mercoledì 12 gennaio 2022

Alice ( Něco z Alenky ) - Jan Švankmajer

Jan Švankmajer non è Walt Disney, meno male.

chi ha l'immaginario inquinato da Walt Disney soffrirà un po' con questa Alice ceca, ma una volta entrato un quell'altro cassetto, quello di Jan, poi si sta al suo gioco.

Alice è l'unica voce del film, il filo rosso che tiene unita la storia di Lewis Carroll.

e naufragar è dolce nel mare di Jan Švankmajer e di Alice e del Coniglio.

buona (sorprendente e imperdibile) visione - Ismaele

 

QUI il film completo, con sottotitoli in italiano

 


 

Nel 1987 l’artista praghese Jan Švankmajer realizzò il suo primo lungometraggio Alice (Něco z Alenky).

Si trattava di una sua personalissima trasposizione dell’Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll. Una rilettura visionaria, macabra, fatta di ossa e vecchi giocattoli, ambientata in una fatiscente cantina, formata da una successione di stanze abbandonate.

La storia è fedele a quella che noi tutti conosciamo: Alice, stufa di stare insieme alla sorella, insegue un coniglio e finisce sottoterra, nella sua tana, ingresso di un mondo fantastico popolato di strambe creature. Ma l’interpretazione e la messinscena di Švankmajer è unica ed originale. Il coniglio è un vecchio coniglio impagliato che perde la segatura della sua imbottitura e che si rammenda da solo con una spilla da balia, il bruco è un vecchio calzino con la dentiera, e tutti gli animali sono sinistre creature assemblate con crani, stracci e vecchi oggetti, simili per molti aspetti alle strabilianti opere di Jean Tinguely. Alice invece è una bambina in carne ed ossa, incredibilmente espressiva e dallo sguardo spietato di quella fanciullezza che a breve inizierà la metamorfosi verso l’età adulta…

Švankmajer dice che non gli piacciono i film disegnati, così la tecnica utilizzata nel film è quella dell’animazione stop-motion, mescolata con molte parti in live-action per quanto riguarda il personaggio di Alice. Ma non si tratta di un’animazione perfetta, bensì di un qualcosa di artigianale, scattoso, polveroso, rugginoso, e proprio per la sua istintiva imperfezione plausibile ed incredibilmente reale. Si respira a pieni polmoni lo spettro dell’animazione dei paesi dell’est, quella di Władysław Starewicz e di Jiří Trnka per intenderci, che tanto influenzerà i geni di questa tecnica, i fratelli Quay, che nella loro formazione andranno per un periodo a studiare nella bottega di Jan Švankmajer e al quale dedicheranno poi con riconoscenza un cortometraggio…

da qui

 

 

Le creature che conosciamo dal Cappellaio Matto alla Lepre Marzolina assumono nuove forme, più terrificanti, abitanti di un microcosmo creato grazie alla tecnica della stop motion, con gli elementi di un universo meccanico, plasmabile solo dall’estro geniale del suo autore.

Un paese delle meraviglie quello di Svankmajer, dove gli oggetti inanimati prendono vita, la morte è superabile perché tutto è ricucibile (nel senso letterale del termine), i corpi feriti ritornano, ripetendo ossessivamente le stesse azioni, diversamente ricomposti, ma comunque ancora pieni di materia perché immateriali, privi di una vera essenza e quindi pieni di tutte le forme possibili.

Un paese delle meraviglie spietato, dove Alice è protagonista e narratrice onnisciente della sua avventura, dove lei stessa si sente isolata e intrusa perché umana, fatta di carne e sangue. Non è un caso se, l’unico modo per Alice di entrare nel paese delle meraviglie sia assumendo le sembianze dei suoi residenti: Alice si ingrandisce e si rimpicciolisce, diventa bambolina e gigante pericoloso.

 

Pur con pochissimi dialoghi, Svankmajer riesce a dire molto, soprattutto rendendo col suo surrealismo visivo, il paese delle meraviglie (o dell’incubo), una lucida metafora del mondo adulto, chiuso in sé stesso e incapace di accettare l’altro (di particolare rilievo la scena del processo farsa), ma capace di respingerlo e di ferirlo, di essere landa di terrore invece di meraviglia.

E nell’enigmatico finale, Alice diventa il regista stesso colui che, attraverso la sua eroina femminile, ha immaginato quel tipo di mondo, sperando di tenerlo ingabbiato nei cassetti più oscuri dell’inconscio.

da qui



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