martedì 13 febbraio 2018

Caffè – Cristiano Bortone

regista di quel gran film  che è Rosso come il cielo, Cristiano Bortone ha fatto pochissimi film, come Caffè. 
si tratta di un film con tre episodi che forse dovrebbero legarsi, in realtà sono del tutto staccati.
come film unico è molto debole, gli episodi, ciascuno per conto suo, trovano una motivazione.
nel segmento belga appare anche Koen De Bouw.
buona visione - Ismaele







Il caffè non è il protagonista del film, come sembrerebbe suggerire il titolo, ma il pretestuoso e mero elemento di connessione tra parti separate. L’affascinante storia del caffè non è neanche evocata, né riusciamo a percepirne il profumo, le sensazioni, gli elementi di comunione con gli altri, i significati declinati nei diversi paesi. Il caffè vorrebbe spingerci a interrogarci sulla “fragilità e la preziosità del mondo e della vita” ma non ci riesce, non in quest’opera. Il film stesso aspira a essere una riflessione sul mondo contemporaneo, ma si ferma a un livello superficiale, fragile, artificioso.
La storia più interessante è quella di Fei e del suo rapporto con il paese natale, portatore di una Cina che sta scomparendo. Il ritorno alle radici è un ritorno insieme metaforico e letterale, nel senso di un ritorno alla terra, all’agricoltura, al lavoro manuale e alle vicende di milioni di contadini cinesi. La Cina può allora forse recuperare la propria Storia attraverso la storia individuale dei giovani…
Seppur, quindi, la scelta di utilizzare il caffè come leitmotiv del racconto appare un buon pretesto narrativo, per l'asprezza e la spirale avvolgente dei suoi toni, la pellicola diretta da Bortone appare senza personalità, non del tutto matura, incapace di rendere riconoscibile la storia che si prefigge di narrare. Bisogna anche sottolineare lo sforzo del regista di legare insieme le tre storie in inquadrature, ad esempio, delle ambientazioni definite allo stesso modo oppure nell'utilizzare lo stesso linguaggio visivo nella definizione dei diversi personaggi. Scelte, però, che rimangono isolate in una superficialità narrativa, forse non del tutto prodotta e voluta da lui stesso.

…l'aspirazione di moltissimi cineasti, d'esperienza o no, è il racconto corale a più strati: di ancora più persone è la paura che ciò si risolva in tre storie appiccicate in una, più che di una declinata in tre. Caffè supera abbastanza questa buca, grazie a un occhio a Babel e a uno a Traffic, ma con una spinta totalmente personale, professionale e, anzi, volendo, più spiccata bene dei suoi potenti predecessori. Nessun vizio  italiano traspare infatti dai centrati episodi cinesi e belga; al massimo -soprattutto il primo- , plagiati da buffe riprese di ispirazione spottistica (la scena dell assaporazione del caffè di Fey sembra proprio una pubblicità) e da qualche crane, cosa che, per quanto stramba che sia, non si può certo dire degli evidenti americanocentrici e cartoline-obsessed episodi non americani delle opere già citate (sopratttutto il matrimonio messicano di Babel).
Buonissime le prove attoriali: Dario Aita sembra avere il potere di modificare anche le provi altrui, è una bilancia di precisione, anzi l'ago di una bilancia di precisione. Ottimo anche Michael Schermi, ma la vera novità 2016 è un Ennio Fantastichini controllato. L'incastro tra i tre racconti è riuscito alla perfezione, tant'è che è difficile definire quale sia il migliore ,vista anche la perfetta sincronia e sintonia uno con l'altro, ma quello belga è una chicca non male, incentrato sul bisogno sempre più crescente che c'è di recuperare la prospettiva sulle cose che accadono a noi e intorno a noi. Gli altri due sono più racconti morali, quasi di totalmente opposto indirizzo…


Nessun commento:

Posta un commento