una storia di emarginati, che vivono ai limiti della legalità e della sussistenza.
in tutta la cittadina non si vede mai un poliziotto, e anche gli assistenti sociali latitano, sembra un posto abbandonato da tutti.
noi seguiamo la storia con gli occhi di Bailey (Nykiya Adams), una bambina di 12 anni, conosciamo i fratelli e le sorelline, gli amici, il babbo (Barry Keoghan), un po' bambino, e un specie di folletto, Bird (Franz Rogowski), e tanti altri, anche un rospo.
Bailey ama guardare gli uccelli che volano liberi nel cielo, forse anche lei vorrebbe poter volare,e lasciare, almeno un po', il brutto mondo nel quale è costretta a vivere.
Bailey e Bird s'incontrano e diventano amici, si proteggono a vicenda, Bailey cerca di aiutarlo a ricostruire la sua storia, lei s'immedesima nel dolore di Bird, abbandonato da bambino, lui vuole riuscire a ritrovare la famiglia, ma le ricerche sono una delusione.
è uno dei film più belli dell'anno, sicuramente, è in un centinaio di sale, è un film da non perdere, abbiate fiducia.
buona (grandissima) visione - Ismaele
ps1: anche Billy, il protagonista di Kes, di Ken Loach, si affeziona a un falco, forse anche Billy alza gli occhi al cielo per staccarsi dal mondo grigio e triste dove si trova a vivere.
ps2: mi viene in mente Birdy, un film di Alan Parker, nel quale Birdy, reduce del Vietnam, vorrebbe diventare un uccello.
…c'è poco altro da fare quando si ha la
fortuna di potersi imbattere in un'opera del calibro di Bird. Un
film che stupisce per la naturalezza con cui mette in dialogo il mondo dei
sottoproletari britannici con un'ipotesi fiabesca di puro ingegno post-punk che
è cinema limpido e libero dalla gittata universale. Un racconto che
nell'esplorare le sfide dell'adolescenza di quella Bailey giovane ma già
matura, che ha già conosciuto il dolore nella vita, che ha fretta di crescere e
che ha già le idee molto chiare su chi è e su chi vuole diventare, va oltre la
propria dimensione da comune coming-of-age sul valore delle radici e sulla
ricerca identitaria del proprio posto nel mondo, fino a diventare
qualcos'altro. Qualcosa di più bello…
… Un film corposo, Bird,
denso, straordinario, che fa immergere lo spettatore in un microcosmo di vita
in cui ritrovarsi e rispecchiarsi, e percorso di dolcezza, purezza e di una
spontaneità tale da rendergli difficile il ritorno alla vita di tutti i giorni.
Quella in cui le luci della sala si accendono e la sospensione d'incredulità
smette con la sua magia. E qui il merito è soprattutto del comparto attoriale.
Perché la giovanissima Adams sembra già una veterana nel modo in cui dialoga
con due autentici mostri sacri del cinema contemporaneo. Quei Keoghan e
Rogowski dalla componente caratteriale gemellare ma opposta: Entrambi fragili e
con il fuoco dentro, ma caotici ed eroici, a caccia di sogni come di albe e
farfalle, e dagli occhi vividi da cui trapelano i segni di un vissuto
difficile…
…un adolescente appena sbocciato ha dalla sua un’arma
formidabile: la fantasia. Che cosa rimane, del resto, a Bailey, oppressa oltre
ogni dire dalla cretineria violenta di suo padre, che la vuole tra le damigelle
d’onore, vestita di una tutina ridicola, per un suo improbabile
matrimonio con un’altra sbandata senza fissa dimora, che ha già
un’altra figlia piccolissima da un altro uomo? La risorsa vitale la ragazzina
la trova nella sua inesauribile immaginazione, che la fa parlare con gli
uccelli e, quindi, con il suo alfiere devoto Bird, l’Uomo-uccello per
antonomasia. Lui che se ne sta tutto il santo giorno appollaiato sulle
terrazze degli edifici del quartiere, a scrutare in basso la vita brulicante e
disordinata sottostante, con il sogno segreto di ritrovare un giorno i suoi
genitori, dai quali si è definitivamente separato da bambino, smarrendosi nei
dintorni della città. E sarà proprio questa la missione di Bailey: aiutare
l’amico alato a ritrovare la sua famiglia di origine,
anche qui con mille difficoltà e affrontando il disconoscimento di paternità da
parte di chi lo credeva morto. Film difficile, che ha in sé una bellezza tutta
particolare, da assaporare in segreto metabolizzando lentamente il suo
retrogusto perfettamente amaro.
…Come fosse tornata ai tempi di Fish Tank,
ma con continue deviazioni fiabesche, Andrea Arnold tratteggia un romanzo di
formazione di una dolcezza straripante, innamorata com’è di (quasi) tutti i
suoi personaggi, a partire da lo scombiccherato Bug che ama i suoi figli – che
ha avuto poco più che bimbo – di un affetto magari non sempre facile da
dimostrare ma densissimo. Bailey, questa dodicenne riottosa che non vuole
vestirsi da ragazza-tipo per il matrimonio
del padre e va in giro con Bird per aiutare questo bizzarro uomo che passa le
sue giornate appollaiato sui tetti dei palazzi a ritrovare il padre perduto, è
raccontata con uno sguardo altrettanto amorevole, come se la macchina da presa
dovesse di volta in volta carezzarla nell’accompagnarla in giro per un mondo
che sarà pure devastato – lo squat non è certo edulcorato nella sua
rappresentazione – ma sa ancora commuoversi sulle note di The Universal dei Blur. Ed eccolo l’ultimo trait
d’union tra vitalismo realistico e svolazzo lirico, la colonna sonora brit-pop
in cui si piazzano gli uni accanto agli altri i succitati Blur e i Verve
di Lucky Man, i Coldplay di Yellow e soprattutto i dirompenti Fountain D.C.
di Too Real, che spinge l’udito in direzioni post-punk.
Tra Ken Loach e Little Feet di
Alexandre Rockwell Bird è un’opera
fiammeggiante, liberissima, che mescola senza alcuna paura gli elementi più
eterogenei senza preoccuparsi della giusta inquadratura, della giusta luce, e
di tutti quei perfezionismi anodini di cui è invaso l’arthouse contemporaneo.
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