Jan Švankmajer non è Walt Disney, meno male.
chi ha l'immaginario inquinato da Walt Disney soffrirà un po' con questa Alice ceca, ma una volta entrato un quell'altro cassetto, quello di Jan, poi si sta al suo gioco.
Alice è l'unica voce del film, il filo rosso che tiene unita la storia di Lewis Carroll.
e naufragar è dolce nel mare di Jan Švankmajer e di Alice e del Coniglio.
buona (sorprendente e imperdibile) visione - Ismaele
QUI il film completo, con sottotitoli in
italiano
Nel 1987 l’artista praghese Jan
Švankmajer realizzò il suo primo lungometraggio Alice (Něco
z Alenky).
Si trattava di una sua personalissima
trasposizione dell’Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll. Una
rilettura visionaria, macabra, fatta di ossa e vecchi giocattoli, ambientata in
una fatiscente cantina, formata da una successione di stanze abbandonate.
La storia è fedele a quella che noi
tutti conosciamo: Alice, stufa di stare insieme alla sorella, insegue un
coniglio e finisce sottoterra, nella sua tana, ingresso di un mondo fantastico
popolato di strambe creature. Ma l’interpretazione e la messinscena di
Švankmajer è unica ed originale. Il coniglio è un vecchio coniglio impagliato
che perde la segatura della sua imbottitura e che si rammenda da solo con una
spilla da balia, il bruco è un vecchio calzino con la dentiera, e tutti gli
animali sono sinistre creature assemblate con crani, stracci e vecchi oggetti,
simili per molti aspetti alle strabilianti opere di Jean Tinguely. Alice invece
è una bambina in carne ed ossa, incredibilmente espressiva e dallo sguardo
spietato di quella fanciullezza che a breve inizierà la metamorfosi verso l’età
adulta…
…Švankmajer dice che non gli piacciono i
film disegnati, così la tecnica utilizzata nel film è quella dell’animazione
stop-motion, mescolata con molte parti in live-action per quanto riguarda il
personaggio di Alice. Ma non si tratta di un’animazione perfetta,
bensì di un qualcosa di artigianale, scattoso, polveroso, rugginoso, e proprio
per la sua istintiva imperfezione plausibile ed incredibilmente reale. Si
respira a pieni polmoni lo spettro dell’animazione dei paesi dell’est, quella
di Władysław Starewicz e di Jiří Trnka per intenderci, che tanto influenzerà i
geni di questa tecnica, i fratelli Quay, che nella loro formazione andranno per
un periodo a studiare nella bottega di Jan Švankmajer e al quale dedicheranno
poi con riconoscenza un cortometraggio…
…Le creature che conosciamo dal Cappellaio Matto alla
Lepre Marzolina assumono nuove forme, più terrificanti, abitanti di un
microcosmo creato grazie alla tecnica della stop motion, con gli elementi di un
universo meccanico, plasmabile solo dall’estro geniale del suo autore.
Un paese delle meraviglie quello di Svankmajer, dove
gli oggetti inanimati prendono vita, la morte è superabile perché tutto è
ricucibile (nel senso letterale del termine), i corpi feriti ritornano,
ripetendo ossessivamente le stesse azioni, diversamente ricomposti, ma comunque
ancora pieni di materia perché immateriali, privi di una vera essenza e quindi
pieni di tutte le forme possibili.
Un paese delle meraviglie spietato, dove Alice è
protagonista e narratrice onnisciente della sua avventura, dove lei stessa si
sente isolata e intrusa perché umana, fatta di carne e sangue. Non è un caso
se, l’unico modo per Alice di entrare nel paese delle meraviglie sia assumendo
le sembianze dei suoi residenti: Alice si ingrandisce e si rimpicciolisce,
diventa bambolina e gigante pericoloso.
Pur con pochissimi dialoghi, Svankmajer riesce a dire
molto, soprattutto rendendo col suo surrealismo visivo, il paese delle
meraviglie (o dell’incubo), una lucida metafora del mondo adulto, chiuso in sé
stesso e incapace di accettare l’altro (di particolare rilievo la scena del
processo farsa), ma capace di respingerlo e di ferirlo, di essere landa di
terrore invece di meraviglia.
E nell’enigmatico finale, Alice diventa il regista
stesso colui che, attraverso la sua eroina femminile, ha immaginato quel tipo
di mondo, sperando di tenerlo ingabbiato nei cassetti più oscuri
dell’inconscio.
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