Sceneggiatura
di Ermanno Olmi, Tullio Kezich
e Mario Rigoni Stern, il film del '69-'70 racconta la storia disgraziata del secondo dopoguerra.
chi riesce a tornare non ha un lavoro, o si emigra, o si cerca di appropriarsi dei beni comuni, per sopravvivere.alcuni, pochi, cercano in montagna i residui bellici della prima guerra, combattuta a lungo nelle montagne del film.
è un lavoro pericoloso, alcuni non sopravvivono.
il vecchio Du, che ha un sesto senso per quel lavoro, sceglie e si fa scegliere da Gianni, che vorrebbe sposarsi e vivere in quei monti della sua infanzia e adolescenza.
un film che non ti annoi un minuto, promesso - Ismaele
chi riesce a tornare non ha un lavoro, o si emigra, o si cerca di appropriarsi dei beni comuni, per sopravvivere.alcuni, pochi, cercano in montagna i residui bellici della prima guerra, combattuta a lungo nelle montagne del film.
è un lavoro pericoloso, alcuni non sopravvivono.
il vecchio Du, che ha un sesto senso per quel lavoro, sceglie e si fa scegliere da Gianni, che vorrebbe sposarsi e vivere in quei monti della sua infanzia e adolescenza.
un film che non ti annoi un minuto, promesso - Ismaele
QUI il film completo
Straordinario nella sua semplicità mostra la tragedia del
dopoguerra e la catastrofe che ha colpito intere famiglie. L'estrema
povertà costringerà alcuni ad espatriare ed altri a cercare di sopravvivere
adattandosi a qualsiasi lavoro. Il reduce, di cui tratta il film, dopo un
fortuito incontro con un anziano "recuperante" inizierà, sotto la sua
preziosa guida, il pericoloso lavoro di ricerca di residuati bellici, di cui è
pieno il territorio, per poterli rivendere come metalli. Spicca per simpatia e
ottima recitazione l'arzillo anziano che rivendica il suo essere "uomo
libero". Sarà per il ragazzo, oltre che per il lavoro specifico, un
maestro di vita. Pur essendo datato è un film che tiene in apprensione lo
spettatore fino alla fine.
… Il protagonista, Gianni,
interpretato da Andreino Carli (nella realtà un semplice agente di commercio),
torna a casa dopo la guerra, la seconda, e ritrova, finalmente, l’Altopiano di
Asiago e il suo paese, la sua famiglia e la sua donna, Elsa (Alessandra
Micheletto). La vita può ricominciare, ma la povertà costringe tutti a scelte
difficili. Come fare a sposarsi? Come trovare un lavoro? Si deve forse
emigrare, come fanno tanti? Come costruire il proprio futuro nel luogo in cui
si è tanto desiderato tornare?
Gianni vuole avere questo futuro e decide di imparare il mestiere
del vecchio Du (impersonato da Antonio Lunardi, reclutato in osteria), figura
istrionica di recuperante ubriaco, una sorta di rabdomante dei cimeli bellici
del primo conflitto, che proprio su quelle montagne ha lasciato tracce ancora
profonde. Questo è stato, del resto, un mestiere diffuso per molti anni in
tutto l’Altopiano di Asiago; una necessità, di fatto, per molte persone.
L’impresa, a prima vista, sembra ottima e
redditizia, e Gianni prova a modernizzare il lavoro del suo nuovo socio Du con
l’uso di un metal detector, anch’esso un
residuato, ma di una guerra, quella da poco finita, che è ancora troppo
presente. Le bombe, i proiettili, il metallo disseminati nelle trincee o nei
forti possono essere venduti a buon prezzo. Ma i pericoli sono davvero troppi.
Ripartire da zero, allora, è la soluzione anche per Mario, e lavorare come
manovale, abbandonare i sogni di un benessere rapido, rappresenta la chance per costruire, sempre nell’amato
Altopiano, la propria famiglia.
E il messaggio? Ci sembra di poter dire, a
questo punto, che il messaggio è duplice.
Il primo, quello più facilmente
afferrabile, proviene dalla storia che il film racconta, nella sua estrema
linearità: la continuazione, che è sempre un
nuovo inizio, della vita esige un senso di ritrovata e rinnovata umiltà, e
rispecchia una naturale legge di concretezza.
Il secondo messaggio, quello di cui è il
portavoce, a ben vedere, il vecchio Du, in forma di aedo tanto sgraziato quanto
autentico, proviene dai luoghi, dai teatri di guerra, dall’Altopiano ferito, e
ci parla con i magic tricks di un uomo-folletto che ha i tipici tratti
della creatura del bosco: la memoria ha comunque bisogno di recuperanti che la
facciano riemergere, perché anche il suo oggetto, la guerra, non è mai finito o
limitato, è destinato a ripetersi, ancora, in tutte le cose della vita.
Qual è, però, il nesso tra i due messaggi?
Forse il primo è incompatibile con il secondo? O forse il secondo è il metro
per valutare la bontà storica del primo? Il dubbio resta sospeso, e questo
“attrito” è la sensazione che resta ben fissa al termine della visione.
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