perché Rahim decide di non prendere i soldi che la fidanzata aveva trovato è davvero un mistero, o forse no.
probabilmente è solo una brava persona, ma dal momento nel quale decide di restituire le monete d'oro iniziano i suoi problemi (come se già non ne avesse)
nei tempi dei telefoni cellulari, dei social, della velocità, tutto si complica, anche in Iran.
un uomo sfortunato va in prigione per debiti, ha una fidanzata segreta, un bambino che ha i suoi problemi, e un colpo di fortuna diventa una jattura.
ogni tentativo di risolvere un problema ne crea uno peggiore, Rahim è come un pezzo di legno nell'oceano, in una tempesta perfetta.
tempi difficili per i troppo buoni.
buona (balbuziente) visione - Ismaele
… nel percorso narrativo di Un eroe non si procede svelando una chissà quale
verità dei fatti, che del resto sappiamo e conosciamo da spettatori perché
l’abbiamo vista e registrata fin dall’inizio, ma semmai nel capire come questa
presunta verità a cui abbiamo assistito nella sua turbolenza umana e morale sia
impossibile da incastrare nello spartito perfetto previsto dalle istituzioni
che redimono e riqualificano il reprobo. Lo graduale suspense da thriller,
calibrata per un minutaggio abbondante ma non invadente, si dipana poi
naturalmente attorno al clima di sospetto a cui
viene sottoposto l’ “eroe” Rahim: non certo un santo (in fondo
non ha restituito una cifra bassissima eppure si fa della galera) ma nemmeno un
furbacchione dei bassifondi. Suspense che oltretutto pulsa di una cattiva ed
imprevista “reputazione da social” del protagonista che si potrebbe cancellare
con altri filmati ad hoc da caricare online. Segno inquietante dei tempi che
tra mattonelle bianche da cucina e fornelli a bombola di uno sgarrupato
quartiere di periferia tre le rocce e il deserto, sia il post o il video di un
utente sconosciuto a determinare le buone o cattive intenzioni di un uomo.
Un héroe es la última película de Asghar Farhadi.
Mantiene un ritmo constante muy alto y lleno de diálogos, algo que puede chocar
al espectador y llegar a cansarle, aunque los más adeptos al cine social
estarán encantados de presenciar semejante obra. Lo que puede molestar es que
juegue al desconcierto con el espectador, dando demasiada información que no se
llega a asimilar realmente bien.
… il concetto di eroe appartenga a un immaginario collettivo, alla Letteratura, al Cinema, a ideologie astratte: gli esseri umani non possono essere eroi per definizione, per lo stesso motivo per cui esistono molte tonalità di grigio che separano il concetto di bianco e nero, Bene e Male.
Un eroe o, per meglio dire, la sua rappresentazione iconica, è soltanto un vessillo.
Rahim
agisce per autoconservazione e per proteggere il figlio, la famiglia e la sua
compagna: le sue azioni negative non sono mai prive di intenzioni
meritevoli.
D’altro canto, una volta ricevuto l’epiteto di eroe, il protagonista sentirà il peso sulle proprie spalle di tutte le conseguenze che questa definzione comporta: dal prestigio sociale non voluto - anche se a volte comodo - ai legittimi dubbi degli altri personaggi che gli orbitano attorno.
Il rapido
telefono senza fili che si instaura di porta in porta, inoltre, è catalizzato
dalla presenza dei social network: le opinioni della collettività sono
evanescenti, oscillanti, dipendenti non solo dai media canonici come la
televisione e i giornali, ma anche dalla volatilità di video, post, contenuti
lapidari di post e commenti.
A farne le spese rischiano di essere soprattutto i più deboli, come il figlio balbuziente di Rahim che finisce per essere strumentalizzato con lo scopo di suscitare empatia e pietà nelle persone…
…La memoria dello sguardo del piccolo
Hossein fa eco alla memoria di Bruno, il figliolo di Antonio, in Ladri
di biciclette di Vittorio De Sica. Così il film
ha il gusto del neorealismo, di quella disperazione proverbialmente detta:
l’occasione fa l’uomo ladro. In una Shiraz dal gusto mediterraneo, con un sole
che illumina strade da ricostruire e viottoli di case che ancora sono solo
ripari per derelitti. Anche il bazar dove c’è la bottega di Bahram
non è distante dal mercato dove Antonio cercava a tutti i costi la sua
bicicletta rubata…
… Nell’articolare la sua storia, Farhadi
non rinuncia all’approccio che lo ha caratterizzato fin dagli inizi della sua
carriera, con uno spunto di partenza semplice che
viene via via problematizzato, nonché svelato nei suoi diversi aspetti allo
spettatore, come se si trattasse di un thriller. Resta, in questo senso, la
fiducia del regista nelle immagini e nella recitazione, in una sceneggiatura
articolata e nella costruzione attenta del ritmo narrativo e dell’intreccio,
tale anche da prescindere dagli elementi spettacolari più espliciti (anche qui,
come da tradizione, la colonna sonora è quasi del tutto assente). E torna anche
anche in Un eroe, col ritorno del regista in patria,
quello sguardo articolato, non esplicitamente politico ma certo con un occhio
attento al sociale, sulla realtà moderna della società iraniana: una società
che appare aver assorbito molto – purtroppo non il meglio – dei modelli
occidentali, a iniziare proprio dalla pervasività dei social media, dalla
diffusione incontrollata di (fake) news e “pezzi” di realtà che incorniciano
spietatamente gli individui e i loro comportamenti (il video di una rissa);
senza dimenticare però le specificità, quelle di una realtà in cui
un’associazione di volontariato deve fare la drammatica scelta se salvare la
vita a un condannato a morte, in un paese in cui gli omicidi di stato sono la
norma, o aiutare un individuo in difficoltà finito in un gioco più grande di
lui. La capacità di essere al contempo particolare e universale è
forse il punto di forza principale del cinema di Asghar Farhadi,
confermato in pieno da questo suo ultimo lavoro.
…Un Eroe è un congegno di scrittura di
precisione matematica, senza una scena o una parola di troppo,
che non lascia fiato allo spettatore. Però allo stesso tempo non ha mai il
sapore della sceneggiatura scritta a tavolino ma appare, grazie anche alla
messinscena naturalistica, come una semplice registrazione di accadimenti
reali, ripresi nella semplicità del loro quotidiano fluire – come è nelle
intenzioni di Farhadi, un film di finzione che sembri un documentario. Ne
emerge, anche grazie alla scelta di ambientare la vicenda non in una metropoli
ma in una città di medie dimensioni come Shiraz, uno spaccato sociale compiuto
e variegato. In cui, questa è una qualità specifica e strutturale del cinema
del regista e sceneggiatore iraniano, ogni personaggio ha le proprie legittime
motivazioni.
Il creditore di Rahim non è un aguzzino,
ma semplicemente un uomo la cui esperienza l’ha spinto a non fidarsi più di
lui, perché troppe ne ha combinate. E il tentativo di cavalcare la notorietà
improvvisa di Rahim da parte dell’associazione, non è solo un espediente per farsi
pubblicità, ma anche un modo per rilanciare le proprie attività, proprio nel
momento in cui stanno cercando soldi per salvare un uomo dalla pena capitale…
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