lunedì 17 gennaio 2022

È andato tutto bene - François Ozon

uno dei temi più importanti del mondo nelle mani di François Ozon diventa un film che riesce anche a far ridere, senza perdere niente della profondità e della serietà del fine vita.

André è un testardo e le figlie non possono che eseguire le sue volontà, per quanto difficili da accettare.

gli interpreti sono tutti all'altezza della sfida, François Ozon riesce a dirigerli da maestro.

il film è solo in una trentina di sale, non fatevelo sfuggire.

buona (sofferta) visione - Ismaele

 

 

 

 

 

François Ozon sceglie la via della cronaca dei piccoli e grandi tumulti quotidiani che accompagnano una scelta grande quanto la vita. Prende di petto il problema, non cerca scappatoie ideologiche e sceglie di mettersi al fianco e tutt’intorno ai suoi protagonisti. Mai sopra o sotto. Il suo film ha un fascino elegante ma non morboso, un fondo di integrità “sporcato” da lampi di leggerezza. Sa da dove parte e dove vuole arrivare. Il viaggio e la meta stavolta contano allo stesso modo, e allo stesso modo sono restituiti. Con dignità e partecipazione. Non è poco.

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André Dussollier incarna André Bernheim, gran borghese e collezionista d'arte che un ictus rende emiplegico e che sceglie di andare a morire in Svizzera. Le protesi deformano il volto dell'attore che trova la voce, le piccole risate e le considerazioni vertiginose, disegnando un personaggio umano troppo umano che diverte e infastidisce insieme.
Alla sua impazienza infantile e alla sua crudeltà, replicano Sophie Marceau e Géraldine Pailhas (impeccabili e maestose), figlie salde e determinate a cui impone il suo addio. Restituiscono la battuta mai la pariglia, perché Emmanuèle e Pascale hanno doppiato da tempo quel padre autoritario e charmeur a cui è davvero impossibile dire di no.
'Uccidere il padre' e andare avanti. Indietro resta la madre di Charlotte Rampling, scultrice malata di tutti mali del mondo che addensa da sola i misteri della famiglia. Piantato al centro del film e della vita delle sue figlie come un interrogativo, André vuole andarsene e vuole farlo a modo suo, ammutinare la vita con dignità e magari sulle note di Brahms.
Ozon si piazza invece dal côté della vita trovando il ritmo del suo film nella comicità delle situazioni. Mescolando lacrime e sorrisi, Tout s'est bien passé elude la gravità del suo soggetto e vola alto, superando la paura che ispirava al regista...

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Ozon ci dice con chiarezza che il diritto a una morte dignitosa e scelta liberamente dovrebbe essere garantito dalla società, ma la pellicola non ha nulla a che vedere con i film a tesi o semi-docudrama che hanno imperversato a lungo nelle nostre sale, e in parte imperversano ancora. Rappresentano una tendenza nefasta della distribuzione italiana perché, se sul momento portare in sala prodotti che trattano tematiche di largo interesse può sembrare una strategia vincente, il più delle volte spinge il pubblico a chiedersi il perché debba scomodarsi per andare al cinema e non sia invece meglio attendere di vederli tranquillamente in televisione.

Ecco, qui non è così. L’intensità del film trova la sua miglior espressione nelle straordinarie interpretazioni degli attori e il suo senso pieno nella magia del grande schermo. Possibilmente vedendolo in lingua originale. Perché anche simulando un vecchio afflitto dai postumi di un ictus, Dussollier riesce nel suo tour de force di mantenere intatta la sua notevole e seducente verve caustica.

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Quella di È andato tutto bene è una vicenda reale, dalla forte connotazione autobiografica. Il film, infatti, è tratto dall’omonimo romanzo di Emmanuèle Bernheim, scrittrice e sceneggiatrice scomparsa alcuni anni fa, che con Ozon aveva collaborato in diverse opere, come Sotto la sabbia e Swimming Pool. “La morte di Emmanuèle, la sua assenza, mi hanno fatto desiderare di essere ancora con lei”, ha spiegato il regista. Se già in Grazie a Dio il cineasta si era cimentato con una tematica sociale, quella degli abusi sui minori nella Chiesa, partendo da un’esperienza personale poi allargata all’esplorazione della portata politica dell’argomento, qui si focalizza sul personale di Bernheim. Il film non diventa mai, un dibattito sull’eutanasia, o più precisamente sul suicidio assistito. La scelta di André non viene presentata secondo un giudizio morale, ma con un occhio intimista che non scade mai nella retorica e si sofferma, piuttosto, sulle dinamiche familiari. È nelle zone grigie create dalla malattia che figlia e padre scoprono il proprio legame. “Ovviamente siamo tutti spinti a esplorare i nostri sentimenti e le nostre domande sulla morte ma quello che mi interessava sopra ogni altra cosa era la relazione fra il padre e le figlie”. Non c’è nulla di più intimo, infatti, del rapporto con la vecchiaia dei nostri genitori, con quel momento in cui ci accorgiamo che iniziano a non essere più autonomi, quando le parti si invertono e ci si sente anche inadeguati, spaesati, e il ruolo di figli e figlie assume delle connotazioni diverse. Tocca a noi, ora, prenderci cura…

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