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domenica 23 maggio 2021

Un altro giro (Druk) - Thomas Vinterberg

attori bravissimi, Mads Mikkelsen anche di più, nel film premio Oscar 2021 per il miglior film straniero.

a un certo punto quattro amici, poco felici nella vita, insegnanti nello stesso istituto, decidono di applicare sulla loro pelle una teoria che afferma che se sei mediamente ubriaco, la vita ti sorriderà, amore, lavoro, tutto sarà un successo.

tutto questo succede a persone in contatto costante con i giovani, che potranno essere tutto, loro quattro ormai non potranno essere diversi da come sono diventati.

il loro esperimento è anche quello di sentirsi sempre al massimo e ridiventare forever young, ma, come capita troppo spesso agli umani, non si sa mai quando è arrivato il momento di fermarsi.

film poco adatto a chi sta cercando di disintossicarsi dall'alcol (o da qualcos'altro), ma per tutti gli altri, forse la maggioranza, chissà,  superconsigliato.

non perdetevelo, al cinema, naturalmente - Ismaele



 

 

 

Provocatorio, ma affatto superficiale, Un altro giro è un film che celebra la sete di vita e indica una strada possibile, mediamente alterata, senza per questo negare le conseguenze nefaste dell'abuso di alcolici. Vinterberg parla dunque, prima di tutto, alla propria gente, bloccata in una contraddizione perpetua tra retorica puritana e consumo elevato, ma fornisce anche un più generale invito a scegliere come vivere, ad assumersene la responsabilità, nel bene o nel male.

Il risultato è un film libero anche nella forma e nell'andamento, in cui un pool di attori in stato di grazia collettivo dà vita ad una serie di scene tra Ferreri e Cassavetes, per lasciare l'assolo finale a Mikkelsen e ad un memorabile inno del corpo liberato.

da qui

 

Saranno i lunghi mesi della pandemia, o magari i codici estetizzanti delle produzioni contemporanee, ma l’autenticità del cinema di Vinterberg resta un dato incontrovertibile, capace di colpire lo spettatore come un’esperienza cinematografica d’intensità incomparabile rispetto a qualunque film visto in streaming in questi mesi.

Non è semplicemente la stranezza di questa parabola senza morale, l’onestà del punto di vista, o magari l’eccezionale interpretazione di Mads Mikkelsen e dei suoi compagni di bevute. Vinterberg sa avvicinare la realtà degli uomini, delle emozioni e della vita con un linguaggio straordinariamente diretto. Un linguaggio minimale, spogliato di qualunque regola su trama e intreccio.

E il risultato è Un altro giro, un film che non risponde a nessuna definizione di genere. Resta perfino riduttivo ricorrere alla categoria americana della dramedy, già che il regista sceglie deliberatamente di rifiutare il genere. Si muove infatti fuori dalle regole, gli schemi che tradizionalmente definiscono la commedia, il dramma, la tragedia.

Queste tre storiche categorie si presenteranno tutte a fasi alterne all’interno del film, insieme all’intera gamma delle relative emozioni. Eppure, il regista cerca strenuamente la verità della vita vissuta fuori dalle dinamiche del climax, dei plot-twist, i monologhi, le scene madri e tutti quegli artifici che sperimentiamo normalmente nella rappresentazione cinematografica…

da qui

 

Il confronto non semplice tra le due generazioni che popolano la scuola così come l’ambiente domestico non è narrato nella sua più banale venatura conflittuale, ma piuttosto come terreno desolato, impacciato, ancora in definizione. I giovani non sono altro che la restituzione in personaggio di quella sensazione di distanza dal mondo che pervade il protagonista. La costrizione che è alla base della vita adulta da una parte, la libertà e la spensieratezza dell’infanzia dall’altra, arrivano a rispecchiare l’antitesi tra civiltà e natura, istinto. Non è un caso se nel film il paesaggio naturale è quasi sempre separato dai protagonisti, rinchiuso nel reframe delle finestre, oppure affrescato sulle pareti di un ristorante. 

