un'impresa familiare, un mondo alla fine della sua potenza sta per uscire di scena, non ce la può fare.
altri verranno, questione di tempo.
l'uscita di scena è sempre terribile, sia per un mondo che per le persone che si avviano al disfacimento, e da più in alto si cade più fa male.
non c'è niente da ridere, l'ottimismo non è possibile, siamo stati abituati a crescere, non ci si prepara all'uscita di scena, sarà che si pensa tocchi sempre agli altri, sarà per un (piccolo o grande, chissà) delirio di onnipotenza.
grandi attori, dalla più giovane al più vecchio.
un Haneke minore, dicono alcuni, non è vero, secondo me.
comunque un film da non perdere, al cinema - Ismaele
altri verranno, questione di tempo.
l'uscita di scena è sempre terribile, sia per un mondo che per le persone che si avviano al disfacimento, e da più in alto si cade più fa male.
non c'è niente da ridere, l'ottimismo non è possibile, siamo stati abituati a crescere, non ci si prepara all'uscita di scena, sarà che si pensa tocchi sempre agli altri, sarà per un (piccolo o grande, chissà) delirio di onnipotenza.
grandi attori, dalla più giovane al più vecchio.
un Haneke minore, dicono alcuni, non è vero, secondo me.
comunque un film da non perdere, al cinema - Ismaele
…La pulsione di morte
associata all’altissima borghesia europea, tra concerti di violino e feste di
famiglia sfarzose, dove si concludono affari milionari per opere pubbliche
fallimentari e dove il razzismo incipiente sgorga da ogni situazione… beh,
sembra una metafora talmente tanto banale da risultare quasi stucchevole. Ok.
Siamo alla caduta dell’impero romano, i sentimenti sono morti (figurarsi l’amour…), i funny games sono di glaciale violenza (figurarsi se sono i più
giovani a reiterali…) e l’happy end è servito (in un ennesimo coitus interruptus con la
morte). E sia chiaro: alle soglie del tredicesimo film il punto non può essere
certo quello di stabilire se Haneke sia o meno un bravo regista, un grande
Autore, un fine intellettuale, o fate voi… a ognuno i suoi giudizi ben
argomentati. Il punto è che un film come questo crea dapprima una siderale
distanza emotiva tra (e verso) i suoi personaggi, usandola poi come una clava
ammonitrice verso il suo spettatore. Il cinema è perennemente usato, frustrato, immolato a
un fine… e non ha più bisogno dei nostri sguardi.
… Come ha ripreso gli effetti di certe
pillole della madre su un criceto o un fratellino che è stato fatto nascere per
compensare la morte di un fratello maggiore. Nessuno dei personaggi raccontati
da Haneke in una serie di sketch e situazioni che solo messi assieme ci
offriranno il vero quadro d’insieme, si può dire simpatico, anzi…, anche se in
ogni scena si sente tangibile una sorta di humour nero, quasi un’ombra della
vecchia borghesia bunueliana (ma Haneke non ci casca nella trappola di farci
ridere), che avvolge la disfatta della borghesia dell’epoca Macron-Merkel di
fronte a problemi che non sa risolvere, come gli immigrati o la fine del
capitalismo tradizionale rispetto a quello delle banche…
… un’opera difficile e molto ragionata.
Non a caso Haneke la usa anche come manifesto. Difficile pensare a qualcosa di
più lucido e di più chirurgico che la descrizione del crollo della borghesia
europea a Calais fatto da Haneke. Come se oltre, col mare che ci porta
nell’Inghilterra della Brexit, non si potesse più andare. Attori, a cominciare
da Jean-Louis Trintignant e Isabelle Huppert, strepitosi.
…tutto si scioglie nel finale, nel poderoso pranzo vicino al mare. A quel punto,
quando alla porta del ristorante bussa un gruppo di rifugiati sgomberati dalla
Giungla, l'enorme campo profughi di Calais, a quel punto, dicevamo, la realtà
irrompe nella sceneggiata di famiglia. Lì, noi stessi, pubblico attonito che ha
seguito senza un battito di ciglia questo odioso gruppo di personaggi
completamente in balìa delle difficoltà quotidiane, ritroviamo il bandolo della
matassa. A quel punto, senza svelare troppo di una sequenza finale a dir poco
magistrale e che merita di essere vista senza anticipazioni, si apre davanti a
noi il senso dell'uomo contemporaneo secondo Haneke. Solo che stavolta, di
fronte all'ultima inquadratura, ci lascia con una mezza smorfia sul volto. Non
un sorriso, certo. Più che altro la reazione a un'ennesima trovata grottesca
capace di trasfigurare la scena. E dunque, eccolo il lieto fine promesso dal
titolo: la farsa torna a diventare vita vera, anche se non si può certo parlare
di un "e vissero felici e contenti".
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