venerdì 16 maggio 2025

Un beau matin - Mia Hansen-Løve

una piccola storia di amore e dolore.

Sandra (interpretata da Lea Seydoux) ha un padre che sta perdendo molti colpi (interpretato da Pascal Greggory), una bambina e una storia d'amore nascente.

Pascal Greggory è eccezionale, così bravo che non sai se è un attore che interpreta un vecchio malato, o se interpreta se stesso, e Lea Seydoux è sempre più brava.

buona (dolente) visione - Ismaele


ps: nel 2021 è apparso E' andato tutto bene, un bel film di François Ozon, i protagonisti erano un vecchio alla fine della vita e le figlie che dovevano soddisfare le ultime volontà del padre.


 

 

…Mia Hansen-Løve continua insomma il suo percorso in cui sembra adoperare il cinema come strumento di una archiviazione in progress di emozioni autobiografiche appuntate in forma di catalogo d’immagini: questa opera di razionalizzazione la tiene di sicuro al riparo dalle trappole facili delle storie sulle malattie terminali dei nostri cari (emblematica la sequenza del recital canoro nel centro anziani a cui la protagonista si sottrae con decisione), ma allo stesso tempo conferma la tendenza di questo cinema a una posizione di sottrazione che alla lunga può diventare frustrante per la materia stessa del racconto (qui ne subiscono le conseguenze soprattutto le figure di contorno, o le storie sullo sfondo come la famiglia “ufficiale” di Clément).
Il paradosso di uno sforzo così dichiarato sull’autocontrollo (anche formale, con una regia votata al minimalismo) è che potrebbe sembrare approntato a difesa di una latente indecisione sulla strada da prendere, sulla posizione da assumere: ma d’altra parte, anche questo è probabilmente un raddoppio sulla situazione di stallo e torpore esistenziale in cui rimane perennemente incastrata la protagonista.

da qui

 

…Attinge a sé e alla propria storia, Mia Hansen-Løve, ed è questo a tutti gli effetti a smarcare il suo approccio alla regia e alla narrazione da quel sentore di snobismo bo-bo che con così tanta continuità appare all’interno dell’industria cinematografica francese. Al Festival di Cannes 2022 viene naturale porre Un bel mattino in relazione, ma anche in contrapposizione, a Frère et Sœur di Arnaud Desplechin – presentato invece nel concorso principale. Là dove il sentore di artefatto, la costruzione del dramma nella Francia colta e nobile (e quindi atta all’arte, cui è stata prontamente educata), e il non detto pruriginoso deflagrano nel film di Desplechin, trascinandolo verso acque a dir poco limacciose, è proprio la volontà di Hansen-Løve di prendere spunto dal proprio dolore intimo e privato a garantire nitidezza e purezza di sguardo alla vicenda di Sandra e della sua famiglia. Il vezzo borghese ovviamente non viene meno, ma è qui raccontato con grande partecipazione, con una sincerità del lutto – lutto prima della morte, perché la perdita della mente è già di suo perdita della vita, in una certa misura – che non lascia indifferenti. Si partecipa alla fatica del vivere di Sandra, alla sua routine costruita sulla cura del padre, il rapporto con la sorella e la madre, il dialogo con i medici, la crescita della figlia, l’innamoramento progressivo per Clément, amico da una vita – e a sua volta accasato con prole. Con delicatezza e una profonda adesione empatica ai propri personaggi Hansen-Løve non cerca la verità attraverso il cinema ma spera di riuscire a trovare nella verità della propria vita – pur ovviamente assai romanzata e riscritta, non si tratta certo di un cine-diario – il senso di agire nel cinema, e di creare narrazione.

Sandra è una traduttrice, come si è già scritto, Clément un cosmochimico (come tiene a specificare ogni volta che viene definito come astrofisico); la loro relazione è appassionata, ma forse fragile. Fragile come le immagini della regista, che come d’abitudine non cerca mai l’effetto, né una particolare costruzione nella messa in scena. Fragile come una quotidianità che può essere sconvolta da un esame medico, da una gamba che fa male, da un messaggio non inviato. Un bel mattino torna a una narrazione rarefatta, affidata a situazioni semplici e comuni, e a rapporti umani in continua progressiva evoluzione. Léa Seydoux, come al solito splendida protagonista, è perfetta nella rappresentazione di una donna sperduta e solare, affaticata dal vivere ma ancora pronta a perdersi di fronte al cielo che sovrasta Montmartre, e Parigi tutta. Potrà anche essere una cineasta borghese, Mia Hansen-Løve, ma preferisce la semplicità all’affabulazione, la naturalezza all’astrazione puerilmente colta. E perdersi nella sua memoria non è mai banale.

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…Il film, semplice e lineare, ma intenso e mai lezioso, brilla anche grazie alla sua protagonista assoluta Lea Seydoux, sensuale ed erotica custode di una purezza che la trasforma in eroina della quotidianità.

Una complessa figura di donna che riesce a conferire al suo tormentato, ma anche tenace, personaggio una forza ed una delicatezza che non si elidono, ma riescono ad arricchirsi di una stoicità degna di un’ eroina contemporanea e che la costringe anche a farsi carico, tra gli altri crucci, di decisioni cruciali da prendere, a beneficio di propri cari non in grado di scegliere autonomamente.

La affianca un volitivo e sempre più lanciato Melvil Poupaud nei panni del fisico che torna ad amare Sandra, mentre il bravissimo Pascal Greggory e la dinamica Nicole Garcia vestono i panni dei genitori separati della protagonista.

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Con un film ancora più maturo dei precedenti, Mia Hansen-Løve ci mostra come il suo cinema sia un tutt'uno tra la riflessione sulle immagini e la vita, tra il trovare la giusta posizione della macchina da presa e la giusta distanza dall'autobiografia. Perché la storia della malattia di Georg è la storia del padre della regista, così come dal suo vissuto prendevano corpo Un amour de jeunesse e Bergman Island. La scelta di fare i film non soltanto come possibilità di espressione, ma per dare forma a un ricordo attraverso la finzione, con tutta la fatica che questo comporta; un gesto che non si può separare dalla vita. Chissà se anche il padre di Mia Hansen-Løve, nella consapevolezza della sua malattia, pensava a un'autobiografia dal titolo così rigoroso e dolce: An einem schönen Morgen; tradotto, Un beau matin.

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