Alla fine, si troverà il modo di ballare persino della morte, nello spazio interstiziale tra mare aperto e città. Ognuno si muoverà col suo ritmo, seguirà la sua traiettoria, nella massa indistinta di anime in festa, giovani e meno giovani, tutti insieme. Durante la sequenza finale, la casualità della ripresa mossa e l’affollamento visuale sembrano celebrare la contraddizione dell’esistenza umana e ricordano le forme ruvide di Dogma 95. Come se Un altro giro, oltre che raccontare l’uomo moderno e il suo scollamento sociale, parlasse anche del cinema e di quella purezza artistico-espressiva ancora possibile, oltre le forme più istituzionalizzate. In ogni caso, Vinterberg è riuscito a ritrovare, dopo alcuni lavori impersonali, uno sguardo d’autore su una vicenda che parte dal dato teorico, tocca il qui e ora di un uomo e si estende a metafora sociale e politica, in un racconto che parla di crisi, di illusione e della possibilità di andare oltre.

da qui

 

Thomas Vinterberg inneggia all’alterazione di sé, realizzando una pellicola provocatoria ma per niente superficiale. Non vengono mai negate le conseguenze degli abusi; anzi, vengono mostrate sulla pelle dei quattro amici e colleghi che si sottopongono a questo esperimento (fin troppo) audace. Il regista prova a suggerire come vivere, assumendosi le proprie responsabilità, nel bene e nel male. Probabilmente un gruppo di studenti potrà trovare il proprio professore noioso, “vecchio” o poco stimolante, ma la versione “allegra” non sarà capace di fornire gli stessi strumenti di apprendimento. È una questione di scelta. Infatti, la parola chiave del film è proprio la libertà: di fallire, di rischiare, di mettersi in gioco, di vivere senza irrazionalità rifiutando le regole, rimettendo in discussione le cose senza obbedire passivamente. Vinterberg ci porta nella patria di Kierkegaard (la Danimarca), mostrandoci come una “semplice crisi di mezza età” possa avere risvolti così imprevedibili. Probabilmente, c’è un’ebbrezza eccessiva, a tratti disturbante, ma necessaria a rendere il film libero anche nella forma e nell’andamento. “Druk” ci mostra inizialmente la confusione e il senso di frastornamento dei quattro protagonisti, poi la completa dissoluzione. Non si vince con l’alcolismo. Non è possibile diventare “amici” e abbandonarlo quando poi abbiamo trovato il modo di tornare ad essere brillanti come prima. Il punto è capire qual è il vero fallimento. Si fallisce accettando la vecchiaia? Si fallisce reagendo alla vecchiaia? O, ancora, si reagisce provando ad apprezzare quello che la vecchiaia può dare?...

da qui

 

…"Vogliamo che sia un omaggio all'alcol, ma è ovvio che vogliamo anche dipingere un quadro sfumato" , ha spiegato il cineasta. 

Incorporato nel nostro esame dell'essenza dell'alcol si trova il risvolto della medaglia: sappiamo bene che le persone muoiono e vengono distrutte dal bere eccessivo e dall'alcolismo.

Un'esistenza con l'alcol genera la vita, ma può anche uccidere".

Thomas Vinterberg ha poi aggiunto 

"Un altro giro vuole essere una storia sfaccettata che allo stesso tempo provoca e diverte, ci fa pensare, piangere e ridere per tutta la durata del film.

E si spera che lasci spunti di riflessione e di dibattito per un pubblico che vive in un mondo che, in misura crescente, è definito esteriormente dalla retorica puritana, ma di fatto ha un consumo di alcol piuttosto elevato anche da persone con un'età relativamente giovane".

da qui

 


martedì 21 giugno 2016

Submarino - Thomas Vinterberg

due bambini crescono, nonostante tutto, e ognuno subisce i suoi fantasmi.
due fratelli si perdono si trovano, si perdono, la prigione li fa ritrovare.
alcuni bambini non sopravvivono, altri crescono, e hanno un padre e uno zio che sono i bambini di prima.
e il Male è sempre lì.
questo non è film per chi ama solo ridere, se non si è capito, è un film doloroso, ma merita di sicuro - Ismaele








…¿Existe un cine del mal? No lo sé. Solamente sé que la vida encierra momentos de una terribilidad infinita, y que ser capaces de contárnoslos como hace Vinterberg, en este caso, sin abrumarnos solamente con la voluptuosidad del mal, es una maravilla. ¿Existe algo semejante a lo que San Juan denomina el pecado del mundo, como congénito al ser humano? Cada uno se responderá. Pero sí es cierto que, en tantas ocasiones, acabamos sumergidos en lo peor sin poder evitarlo, como arrastrados por una corriente omnipotente. Entonces, solamente nos queda mirarnos en un espejo y darnos pena y conferirnos esperanza. Tal praxis nos la ha entregado Thomas Vinterberg en este Submarino: nos enseña que hay que intentar siempre sacar el periscopio y contemplar el horizonte del mar, que es el vivir humano. Es posible.

