha persa da un pezzo.
… Andrey Zvyagintsev nous confronte à une société malade
dont ses personnages sont le reflet, une société où le dialogue est virtuel ou
sourd. Et si ses personnages sont détestables, il nous tient en haleine sans
jamais nous prendre au piège. Le thriller s’impose dès lors qu’il y a
disparition et recherche, mais la force du scénario (le quatrième écrit pour le
réalisateur par Oleg Negin) est de dresser un portrait à la fois singulier de
la société russe contemporaine et universel du devenir du monde. Avec en
arrière-fond la situation internationale envisagée sous l’angle des médias russes…
L’approche esthétique est à dessein glacée au point d’en
devenir glaçante. Optant pour une frontalité et une fixité littéralement
« impressionnantes », Andrey Zvyagintsev nous confronte à ses
personnages, nous invite à les observer tandis qu’il les scrute. Tantôt très
proche d’eux, tantôt distant, ils les appréhendent sans concession, laissant
parler leur environnement (à l’instar des lieux de « vie ») et
offrant à leur comportement toute leur expressivité. Habile metteur en scène,
il gomme toute idée de représentation parvenant à nous plonger au cœur d’un
théâtre pourtant dépourvu d’humanité ; au cœur du théâtre de l’inhumain. Il
attise habilement notre attention dès lors qu’il opte pour une ponctuelle
mobilité, toujours fluide, en recourant à quelques travellings et mouvements
vers l’avant qui se révèlent hypnotiques. Il s’agit alors de sensation.
Le montage est père de contrastes engendrant deux lignes
rythmiques (entre coupes rapides, hâchées, et sequentialité des scènes) qui
confèrent au film son intensité. Les compositions musicales d’Evgueni et Sacha
Galperine, employées avec parcimonie, ancrent un trouble – le nôtre – et
rendent le développement narratif, les interrogations soulevée et l’ouverture
finale absolument hypnotisants. Comme un pavé jeté dans une marre, elles
résonnent en nous, se dissipant peu à peu. C’est alors que les images
d’ouverture nous reviennent. La joie des écoliers et la peine d’Aliocha. La
nôtre.
…Il suo è uno
sguardo privo di qualsiasi pietà nei confronti di una nuova generazione
parentale che ha perso qualsiasi senso di appartenenza. Alyosha non
'appartiene' a nessuno. Non al padre che, non contento di avere un figlio di
cui non si è mai occupato, ha già messo incinta la propria giovane nuova
compagna con la quale ha intrecciato un legame che lo sta avviluppando mentre
lui crede possa aprirgli nuovi orizzonti di vitalità. Lo stesso accade alla
madre, Zhenya, la quale si è sposata per sfuggire al controllo oppressivo di
una madre amata/odiata e ha vissuto la gravidanza come un peso che tuttora si
trova davanti nell'aspetto di un bambino che non ama e da cui non si sente
amata.
…Zvyagintsev non ci va leggero nella sua accusa e
regala alla sua splendida protagonista Maryana
Spivak almeno un paio di
bellissimi, terrificanti monologhi in cui emerge tutta l'insoddisfazione di una
vita che ha alla base la nascita di un figlio mai veramente voluto. Ma questa
coppia di genitori orribili, che nemmeno davanti alla possibilità della
peggiore delle tragedie riesce a trovare la forza per riunirsi, siamo davvero tutti noi? Mentre questa domanda
aleggia nella testa di noi spettatori, il film procede implacabile in due direzioni differenti: quella del
"thriller" in cui, scena dopo scena - grazie all'abile uso di
un'efficace colonna sonora e di lunghi piani sequenza in cui la macchina da
presa sembra costantemente alla ricerca di un dettaglio che potrebbe essere
sfuggito ai protagonisti - siamo sempre più preoccupati per il destino del
bambino e meno interessati alla vita privata dei due genitori;
contemporaneamente il film comincia a svelare sempre di più le sue reali
intenzioni e in un crescendo finale, inserisce una nuova lettura politica
caricando di simbolismi i protagonisti e gli eventi finora raccontati in
maniera forse fin troppo evidente ma comunque efficace. Tanto che sul
bellissimo finale non si può che immediatamente pensare alla canzone di Sting (Russians) in cui il cantautore lanciava un
chiaro messaggio di pace con il verso "I hope the Russians love
their children too". Dopo questo film è quantomeno lecito
chiedersi se lo stesso valga anche per la Madre Russia.
