giovedì 15 febbraio 2018

I recuperanti – Ermanno Olmi

Sceneggiatura di Ermanno Olmi, Tullio Kezich e Mario Rigoni Stern, il film del '69-'70 racconta la storia disgraziata del secondo dopoguerra.
chi riesce a tornare non ha un lavoro, o si emigra, o si cerca di appropriarsi dei beni comuni, per sopravvivere.alcuni, pochi, cercano in montagna i residui bellici della prima guerra, combattuta a lungo nelle montagne del film.
è un lavoro pericoloso, alcuni non sopravvivono.
il vecchio Du, che ha un sesto senso per quel lavoro, sceglie e si fa scegliere da Gianni, che vorrebbe sposarsi e vivere in quei monti della sua infanzia e adolescenza.
un film che non ti annoi un minuto, promesso - Ismaele



QUI il film completo

Straordinario nella sua semplicità mostra la tragedia del dopoguerra e la  catastrofe che ha colpito intere famiglie. L'estrema povertà costringerà alcuni ad espatriare ed altri a cercare di sopravvivere adattandosi a qualsiasi lavoro. Il reduce, di cui tratta il film, dopo un fortuito incontro con un anziano "recuperante" inizierà, sotto la sua preziosa guida, il pericoloso lavoro di ricerca di residuati bellici, di cui è pieno il territorio, per poterli rivendere come metalli. Spicca per simpatia e ottima recitazione l'arzillo anziano che rivendica il suo essere "uomo libero". Sarà per il ragazzo,  oltre che per il lavoro specifico, un maestro di vita. Pur essendo datato è un film che tiene in apprensione lo spettatore fino alla fine.

… Il protagonista, Gianni, interpretato da Andreino Carli (nella realtà un semplice agente di commercio), torna a casa dopo la guerra, la seconda, e ritrova, finalmente, l’Altopiano di Asiago e il suo paese, la sua famiglia e la sua donna, Elsa (Alessandra Micheletto). La vita può ricominciare, ma la povertà costringe tutti a scelte difficili. Come fare a sposarsi? Come trovare un lavoro? Si deve forse emigrare, come fanno tanti? Come costruire il proprio futuro nel luogo in cui si è tanto desiderato tornare?
Gianni vuole avere questo futuro e decide di imparare il mestiere del vecchio Du (impersonato da Antonio Lunardi, reclutato in osteria), figura istrionica di recuperante ubriaco, una sorta di rabdomante dei cimeli bellici del primo conflitto, che proprio su quelle montagne ha lasciato tracce ancora profonde. Questo è stato, del resto, un mestiere diffuso per molti anni in tutto l’Altopiano di Asiago; una necessità, di fatto, per molte persone.
L’impresa, a prima vista, sembra ottima e redditizia, e Gianni prova a modernizzare il lavoro del suo nuovo socio Du con l’uso di un metal detector, anch’esso un residuato, ma di una guerra, quella da poco finita, che è ancora troppo presente. Le bombe, i proiettili, il metallo disseminati nelle trincee o nei forti possono essere venduti a buon prezzo. Ma i pericoli sono davvero troppi. Ripartire da zero, allora, è la soluzione anche per Mario, e lavorare come manovale, abbandonare i sogni di un benessere rapido, rappresenta la chance per costruire, sempre nell’amato Altopiano, la propria famiglia.
E il messaggio? Ci sembra di poter dire, a questo punto, che il messaggio è duplice.
Il primo, quello più facilmente afferrabile, proviene dalla storia che il film racconta, nella sua estrema linearità: la continuazione, che è sempre un nuovo inizio, della vita esige un senso di ritrovata e rinnovata umiltà, e rispecchia una naturale legge di concretezza.
Il secondo messaggio, quello di cui è il portavoce, a ben vedere, il vecchio Du, in forma di aedo tanto sgraziato quanto autentico, proviene dai luoghi, dai teatri di guerra, dall’Altopiano ferito, e ci parla con i magic tricks di un uomo-folletto che ha i tipici tratti della creatura del bosco: la memoria ha comunque bisogno di recuperanti che la facciano riemergere, perché anche il suo oggetto, la guerra, non è mai finito o limitato, è destinato a ripetersi, ancora, in tutte le cose della vita.
Qual è, però, il nesso tra i due messaggi? Forse il primo è incompatibile con il secondo? O forse il secondo è il metro per valutare la bontà storica del primo? Il dubbio resta sospeso, e questo “attrito” è la sensazione che resta ben fissa al termine della visione.




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