all'aeroporto di Newark, negli Usa, Elena e Diego, che arrivano dalla Spagna, vengono bloccati dalla polizia di frontiera e sottoposti a umilianti interrogatori, insieme e da soli, da due poliziotti che li distruggono psicologicamente.
il film è tutto qui, ed è abbastanza per un buon film, che è anche un'opera prima.
arrivare dalla giungla al giardino della democrazia non è così facile, anzi.
un film che merita, senza dubbio.
buona (claustrofobica) visione - Ismaele
…La claustrofobica opera prima di Alejandro Rojas e Juan
Sebastián Vásquez nasce e si esaurisce nel giro di settantasette minuti. Un’ora
circa in cui viviamo, passo dopo passo, la disavventura di una coppia che vuole
trasferirsi negli Stati Uniti. Un paese descritto indirettamente dai due
registi come un mostro che prima inghiotte e poi fa di tutto per espellere i
corpi riconosciuti come “estranei” a sé. Le direttrici di questo mostro
tentacolare sono identificate dai rappresentanti della legge, campioni assoluti
di indifferenza nei confronti di numeri, non certo persone, la cui sorte è
appesa ad un filo. Gli interrogatori alla ricerca di una verità assoluta sul
perché la coppia abbia deciso di trasferirsi sono messi in scena dai due
cineasti attraverso un fitto scambio di primi e primissimi piani. Una rigorosa
scansione in atti segmenta il ritmo della pellicola. Durante l’incipit i tempi
si dilatano per costruire a poco a poco il senso, prima di attesa, e poi di
angoscia di Elena e Diego. Col passare dei minuti, i registi aumentano i giri
del motore e alla sospensione iniziale, il film risponde con un ritmo
infernale, proprio quando i due protagonisti dovranno controbattere senza
soluzione di continuità le pesanti accuse e illazioni mosse loro da parte della
polizia. Il senso di impotenza provato dai due protagonisti all’interno del
claustrofobico kammerspiel aeroportuale di Rojas e Vásquez è reso
visivamente dall’evoluzione dei loro volti le cui espressioni attraversano, nel
giro di pochi minuti, la gamma di emozioni dall’angoscia allo spavento, dal
terrore allo sconforto.
…La pareja de directores hace
participe al espectador en todo momento, incluso tiene que tomar sus propias
conclusiones y pensar por donde puede salir en desenlace.
La dirección
es estupenda, milimétrica diría yo, no se les escapa ni un pequeño detalle. La
película tiene todo lo que necesita el buen cine, una historia que te atrape
desde el principio y que no te suelte hasta el final.
Estamos ante uno de los mejores estrenos españoles del año, e incluso me
atrevería a decir, a uno de los mejores de lo que llevamos de año. Como casi
siempre pasará desapercibida, pero los que amamos el buen cine, la hemos
disfrutado, y mucho.
…Upon Entry dopotutto è un film chiuso sui suoi due
protagonisti fin dall’inizio, e si concentra solo su loro due recludendo sempre
lo spazio, a partire dalla scelta di aprire la narrazione nello stretto
abitacolo di un taxi: film recluso prima ancora che chiuso, in attesa esso
stesso di trovare un pertugio per la verità attraverso la dialettica, conscio
probabilmente che anche questa sia una via con la quale si devono
necessariamente trovare dei compromessi. In un’opera produttivamente così
piccina i due registi dimostrano di saper tramutare le limitatezze in una
scelta estetica, e di senso, e anche se ogni tanto si ha l’impressione che il
film non possa ambire ad altezze superiori a quelle che gli appartengono di
base non si può non ammirare la brillantezza della messa in scena – e la scelta
finale, qui non evidenziata per ovvie ragioni, è davvero intelligente –, e con
essa l’ottima direzione di un cast che ha sempre la videocamera incollata
addosso, visto che lo spazio scenico quasi è inesistente, gabbia/stanza che è
l’angusto pertugio di un aeroporto ma anche l’esistenza stessa, in cui si
rischia di essere clandestini nell’anima prima ancora che sul passaporto.
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