…La trama è racchiusa in una struttura formale
potentissima, per cui questa è un’opera, come i film precedenti del regista
siberiano – Il ritorno, The Banishment, Elena, Leviathan -, in cui fabula e intreccio sono
legati indissolubilmente. Un prologo e un epilogo mostrano uno sguardo lirico
su una natura invernale cristallizzata in uno stato di immobilità e di
impossibilità di cambiamento che già anticipa il significato profondo della
vicenda. Alyosha, un ragazzino di dodici anni, esce da scuola e per tornare a
casa attraversa una porzione di natura che sembrerebbe un bosco selvaggio,
invece è adiacente alla periferia di Mosca dove vive. Lo spettatore è subito
proiettato nella drammaticità della vicenda: Zhenya e Boris, i genitori di
Alyosha, si stanno separando, hanno messo in vendita l’appartamento, e nessuno
dei due vuole tenere con sé il ragazzino, il quale ascolta un confronto
verbalmente violento tra i suoi, dove gli si prospetta un futuro in istituto, e
lui, nel buio della sua camera, piange, appiattito contro la parete, come se
volesse sparire…
… Il pregio della ricercatezza formale che è visibile in ogni
inquadratura e che si arresta sempre a un passo dall’estetismo fine a se
stesso; la ricerca di un senso dell’immagine cinematografica che faccia da
contrappunto al girare a vuoto delle vite dei personaggi; l’utilizzo del piano
sequenza che comunque nulla toglie alla tensione e all’implacabilità del
precipitare degli eventi; i movimenti della macchina da presa calcolati con
precisione maniacale; la capacità di sfruttare in senso narrativo e stilistico
la profondità di campo; tutti questi elementi fanno di questo film un’esperienza visiva di grande impatto e di assoluto valore.
A fronte di chi sostiene che questo sia un cinema all’insegna dello schematismo
e di un’eccessiva inclinazione per la metafora, politica o morale, giova
ricordare che la cinematografia russa è nata come quella formalista per
eccellenza, e che Zvyagintsev si colloca, con pieno merito, su un asse di
registi che parte da Ejzenštejn, passa per Tarkovskij e arriva fino a Sokurov.
…El cineasta
ruso construye una demoledora crítica a la activa clase media soviética, seres
sin escrúpulos que se esfuerzan por alimentar la única fuente de energía que
parece mantenerlos socialmente atareados: el odio. En concreto nos encontramos
con Zhenya y Boris, un matrimonio en proceso de separación cuya relación y la
escasa interacción comunicativa que se produce entre ambos nos impiden concebir
la idea de que, en un pasado no muy lejano, pudo existir entre ambos algo
parecido al amor. Sin embargo, el realizador no se centrará en la desgastada
situación marital, sino en los vínculos afectivos de cada uno de los cónyuges
por separado; encontrando como nexo inexcusable al hijo que tienen en común…
…En dépit d’une mise en scène assez virtuose, le
scénario trop corseté et académique de Zviaguintsev ne réussit pas à masquer
une certaine indigence dans le fond. Certes, il y a par moment quelque chose
d’assez jouissif lorsque le réalisateur tourne le regard vers ces employés de
bureau tous entassés en silence comme des zombies dans l’ascenseur - on pense
alors à l’ascenseur social dans La
Garçonnière, de Billy Wilder. La sexualité, traitée comme
un acte utilitariste et pas plus engageant qu’un selfie, trace aussi d’assez
belles lignes de force, non loin des effets nihilistes de Yorgos Lanthimos ou
de Nadav Lapid. Pour autant, Faute d’amour présente
ses enjeux avec tant d’application et de rigueur mathématique qu’il s’avère
trop facile d’en découdre les tenants. L’absence d’Aliocha digérée, le film ne
trouve en définitive pas plus d’arguments marquants qu’il en avait distillé dès
la scène d’ouverture. Le regard doit ainsi finalement composer avec ces arbres
morts et gelés, dont le reflet n’est que celui d’une Russie incapable
d’accepter ses faiblesses. Tandis que la mère trottine sur son tapis de course,
le père place son nouveau-né reclus dans son lit à barreaux. On a connu
conclusion plus percutante, de même que Zviaguintsev nettement plus caustique
et pénétrant.
Sempre grandissime recensioni. Ancora grazie per ciò che scrivi
RispondiEliminatroppo buono :)
Elimina