venerdì 2 febbraio 2018

Il disco volante – Tinto Brass

ci sono mille motivi per (ri)guardare questo film del 1964, per la sceneggiatura di Rodolfo Sonego, per il talento e l'interpretazione grandissima di Alberto Sordi (dovrei usare il plurale, visto che Alberto Sordi interpreta quattro personaggi), perché è uno dei primi film italiani di fantascienza, perché si ride molto, perché prende in giro tutti, e tutto il resto lo vedrete da voi.

ps: per chi non lo sa questo è il film nel quale Monica Vitti esclama: ”Dime porca che me piase de più!


QUI il film completo, in italiano


…Qui la storia è semplice quanto divertente: un disco volante, con tanto di marziani, atterra nella campagna veneta.

Uno strepitoso Alberto Sordi, impegnato nell'interpretazione di ben quattro personaggi, è spassoso quanto bravo. Non gigioneggia come quando -dopo molti anni- prenderà a dirigersi direttamente, e riesce a essere ineccepibile in tutto, persino nei dialetti. Uno dei quattro personaggi, per i più appassionati, è sostanzialmente quel meraviglioso "Cavo Malconcio" che impreziosisce "I Nuovi Mostri", qui con una tendenza omosex là non percepibile, indirizzata comicamente tanto ai Carabinieri quanto al marziano. Le parti femminili sono di Monica Vitti e Anna Magnani, di cui è inutile sottolineare la bravura.
La modernità assoluta del film sta nella struttura, da falso documentario, inizialmente con interviste, che sarà (un caso?) il futuro marchio di fabbrica di Woody Allen, nonché nella "morale": dietro la comicità si tratta infatti di un film di denuncia della mentalità piccolo provinciale, bigotta e profittatrice che -evidentemente da sempre- caratterizza le nostre desolatissime quanto belle lande.
Tinto era già rivoluzionario allora, molto più di quanto apparisse superficialmente. E probabilmente molto più di quanto lo sia stato oggi e ieri, nelle opere "porcellone" della maturità.
Insomma: perla nascosta, da recuperare assolutamente e divulgare, per ricordaci com'eravamo.

Il disco volante resta a tutt'oggi, secondo me, il miglior film di Tinto Brass. Si tratta, in parte di un veicolo per l'arte di mattatore di Alberto Sordi, ma per un altro verso questo filmetto anticipa addirittura il Germi di Signore e signori (1966). I fantomatici marziani, infatti, si manifestano nella provincia veneta e mal gliene incoglie: gli unici soggetti che possono testimoniare di averli incontrati sono un prete ubriacone, un ragioniere che deve nascondere la relazione con la moglie del sindaco e impazzisce, un giovane nobile malato di mente, una donna in fregola sessuale, una contadina e un brigadiere dei carabinieri: si ritroveranno tutti in manicomio, mentre i marziani effettivamente atterrati vengono fatti gettare in un pozzo dalla contessa, la proprietaria terriera della zona, quella che può disporre anche della carriera del brigadiere. Una delle prime denunce cinematografiche dell'ipocrisia del Veneto bianco e produttivo. Peccato che quel regista si sia perso dietro ai deretani.