Tenendo presente l'immagine iniziale con i bambini sotto il lenzuolo oppure ripensando ai primi piani degli stessi con la faccia divorata dal buio, si potrebbe dire che "Submarino" nel suo riferirsi ad un mondo sotterraneo rappresenta un titolo azzeccato nel trasporre in senso figurato il pieno ed il vuoto della storia, la condizione di isolamento ed allo stesso tempo la voglia di essere insieme dei personaggi, indipendentemente dal modello familiare e nonostante i non detti dei loro silenzi.

Submarino è un melodramma eccessivo e sopra le righe, al quale avrebbe giovato certo una maggiore asciuttezza e una condensazione delle tragedie in cui incappa il malcapitato Nick. Una vita non basta, almeno così ci piace credere, aaccumulare un tale bagaglio di sfortuna, paragonabile solo a quello che colpisce nei cartoons della WB il simpatico Willy il Coyote, personaggi uscito dalla geniale matita di Chuck Jones. Anche Nick cercherà di resuscitare innumerevoli volte, proprio come il povero Willy, ma per lo spettatore, nel caso del film di Vinterberg non è prevista alcuna catarsi…

sabato 2 aprile 2016

La Comune - Thomas Vinterberg

ambientato nella Copenhagen nella seconda metà degli anni '70, il film non è certo al livello de Il sospetto, riesce tuttavia a essere un film che non dispiace, grazie a un gruppo di ottimi attori (cito Fares Fares, un bravissimo attore, che ho visto recitare in alcuni grandi film, eccone uno qui, di origine libanese, figlio di rifugiati fuggiti alla guerra, arrivato a 14 anni in Danimarca, nel 1987, ma questa è un'altra storia).
è quasi solo un film in interni e racconta di adulti che vivono insieme, dell'amore che sparisce, di ragazzini che crescono, forse, della contabilità delle birre, delle difficoltà di vivere insieme, senza segreti.
non aspettarti troppo, non sarai deluso - Ismaele





…Il perno drammaturgico del film è la differenza tra il piano ideologico-sociale e il piano emotivo. Da una parte c’è la possibilità di decidere che i rapporti si lascino alle spalle la rigidità dei ruoli tradizionali e il senso del possesso; dall’altra il sentimento dell’abbandono e la fine dell’amore non hanno niente di razionale e interessano parti della coscienza che sono impermeabili alle idee. La vera protagonista del film, Anna, vive sul crepaccio di questa ambivalenza…

Vinterberg torna a farci riflettere sulla complessità dell'animo umano e sulla bellezza (ma anche sulla fragilità) di alcune utopie. Lo fa con mano leggera ma sapendo come e quando far emergere le pulsioni più profonde e difficilmente controllabili da parte dei singoli anche quando una sorta di nuovo conformismo di gruppo spingerebbe ad occultare le situazioni più spinose. Perché i suoi adulti finiscono, nonostante i proclami, con lo smarrire in tutto o in parte la possibilità di guardare veramente avanti non fossilizzandosi in un rinnovamento che inevitabilmente finisce con il diventare conservazione di se stesso.

Un film indubbiamente toccante e potente ma che stenta a decollare completamente, un continuo vulcano pronto ad eruttare ma che finisce puntualmente con un nulla di fatto. L’arrivo dei nuovi “coinqulini”, gli anni ’70, il percorso parallelo di Freja – figlia della coppia – sono tutti bellissimi spunti ma che purtroppo rimangono tali dal momento che non vengono minimamente approfonditi, da un certo punto, infatti, il film si concentra sul triangolo amoroso Erick – Anna – Emma che rimane indubbiamente potente ma lascia indietro la tante sotto-trame e trasforma gli altri protagonisti in uno sfondo lontano dalla vicenda.

Qualche vago accenno alla Cambogia e a Pol Pot, il bagno nudi, un tennis à la Antonioni quasi blasfemo, le prime esperienze sessuali di una quattordicenne e il cuore ballerino di un bambino. Come sempre, Vinterberg coglie la palla al balzo, disegnando col bimbetto di turno una scialba metafora di quel periodo, di quelle illusioni. Poi ci infila Goodbye Yellow Brick Road di Elton John; cerca di far combaciare la macchina da presa e lo sguardo (innocente) di Freja; comincia a far urlare come aquile indispettite i suoi personaggi, perché il tempo dell’amore e delle risate dovrebbe essere finito.
La comune non bastano i ricordi d’infanzia di Vinterberg, lontanissimo dalla coralità de Il grande freddo o dalla fertile dimensione intima di certo cinema francese, e il consueto cast di ottimo livello per riscattare un cinema stantio, una poetica che gode di un credito sproporzionato.

