lunedì 19 febbraio 2018

Il potere - Augusto Tretti

un film semplice, sembra, chiarissimo e potente, straordinario nel suo coraggio, raccontare il potere, nella sua essenza.
dall'inizio dei tempi fino agli anni '60 c'è tutta la storia del mondo, e dell'Italia, sopratutto.
un film unico, passato qualche volta a FuoriOrario, difficile da trovare, ma poi non te lo dimentichi più.
un capolavoro piccolo e unico, da ritrovare - Ismaele





Quando Il potere trova finalmente la via di un pubblico – seppur minimo, visto che Tretti è rimasto sconosciuto ai più per tutto l’arco della sua vita – l’Italia ha già dimenticato le illusioni del boom e sta iniziando ad annaspare nel riflusso, economico e ideologico. In un paese slabbrato e in pieno stato confusionale, il rigore quasi ascetico di Tretti appare una bestemmia urlata contro il cielo.
Abituato a girare con pochissimi elementi a disposizione, e a barcamenarsi con budget che la gran parte dei suoi colleghi vedrebbe utile al più per un cortometraggio, Tretti dimostra una volta per tutte la differenza tra amatorialità e teoria dello sguardo. Non c’è un solo elemento, nella sarabanda metaforica de Il potere, che possa essere guardato con la benevolenza che si concede, dall’alto di una supposta postura intellettuale, agli “ingenui”. Nello scambiare la professionalità con l’arte, Tretti è stato ridotto per molti anni a scherzo anche ben riuscito ma pur sempre relegato in un angolo. Uno sberleffo contro il cinema “istituzionale”. La sua, invece è stata una sfida ben più alta, e difficile da ripetere. Tretti non ha cercato vie alternative alla prassi, ha negato con forza la prassi, l’ha abiurata, l’ha volutamente vilipesa. Nel suo rigore, nella forza logica della sua messa in scena, non c’è nulla di improvvisato, o di casuale…

Un apologo apparentemente naïf, girato con pochi mezzi e attori non professionisti, che si avvale del tono grottesco per lanciare pungenti staffilate riguardanti i meccanismi occulti che regolano la gestione del potere nei diversi periodi storici della storia umana. L’intuizione folgorante di Tretti è quella di mostrare tre strani personaggi dalla testa di belve (un leone una tigre e un leopardo), seduti su dei troni, come detentori del potere militare, commerciale e agrario. Sono coloro che nel corso dei secoli muovono le fila della spartizione del denaro e del potere, servendosi di volta in volta di ciò che gli fa più comodo. Davanti alla massa questi potenti non compaiono, formano una specie di setta che gli permette di rimanere nell’ombra e nei loro incontri analizzano i cambiamenti in atto nella società e decidono di conseguenza le strategie più idonee per perpetuare il potere, i privilegi e la ricchezza acquisiti. Ciò significa che i politici sono solo apparentemente i detentori del potere, dietro di loro c’è ben altro e questo Tretti lo mostra inequivocabilmente nella sequenza in cui la testa di Mussolini (in realtà una maschera di gomma), appesa ad un gancio, viene gettata via da una delle tre belve, che afferma beffarda “oggi questi burattini non servono più… oggi per continuare a sfruttare e speculare bisogna cambiare tattica e trarre profitto dalle leggi democratiche… oggi per conservare il potere è meglio camuffarsi da socialisti”. La dissacrante pellicola di Tretti non si tira indietro davanti a nessun potere costituito, evidenziando la cialtroneria, la scarsa memoria e l’ipocrisia dei vari protagonisti delle vicende storiche narrate…

Il potere, un apologo apparentemente naïf, girato con pochi mezzi e attori non professionisti, che si avvale del tono grottesco per lanciare pungenti staffilate riguardanti i meccanismi occulti che regolano la gestione del potere nei diversi periodi storici della storia umana. Tretti fa un cinema didascalico da sillabario, vuol raccontare una sua idea della società, e perché non gli piace. Ci riesce per una sua forza derisoria che si avvale d’impassibilità, di non-compiacimento. I volti esemplari, il modo di muoversi, la solitudine dei suoi attori (folle di otto persone, eserciti di dodici soldati), riportano il cinema a un eden dimenticato; a grandi spazi fatti di paesi, monti e campagne della memoria.







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