Nel febbraio 1968 un giovane regista di
«shorts» pubblicitari riunisce gli amici in un bar di Pittsburgh, in
Pennsylvania. La richiesta è molto semplice: «Ho bisogno di 100 mila dollari,
se riesco a mettere insieme quella cifra possiamo fare un film e guadagnarci
anche qualcosa. Bastano 10 mila dollari a testa, oltre all’impegno di
coinvolgere i vostri parenti e amici come comparse». Gli amici vorrebbero avere
qualche informazione in più, ma il giovane regista non si sbottona: «Sarà un
horror, uno di quei film che si possono vendere ai drive in e che piacciono
tanto alle coppiette che li frequentano per starsene rinchiusi nelle loro
macchine un po’ guardando il film e un po’ baciandosi».
Detto fatto: i soldi vengono
raccolti, la lavorazione inizia subito. Si girerà solo nei fine settimana: in
quei giorni, infatti, le comparse non devono lavorare e possono stare sul set
quanto è necessario per le riprese. Il copione intero non lo vede nessuno: il
regista consegna ogni mattina le pagine con le battute e le scene che saranno
realizzate in quel giorno. Niente di più.
Figlio di
immigrati
Nasce così uno dei più
clamorosi successi della storia del cinema. Il regista si chiama George Romero,
figlio di immigrati (il padre è cubano, la madre lituana). Il film si
intitola La notte dei morti viventi.
Costato poco più di 100 mila dollari, incassa 15 milioni di dollari solo in
America ed è venduto in tutto il mondo. Ispirerà seguiti (molti dei quali
diretti dallo stesso Romero), remake ufficiali e clandestini, fumetti, serie
televisive. Soprattutto, diventerà un film simbolo di quegli anni.
Ad accorgersene per prima fu
Pauline Kael, la critica del New Yorker famosa per i giudizi taglienti (due
anni prima aveva ribattezzato «Tutti insieme piagnucolosamente» il musical per
famiglie Tutti insieme appassionatamente).
Secondo Kael, nel film convergevano Martin Luther King, Sigmund Freud e la
guerra in Vietnam. E questo perché il protagonista era nero (e sarà ucciso per
sbaglio dai «soccorritori»); una bambina diventata morto vivente uccide i
genitori e li divora in un vero e proprio pasto totemico; i metodi che
l’esercito usa per debellare gli zombie sono rastrellamenti coadiuvati da
elicotteri, proprio come avveniva in Indocina e con risultati ugualmente
fallimentari. Romero si divertì molto per quella lettura politica: «Io volevo
fare un film che incassasse, ma non potevo nascondere a me stesso e agli altri
che quelle bare che ogni settimana tornavano dal Vietnam avevano profondamente
segnato me e i miei coetanei. C’era una guerra che nessuno capiva, e tanta
gente moriva. Non si poteva fare a meno di raccontare quello stato d’animo,
qualunque storia si volesse raccontare. Anche Bonnie
and Clyde era Vietnam, anche Il
laureato, anche Easy Rider.
Non si poteva svicolare».
Inchiodati
alle poltrone
Il film non spiega perché i
morti riprendano a vivere e per quale motivo si accaniscano contro i vivi. Ma
per novanta minuti si rimane inchiodati alle poltrone ancora oggi. Tutto è
malsano, tutto va oltre i limiti che fino a quel momento il cinema si era dato.
Nella scena iniziale un ragazzo al cimitero scherza con una ragazza,
terrorizzandola. Sembrano proprio una coppia di fidanzati, ma in realtà sono
fratello e sorella. Poco dopo il fratello, ucciso dai morti, cercherà di
uccidere proprio la sorella. E in quella stessa casa che sembra il fortino
assediato di qualche western trova rifugio anche la tipica famigliola americana
con padre, madre e figlia. Peccato che la figlia sia stata contaminata, le sue
prime vittime saranno proprio i genitori. I vivi perdono la testa, si ammazzano
tra loro, dimenticano la solidarietà. Solo Ben, il nero, sa comportarsi come
gli eroi del West: ma, come si è detto, questo non gli salverà la vita.
Dario Argento vide il film, si
entusiasmò, volle produrre il seguito che sarà girato dieci anni dopo con il
titolo Zombi. Romero ne fu lusingato:
«Dario aveva capito il valore politico del film, la sua natura sessantottina.
Volle che il nuovo assalto dei morti viventi avvenisse in un centro
commerciale. Il tempio del consumismo, violato da chi non può pagare, da chi
non fa aumentare il Pil». Ovvero: il ’68 che sconfina anche nel cinema
horror.
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