Kollektivet è l’immagine di una generazione che ha sperimentato un modo diverso di vivere e pensare e che ha pagato sulla propria pelle le dolorose contraddizioni che andavano a minare la realizzazione di un ideale di vita. Il superamento della famiglia, il suo allargamento a una dimensione comunitaria non riesce a reggere i contraccolpi della mutazione della coppia, alla sua apertura, al dolore e alla frustrazione degli abbandoni; ma la varia umanità raccontata da Vinterberg, tra sorrisi e sofferenze, con le idiosincrasie, le piccole e grandi miserie, gli egoismi e le leggerezze, esprime soprattutto, e al di là di tutto, un autentico desiderio d’amore e di condivisione e una forte spinta ideale che si trasforma presto in fallimento.


lunedì 20 maggio 2013

Jagten (Il sospetto) – Thomas Vinterberg

una sceneggiatura senza tempi morti, attori all'altezza, e oltre, una storia che capita sempre agli altri, nella quale la cosa più facile è accusare, poi si vedrà, peccato che certi non resistono e si ammazzano prima.
il titolo originale, "La caccia", rende meglio, ma questo passa il convento.
un film che fa soffrire, ma è imperdibile, sicuro - Ismaele





Il sospetto è un film straziante, senza dubbio, bello e reale come piace a me, e tocca tutte le conseguenze che ricadono sul protagonista di un'accusa del genere. Non solo Lucas, ma anche Marcus, suo figlio, viene gettato nella vortice della colpevolizzazione, anche se si ribella con calci e pugni e urla il suo disprezzo sia alla famiglia della bambina sia agli amici che hanno abbandonato suo padre - solo il suo padrino aiuterà lui e Lucas in tutto e per tutto…

Tutta la storia è narrata dal punto di vista personale del protagonista: lo spettatore assiste, con la stessa incredulità e rabbia, alla progressiva demonizzazione di una persona che alla fine è costretta, pur di sopravvivere, a scendere sullo stesso piano dei suoi carnefici: l'ostilità della gente e l'enorme rabbia repressa faranno diventare Lukas un uomo violento e disperato, capace di sfidare da solo l'intera comunità che fino al giorno prima lo considerava un fratello, al quale poter affidare senza pensieri i propri figli.
Seppur angosciante e crudo, 
Il sospetto è un film straordinario per emotività e presa sullo spettatore. La morale è chiara: in questo mondo (specificatamente quello occidentale, ricco e opulento come la democraticissima Danimarca) dove dominano l'apparenza e l'ipocrisia, ogni regola di civile convivenza può essere sovvertita dalla paura e dalla viltà. E quello che è successo a Lukas può succedere a chiunque,  perchè l'egoismo e la volontà di 'sbattere il mostro in prima pagina', la voglia di trovare un colpevole a ogni costo pur di mettere a tacere scomode verità, fanno tristemente parte della società moderna…

Lucas lavora in un piccolo asilo di un non meglio precisato piccolo paese nordico, danese per la precisione.
Un giorno, per semplice ripicca, una bimba lo "accusa" di averla molestata.
Lucas è innocente.
Sarà un inferno.
Raramente ho fatto così fatica nella visione di un film.
Un malessere incredibile -un misto di rabbia, speranza, incredulità, tristezza- mi ha accompagnato fino, e ben oltre, i titoli di coda.
Il problema è che sto film è perfetto, c'è poco da dire

En síntesis, un filme realmente impactante, tenía muchas ganas de verla y no me ha defraudado. Un filme imperdible y necesario también, para recordarnos eso que tanto se nos olvida a veces, de caminar un kilómetro en los zapatos de la otra persona para entenderla. Un filme lamentablemente que muestra una situación muy real y actual, tan real que asusta, con un ritmo que va en aumento de forma imparable y te atrapa hasta no  soltarte y golpearte. Un nuevo experimento sobre las volubles e interesantes reacciones masivas del ser humano. Y con un excelente  final, que hace honor al título del filme. Muy recomendada.

The power of this movie lies in its closely observed, beautifully acted scenes of apprehension and concern.  The young actress who plays Klara, Annika Wedderkopp, delicately portrays a child who lies, becomes confused, tries to protest her innocence, simply can't remember, but only knows she's lost her friend.  And Mads Mikkelsen is typically superb as Lucas, playing so far within himself one almost forgets his impressive physicality...