regista di quel gran film che è Rosso come il cielo, Cristiano Bortone ha fatto pochissimi film,
come Caffè.
si tratta di un film con tre episodi che forse dovrebbero legarsi, in realtà sono del tutto staccati.
come film unico è molto debole, gli episodi, ciascuno per conto suo, trovano una motivazione.
nel segmento belga appare anche Koen De Bouw.
buona visione - Ismaele
si tratta di un film con tre episodi che forse dovrebbero legarsi, in realtà sono del tutto staccati.
come film unico è molto debole, gli episodi, ciascuno per conto suo, trovano una motivazione.
nel segmento belga appare anche Koen De Bouw.
buona visione - Ismaele
…Il caffè non è il protagonista del film, come sembrerebbe suggerire il
titolo, ma il pretestuoso e mero elemento di connessione tra parti separate.
L’affascinante storia del caffè non è neanche evocata, né riusciamo a
percepirne il profumo, le sensazioni, gli elementi di comunione con gli altri,
i significati declinati nei diversi paesi. Il caffè vorrebbe spingerci a
interrogarci sulla “fragilità e la preziosità del mondo e della vita” ma non ci
riesce, non in quest’opera. Il film stesso aspira a essere una riflessione sul
mondo contemporaneo, ma si ferma a un livello superficiale, fragile,
artificioso.
La storia più interessante è quella di Fei e del suo rapporto con il paese
natale, portatore di una Cina che sta scomparendo. Il ritorno alle radici è un
ritorno insieme metaforico e letterale, nel senso di un ritorno alla terra,
all’agricoltura, al lavoro manuale e alle vicende di milioni di contadini
cinesi. La Cina può allora forse recuperare la propria Storia attraverso la
storia individuale dei giovani…
…Seppur, quindi, la scelta di utilizzare il caffè
come leitmotiv del racconto appare un buon pretesto narrativo,
per l'asprezza e la spirale avvolgente dei suoi toni, la pellicola diretta
da Bortone appare senza personalità, non del tutto matura, incapace
di rendere riconoscibile la storia che si prefigge di narrare. Bisogna anche
sottolineare lo sforzo del regista di legare insieme le tre storie in
inquadrature, ad esempio, delle ambientazioni definite allo stesso modo oppure
nell'utilizzare lo stesso linguaggio visivo nella definizione dei diversi
personaggi. Scelte, però, che rimangono isolate in una superficialità
narrativa, forse non del tutto prodotta e voluta da lui stesso.
…l'aspirazione di moltissimi cineasti, d'esperienza o no, è il racconto
corale a più strati: di ancora più persone è la paura che ciò si risolva in tre
storie appiccicate in una, più che di una declinata in
tre. Caffè supera abbastanza questa buca, grazie a un occhio
a Babel e a uno a Traffic, ma con una spinta totalmente
personale, professionale e, anzi, volendo, più spiccata bene dei suoi potenti
predecessori. Nessun vizio italiano traspare infatti dai centrati episodi
cinesi e belga; al massimo -soprattutto il primo- , plagiati da buffe riprese
di ispirazione spottistica (la scena dell assaporazione del caffè di Fey sembra
proprio una pubblicità) e da qualche crane, cosa che, per quanto stramba che
sia, non si può certo dire degli evidenti americanocentrici e
cartoline-obsessed episodi non americani delle opere già citate (sopratttutto
il matrimonio messicano di Babel).
Buonissime le prove attoriali: Dario Aita sembra avere il potere
di modificare anche le provi altrui, è una bilancia di precisione, anzi l'ago
di una bilancia di precisione. Ottimo anche Michael Schermi, ma la vera
novità 2016 è un Ennio Fantastichini controllato. L'incastro tra i tre
racconti è riuscito alla perfezione, tant'è che è difficile definire quale sia
il migliore ,vista anche la perfetta sincronia e sintonia uno con l'altro, ma
quello belga è una chicca non male, incentrato sul bisogno sempre più crescente
che c'è di recuperare la prospettiva sulle cose che accadono a noi e intorno a
noi. Gli altri due sono più racconti morali, quasi di totalmente opposto
indirizzo…
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