All’uscita in sala il film fu un grande insuccesso, nonostante la comicità ben ritmata e un Sordi abbastanza in palla che addirittura si quadruplica per interpretare contemporaneamente il brigadiere, il prete, il conte e l’intellettuale. Oggi però, vale la pena ricordare questa pellicola non solo come uno dei primi approcci alla commedia mescolata con la fantascienza, ma soprattutto per il tipo di discorso satirico che Brass scaglia contro la rozza (allora come oggi) società del nordest. Parliamoci chiaro, non ci troviamo davanti ad un capolavoro del genere, ma di un buon film con qualche lampo di genio.
Tra questi va sicuramente citata la sequenza d’apertura, di stampo “verista”, che vede due dei più importanti giornalisti dell’epoca, Carlo Mazzarella e Lello Bersani, intervistare gli abitanti del luogo sui presunti avvistamenti. Il ritmo e la ferocia antropologica di questi primi minuti confezionano una sequenza irresistibile, in cui veri contadinotti e paesani della marca, posti davanti alla macchina da presa, blaterano di eventi portentosi in tutta la loro autenticità rurale. Tra domande, impietosi silenzi e smorfie sarcastiche, da soli questi iniziali minuti elevano tutta la pellicola in qualcosa di più di una semplice commediola. In più, la soluzione d’apertura è utilizzata anche per presentarci i personaggi protagonisti, in tutti i loro stereotipi e contraddizioni…
…La pellicola quindi resta una dignitosa commedia con momenti davvero brillanti da riscoprire, specialmente con gli occhi contemporanei, che ci restituisce un Brass giovane, talentuoso e feroce, in grado di incastrare satira sociale a voglie già libidinose sintetizzate dall’iconica battuta della Vitti, in risposta alle auliche rime dedicatele dall’intellettuale di Sordi: “Dime porca che me piase de più!”

…Il cinema fantastico in Italia, in particolare negli Anni ’60, ha prodotto o film decisamente di serie B oppure, in alcuni casi, film politici come Omicron di Ugo Gregoretti o La decima vittima di Elio Petri e io credo che il suo film debba essere inserito in questo secondo filone. Lei mi parlava di “dubbi” da parte della produzione. Sono figli degli annosi pregiudizi sulla fantascienza da parte della critica italiana?
 Pregiudizi senz’altro, c’erano allora come ci sono sempre stati e ci saranno sempre. Forse anche per la materia in sé, anche se la critica aveva capito che era un film di fantascienza sui generis, era un pretesto per presentare qualcosa di alieno, di strano, per far esplodere le contraddizioni di una società. Purtroppo non fu un gran successo, soprattutto in rapporto a un film con Alberto Sordi. Il “Disco” era un film natalizio di Sordi e forse perché era un film un po’ diverso e c’era forse più rabbia, più sofferenza, e amarezza, pensiamo alla emblematica conclusione nel manicomio, non fu premiato dal pubblico.
– E’ giusta l’impressione che nel suo film una sorta di “miopia” culturale caratterizzi tutte le classi sociali tipiche di un ambiente contadino chiuso come quello veneto in quegli anni?
 Già. Quello che si salva è quello che si scopava la moglie del sindaco (poi finirà in manicomio) e che ce l’aveva col mondo e pronunciava le battute che ho voluto inserire io contro Moravia e Pasolini: la cricca che gli impediva di essere riconosciuto e che rappresentava il potere letterario e culturale dell’epoca che si opponeva a chi aveva dei sogni, delle fantasie.
Forse finisce in manicomio perché è il più consapevole…
 E’ del tutto consapevole. E’ convinto della presenza di un messaggio per il modo che era arrivato loro… E poi mi lasci dire, era molto bello quando recita le poesie di Spoon River. E con la Vitti che dice “dime porca che me piase…” Le mogli dei sindaci sono sempre uguali… in iura verbo…
Senta, nel film a un certo punto si cita Freud, uno dei personaggi al bar dice “ma no queste sono tutte fantasie, vanno ricercate nell’infanzia”, eccetera. Non pensa piuttosto a una visione junghiana considerando che ogni personaggio che avvista l’oggetto, lo vive in maniera totalmente personale e diversa dagli altri? Sono le solite visioni un po’ cerebrali oppure ci può essere un tocco di verità?
Ci sono tanti impulsi, tanti stimoli, tante reminiscenze mie, di Sonego eccetera, che poi sono state tradotte e poi sta agli altri leggerlo e decifrarle. Io non voglio farne un testo canonico, una lettura obbligata. Però questi stimoli c’erano tutti. All’epoca soprattutto se ne parlava abbastanza spesso, era un argomento ricorrente e c’era un po’ l’illusione, la speranza, o comunque anche lo scetticismo, nei confronti di tutta questa materia. Quello che a me interessava era proprio far vedere come di fronte a qualcosa di così enormemente diverso la gente si ricredeva. Tutto il soprannaturale veniva messo sullo stesso piano. Come quando la bambina con i Carabinieri che chiedono: “hai visto altre cose?” e lei “Sì, la Madonna, l’altro giorno ho visto la Madonna”. “Vedi, scrivi ha visto la Madonna.”…

