in un mondo in via d'estinzione,
umanità che ancora esiste, quella che racconta Franco Arminio.
mi viene in mente un racconto, di
una riga, di Augusto Monterroso: Cuando
despertó, el dinosaurio todavía estaba allí.
e così gli abitanti del paese, al
risveglio, ancora esistono.
gesti che si ripetono, persone
sopravissute in paesi senza bambini.
non succede molto, ma succede
tutto.
le stagioni e il tempo comandano,
c'è lo spazio per qualche desiderio, nuovo e antico.
da guardare insieme a Le quattro volte, meglio
prima Il dono.
e non abbiate paura del silenzio -
Ismaele
…La condizione comune alle immagini
è già definita dalla prima inquadratura (il vecchio apre la porta su un pendio
tremulo d’alberi, mentre un paniere appeso all’interno è giocato dal vento): lo
spazio si raccoglie in una ristretta profondità di campo che lascia intuire
tutta la sua verticalità. È su quest’asse, fatto ora di pietra e di terra, ora
di bitume e lastricato, che si incontrano il vecchio e la ragazza. A margine,
si stende nel paese, fredda e sterminata, la solitudine: nella piazza dove un
piccolo cane abbaia nel vento; nella sala da barbiere, dove l’immagine di un
corpo nudo e dal seno giunonico di una donna campeggia su un muro spoglio; nel
pallone sfuggito alla presa di un ragazzino, e che prima di saltare nel vuoto
di un precipizio, conosce gli spigoli, gli angoli, l’ombra delle arcate nella
forza di gravità.
A una discesa rapida e veloce, che sa di vita, segue un ritorno faticoso, una salita dolorosa, dove il corpo della ragazza, che sembra essere l’unico corpo fresco e giovane del paese, cede al sacrificio, su un altare che è un sedile inclinato all’indietro di un’auto ferma in un vicolo di campagna. Spezzando il pane e versando il vino, come nell’Ultima Cena, il vecchio, invece, prima di accommiatarsi dalla vita, rifiuta l’invito della giovane, già pronta a concedersi, liberandola definitivamente nel dono di un motorino dalla cromatura come quella del cielo. Così Il dono si giustappone, per la stessa leggerezza e tensione metafisica, a Le quattro volte, dove in un silenzioso scorrere d’immagini, il corpo del pastore sembrerà ricominciare la vita nel maggiare di una capretta appena nata, nell’imponenza di un tronco d’abete, nel grumo nero del carbone che, nell’ultima e magnifica inquadratura, fumerà da una canna fumaria nell’aria di una fredda mattinata.
A una discesa rapida e veloce, che sa di vita, segue un ritorno faticoso, una salita dolorosa, dove il corpo della ragazza, che sembra essere l’unico corpo fresco e giovane del paese, cede al sacrificio, su un altare che è un sedile inclinato all’indietro di un’auto ferma in un vicolo di campagna. Spezzando il pane e versando il vino, come nell’Ultima Cena, il vecchio, invece, prima di accommiatarsi dalla vita, rifiuta l’invito della giovane, già pronta a concedersi, liberandola definitivamente nel dono di un motorino dalla cromatura come quella del cielo. Così Il dono si giustappone, per la stessa leggerezza e tensione metafisica, a Le quattro volte, dove in un silenzioso scorrere d’immagini, il corpo del pastore sembrerà ricominciare la vita nel maggiare di una capretta appena nata, nell’imponenza di un tronco d’abete, nel grumo nero del carbone che, nell’ultima e magnifica inquadratura, fumerà da una canna fumaria nell’aria di una fredda mattinata.
…Punto di riferimento per
il suo cinema è chiaramente Abbas Kiarostami, richiamato in quasi ogni sequenza
e citato apertamente nel finale. Peccato che il direttore della fotografia non
sia stato in grado di dare tridimensionalità al film esaltando con il suo
lavoro i luoghi in cui la storia è ambientata, e sì che nelle pellicole di
Sharunas Bartas – altro evidente amore del regista – le immagini colpiscono
spesso proprio per la bellezza della fotografia. Ma di Bartas, Frammartino
conserva soprattutto l’ambiguità espositiva: poche sono le cose spiegate in
maniera evidente, in questo suo racconto – non lo è nemmeno il dono che dà il
titolo al film. Questa cercata ambiguità appiattisce le emozioni che il film
vorrebbe far nascere nel cuore dello spettatore, ma aumenta il fascino di una
pellicola che si offre a molteplici interpretazioni, senza disattenderne
nessuna ma a dir la verità senza riuscire ad appagarne pienamente alcuna.
Proveniente dal mondo
delle installazioni multimediali ma con una discreta esperienza nei
cortometraggi, Frammartino ha bene in mente il tipo di cinema che vuole fare e
sa raccontare storie per nulla banali. Lo fa con modi ancora da sgrezzare,
anche in quanto a montaggio, ma intanto avercene.
… La
Caulonia, paesino della Calabria incassato tra le rocce e svuotato a causa
dell'immigrazione e che ora conta solo un centinaio di anime, una terra a cui
l'autore milanese è fortemente legato, perchè paese natale dei suoi genitori e
Terra che assorbe, metaforicamente (il vecchio protagonista Angelo
Frammartino, nonno del regista, in un finale di profonda intensità) ed
esistenzialmente, perchè centro di continui rimandi alle sue origini. Lo
stesso Frammartino, spinto da necessità non solo affettive, ma anche
burocratiche, ci ritornerà per dirigere Le Quattro Volte (2010),
stabilendo così un rapporto di continuità con questo suo straordinario esordio.
Il dono nel film, non è soltanto la motocicletta "Vespa" che il
protagonista compra con i propri risparmi per regalare alla ragazza ritardata
del paese (Gabriella Maiolo), ma lo si può ritrovare in tutte quelle azioni
quotidiane che seguono il racconto. La giovane infatti, affronta giornalmente
un ripido sentiero in sella alla sua bicicletta per aiutare gli anziani del
posto con la spesa, concedendosi occasionalmente agli automobilisti di
passaggio che incrocia durante i faticosi tragitti. Inoltre, si sottopone a
tradizionalistici rituali locali, messi in atto per curarla da una presunta
possessione, di cui lei è convinta. E qui riemerge un ritorno, non solo col
passato (la Lucania del Brunello Rondi de Il Demonio), laddove i
mali della mente venivano scambiati per mali dell'anima, ma anche con il
contemporaneo più metafisico residente tra le terre francesi (e mi piace
pensare alla ragazzina "esorcizzata" da Le Gars in Hors Satan).
Terra che riceve, terra che offre e a cui si fa ritorno dunque, germogliante
indizi che non hanno bisogno di parole e che lo spettatore viene invitato a
cogliere nel silenzio dei panorami rurali: il cane morente, la foto
pornografica, il cellulare, la palla che rotola giù dalle scalinate dei vicoli,
la processione, la fossa scavata. E osservando quell'imbarcazione arenata sulla
costa, proiezione lungimirante (una civiltà alla deriva? Il bisogno di libertà
citato dall'autore?), possiamo solamente giungere alla conclusione che il vero
dono è quello che Frammartino fa al cinema (non solo italiano) e a
noi, a tutti quelli che immagini di tale maestosità, riescono a penetrarle con
il cuore.
qui i
modelli cinematografici di Michelangelo Frammartino
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