se non siete mai stati da una nonna o una zia, d'estate, lontano dalla vostra casa, lo spazio comfort zone di tutti i giorni, potrete intuire qualcosa, forse, ma non potrete capire il film.
un bambino di 10 anni si trova un altro pianeta, in Sicilia, da una nonna adottiva, nuove regole, nuovi sapori, nuove aria, nuovi amici e amiche.
il bambino si adatta lentamente, ma alla fine con convinzione, la nonna (una bravissima Aurora Quattrocchi) lo accoglie come un ospite speciale.
e alla fine quei giorni lontano da casa saranno indimenticabili (come è successo a qualcuno di noi).
un piccolo film da non perdere, nelle poche sale dove si può trovare.
buona (fantasmatica) visione - Ismaele
…Gioia Mia è un racconto di formazione sui sentimenti, e sulla
loro percezione, sui legami che si ha o che si ricorda di aver avuto, dove due
mondi si incontrano, provano a dialogare, e cercano di convivere per quieto
vivere. Margherita Spampinato ha realizzato un film a tratti tenero e a tratti
malinconico, dal ritmo spigliato con un vivace equilibrio tra due punti di
vista, riuscendo a cogliere e rappresentare la sagacia dell’anziana e la
razionalità del ragazzino. L’emotività di questa storia è merito anche ai
personaggi potenti ben scritti, mai stereotipati, e soprattutto interpretati
con personalità di toni e sguardi.
…Uno dei motori narrativi principali è la paura: quella infantile e
concreta di Nico per le leggende di spiriti che aleggiano nel vecchio palazzo,
e quella più sotterranea e adulta di Gela, che riguarda la perdita, l’amore non
vissuto, la solitudine scelta come scudo.
Il mistero, che si presenta come elemento soprannaturale, è
in realtà un pretesto narrativo per affrontare paure molto terrene: crescere,
separarsi, accettare l’invisibile che ci abita. Il gioco proibito a cui Nico
partecipa diventa un vero rito di passaggio. La leggenda degli spiriti è la
forma con cui il bambino proietta e affronta i propri fantasmi interiori. E
quando li smaschera, il passaggio all’età successiva è compiuto.
Gela, dal canto suo, è costretta a riesaminare il proprio passato.
Nico la destabilizza, ma anche la costringe a riaprire porte chiuse da anni. Il
suo racconto finale, intimo e rivelatorio, ribalta i ruoli: è lei, alla fine,
ad avere bisogno di essere ascoltata…
…La
linearità del racconto (assai divertente, per di più), che non disdegna
l’appoggiarsi ad archetipi narrativi e strutture predette, permette a
Spampinato di lavorare sull’immagine, sulla sua stratificazione, sulla rappresentazione
come sintesi tra il vero e il credibile, facendo sua di nuovo la lezione di Truffaut che
fu però anche di Vittorio De Sica e di chiunque abbia accolto la messa in scena
dell’infanzia come momento di confronto con un’epoca – quella appunto dei più
piccoli – da tempo “scomparsa”. Se c’è una nostalgia, in Gioia mia, non è per l’amore perduto o per ciò che non si è più, ma
per l’immagine perduta, quella di un cinema che non ha bisogno di alcuna
adulterazione ma vive e pulsa nel momento stesso in cui si immortala un gesto,
un’espressione del viso, un muoversi delle tende. Si respira aria di un cinema
d’antan, nell’esordio di Spampinato, che in pochi oggi sembrano avere il
coraggio di produrre e maneggiare, immaginario che forse potrà anche tenere a
distanza alcuni critici per via della sua (apparente) semplicità. È invece da opere come Gioia mia che la stanca e spesso mediocre produzione italiana
dovrebbe trovare la scintilla per rimettersi in gioco, scartando la facile
copertina dell’arthouse per tornare a toccare le cose con mano, a
materializzare il mistero, a frammentare l’amore e la memoria in un campo
controcampo.
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