…Le solite recensioni affrettate della critica di quegli anni, con poche eccezioni pregiudiziale nei confronti del genere fantascientifico, aveva, se non stroncato, abbassato di molto la valutazione del film. Distribuito a Natale, con tutte le aspettative del caso, nonostante la presenza di un tris d’assi nel cast – Monica Vitti, Silvana Mangano e, soprattutto, Alberto Sordi, Il Disco Volante era stato uno dei pochi flop commerciali dell’Albertone nazionale. Ciò non toglie che la modernità del testo e l’accuratezza filologica dei riferimenti ufologici siano ancor oggi di assoluto rilievo, così come la sferzante satira che costituisce il motivo caratterizzante della pellicola. L’ufologia in Italia, trattata generalmente dal genere fantascientifico (Lado, Margheriti, Francisci, Brescia sono solo alcuni dei registi italiani di riferimento), comico (con i protagonisti di sempre da Totò a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, fino al Pippo Franco di Ciao Marziano) e con poche soluzioni più raffinate come il doppio Sceriffo extraterrestre di Bud Spencer, si scopre qui tema allegorico, pretesto di analisi sociale acuta e non di prima, facile lettura.
In quanto alla presenza di Sordi, la scelta di affidargli ben quattro personaggi diversi (ricorda da vicino le performance di Peter Sellers in Lolita del 1963 e nel Dottor Stanamore di Stanley Kubrick di qualche anno più tardi) rappresenta un motivo non comune del cinema italiano, più portato alla struttura ad episodi tipica della commedia all’italiana firmata Scola, Risi, Monicelli e altri…

…Portato ai giorni nostri è il comportamento che nel nord-est,e in Lombardia, si tiene con altri marziani che sbarcano su navi scassate da noi,o con altri mezzi di (s)fortuna. Li vogliono per sfruttarli nelle loro fabbriche,spesso sacrificate le loro vite in nome del profitto,ma appena possono li denunciano come demoni criminali. Tanto che ora arrivano,questi imbecilli incapaci di qualsivoglia piccolo ragionamento,a fare le ronde. Mi auguro che vengano decimate a decine,per far passare la voglia a questi coglioni di sentirsi come una specie di cittadini onesti,giusti,dalla parte del bene.Quando non lo erano,non lo sono,non lo saranno mai. Tutto questo si può trarre dalla visione del suddetto film,chiaramente la denuncia del grandissimo Rodolfo Sonego-sceneggiatore di molti capolavori nostrani- è legata al contesto storico e politico degli anni 60,ma l'arte sfugge ogni ristretto raggio di azione temporale,e quindi il film -di scarso successo- ha una sua profonda valenza politica ancora oggi. Basti pensare alla povera contadina che tenta la fortuna sfruttando il povero marziano e finisce per perdere tutto,per mano della contessa e delle forze dell'ordine.
Al peggio non c'è mai fine e a pagare son sempre i "marziani" che vengono da lontano e cercano solo il dialogo,la solidarietà e la pace ,la gente sensibile e che vuole vivere non solo di meschini affari e mediocrità culturale,chi compie il suo dovere di ricerca delle verità,il proletariato che si illude di trattare con il Potere Capitalista.
Per questa grandissima lezione di cinema e di metafora politica, vi consiglio la visione della pellicola in questione.

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