uno dei temi più importanti del mondo nelle mani di François Ozon diventa un film che riesce anche a far ridere, senza perdere niente della profondità e della serietà del fine vita.
André è un testardo e le figlie non possono che eseguire le sue volontà, per quanto difficili da accettare.
gli interpreti sono tutti all'altezza della sfida, François Ozon riesce a dirigerli da maestro.
il film è solo in una trentina di sale, non fatevelo sfuggire.
buona (sofferta) visione - Ismaele
…François Ozon sceglie la via della cronaca dei piccoli e grandi
tumulti quotidiani che accompagnano una scelta grande quanto la vita. Prende di petto
il problema, non cerca scappatoie ideologiche e sceglie di mettersi al fianco e
tutt’intorno ai suoi protagonisti. Mai sopra o sotto. Il suo film ha un fascino elegante ma non
morboso, un fondo di integrità “sporcato” da lampi di leggerezza. Sa da dove
parte e dove vuole arrivare. Il viaggio e la meta stavolta contano allo stesso
modo, e allo stesso modo sono restituiti. Con dignità e partecipazione. Non è
poco.
…André Dussollier incarna André Bernheim, gran borghese e collezionista
d'arte che un ictus rende emiplegico e che sceglie di andare a morire in
Svizzera. Le protesi deformano il volto dell'attore che trova la voce, le
piccole risate e le considerazioni vertiginose, disegnando un personaggio umano
troppo umano che diverte e infastidisce insieme.
Alla sua impazienza infantile e alla sua crudeltà, replicano Sophie Marceau e
Géraldine Pailhas (impeccabili e maestose), figlie salde e determinate a cui
impone il suo addio. Restituiscono la battuta mai la pariglia, perché Emmanuèle
e Pascale hanno doppiato da tempo quel padre autoritario e charmeur a cui è
davvero impossibile dire di no.
'Uccidere il padre' e andare avanti. Indietro resta la madre di Charlotte Rampling,
scultrice malata di tutti mali del mondo che addensa da sola i misteri della
famiglia. Piantato al centro del film e della vita delle sue figlie come un
interrogativo, André vuole andarsene e vuole farlo a modo suo, ammutinare la
vita con dignità e magari sulle note di Brahms.
Ozon si piazza invece dal côté della vita trovando il ritmo del suo film nella
comicità delle situazioni. Mescolando lacrime e sorrisi, Tout s'est bien passé elude la gravità del suo soggetto e vola
alto, superando la paura che ispirava al regista...
…Ozon ci dice con chiarezza che il diritto
a una morte dignitosa e scelta liberamente dovrebbe essere garantito dalla
società, ma la pellicola non ha nulla a che vedere con i film a tesi o
semi-docudrama che hanno imperversato a lungo nelle nostre sale, e in parte
imperversano ancora. Rappresentano una tendenza nefasta della distribuzione
italiana perché, se sul momento portare in sala prodotti che trattano tematiche
di largo interesse può sembrare una strategia vincente, il più delle volte
spinge il pubblico a chiedersi il perché debba scomodarsi per andare al cinema
e non sia invece meglio attendere di vederli tranquillamente in televisione.
Ecco, qui non è così. L’intensità
del film trova la sua miglior espressione nelle straordinarie interpretazioni
degli attori e il suo senso pieno nella magia del grande schermo. Possibilmente
vedendolo in lingua originale. Perché anche simulando un vecchio afflitto dai
postumi di un ictus, Dussollier riesce nel suo tour de force di mantenere intatta la sua
notevole e seducente verve caustica.
…Quella di È andato tutto bene è una vicenda reale, dalla forte connotazione autobiografica. Il
film, infatti, è tratto dall’omonimo romanzo di Emmanuèle Bernheim, scrittrice
e sceneggiatrice scomparsa alcuni anni fa, che con Ozon aveva collaborato in
diverse opere, come Sotto la sabbia e Swimming Pool. “La morte di Emmanuèle, la sua assenza, mi hanno fatto desiderare di
essere ancora con lei”, ha spiegato il regista. Se già in Grazie a Dio il cineasta si era cimentato con una tematica sociale, quella degli
abusi sui minori nella Chiesa, partendo da un’esperienza personale poi
allargata all’esplorazione della portata politica dell’argomento, qui si
focalizza sul personale di Bernheim. Il film non diventa mai, un dibattito
sull’eutanasia, o più precisamente sul suicidio assistito. La scelta di André
non viene presentata secondo un giudizio morale, ma con un occhio intimista che
non scade mai nella retorica e si sofferma, piuttosto, sulle dinamiche
familiari. È nelle zone grigie create dalla malattia che figlia e padre
scoprono il proprio legame. “Ovviamente siamo tutti spinti a esplorare i nostri
sentimenti e le nostre domande sulla morte ma quello che mi interessava sopra
ogni altra cosa era la relazione fra il padre e le figlie”. Non c’è nulla di
più intimo, infatti, del rapporto con la vecchiaia dei nostri genitori, con
quel momento in cui ci accorgiamo che iniziano a non essere più autonomi,
quando le parti si invertono e ci si sente anche inadeguati, spaesati, e il
ruolo di figli e figlie assume delle connotazioni diverse. Tocca a noi, ora,
prenderci cura…
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