Avevo letto qui di
questa serie (Frank ne aveva scritto davvero bene), poi avevo letto che su Cahiers du
cinema era il film più bello del 2014, insomma mi è venuta la
curiosità, ne ho letto un po’, pare che se ne faccia addirittura un film, che
andrò a vedere di sicuro.
Intanto mi sono visto la serie di quattro puntate, poco più di 200 minuti,
sottotitolata.
Bruno Dumont lo conosco dai i suoi primi film, quando
usciva in sala da noi, e i primi 2-3 credo di averli visti lì, cinema per
pochi, visto che i molti pensano che il cinema sia un posto per divertirsi, o
perché ti raccontino storie con una morale, o cose così.
Bruno Dumont, invece, è di quella specie di registi
che racconta storie, e basta, storie dure, storie tristi, storie degli ultimi,
un po’ come i fratelli Dardenne, Ken Loach, Mike Leigh, e molto altro cinema
che vale molto, solo meno famoso.
Temevo che Bruno Dumont rischiasse di essere
risucchiato da quelli della televisione, che hanno i soldi, e producono cinema.
In realtà lui riesce a fare un film lungo 200 minuti, diviso in quattro parti,
e per questo sarà facile che possa arrivare in sala senza dover cambiare
niente.
Il film è come una stella cometa, una cosa che si
guarda a bocca aperta e gli occhi spalancati.
É un giallo a bassa intensità,
succedono degli omicidi terribili, nei quali altri avrebbero sguazzato.
Qui ci sono sì delle indagini, ma sembrano una scusa
per raccontare dei personaggi, dei rapporti umani, e alla fine degli omicidi
quasi ti dimentichi, ti concentri sulle persone che agiscono. Straordinario,
era (è) un giardiniere, è l’ispettore (Bernard Pruvost), e
il suo aiutante (Philippe Jore), e Quinquin, che fa
dichiarazioni d’amore di una bellezza senza pari a Eve, e tutti quanti sono
perfetti nella loro parte, gente che parla quella lingua parlata in “Benvenuti
al Nord”, un francese difficile anche per i francesi.
Tutti sembrano dei freaks, ma forse quello è il mondo
e freaks siamo noi che guardiamo, chissà.
Se uno non ha paura della bellezza, sappia che questo
è un film di grande bellezza - Ismaele
…P’tit Quinquin est une bombe, pas
seulement par son comique explosif, irrésistible, mais parce qu’il dynamite
toute posture d’auteur, ridiculise tous les roitelets gérant leur fonds de
commerce, toutes les fausses audaces et les timidités feintes que l’on
s’empresse de porter aux nues. P’tit Quinquin est
un geste radical, définitif, par un cinéaste qui sait qu’il n’a plus rien à
prouver. Quelle confiance en soi il faut pour s’aventurer dans pareil
projet ! Bravo à Arte d’avoir suivi le cinéaste dans un pari si
excentrique. P’tit Quinquin est une série de 3 h 20 à
découvrir en quatre épisodes à la télévision, mais, bémol, on aurait aimé que
la version cinéma (seule différence : le format Cinémascope) sorte dans
la foulée, tant l’expérience de le voir d’une traite, au milieu des rires du
public, a été le plus beau souvenir du dernier Festival de Cannes. Il y a
un an tout juste, les Cahiers faisaient la couverture sur
une autre série audacieuse, Platane d’Éric Judor, portée cette
fois par Canal + : pourvu que la télévision continue à donner naissance à
des projets aussi farfelus. Plus encore, on voit à quel point le cinéma français dans son ensemble,
souvent enclin à l’académisme, est aussi le terreau des projets les plus
invraisemblables. Il est probable que pour la troisième année de suite le
meilleur film de l’année pour la rédaction soit un film français, après Holy
Motors et L’Inconnu du lac. On
voit mal qui pourrait détrôner c’t hallucinant P’tit Quinquin…
…è principalmente nell'eccentrica figura del
comandante incaricato alle indagini, sconquassato dagli spasmi facciali e dalla
camminata a falcate, che riemergono i più evidenti legami col passato.
Personaggio in grado di elevarsi inequivocabilmente a simulacro dell'"uomo
dumontiano" per eccellenza (Le Gars / Pharaòn); osservatore del
cielo, auditore del respiro animale alla ricerca di possibili segnali. Un uomo,
le cui insospettabili "percezioni investigative" finiscono con
l'affondare direttamente in quella terra dove ancora una volta, sembra
(ri)generarsi l'origine del male e che forse, finirà proprio per trovarsi
inginocchiato al cospetto del"Diavolo in persona"...
Ovviamente, non lo sapremo mai: il regista stesso, alle domande di chi esigeva
spiegazioni sul finale, ha risposto di "amare la sospensione" ed
effettivamente, tutto resta sospeso sopra quelle terre, come quella mucca che
viene issata da un elicottero all'inizio del primo episodio: "La
Bestia Umana" (Arcana docet). A conti fatti, a monte
di qualsiasi genere, Dumont resiste, ed è ancora lo stesso di un tempo!
Quando, al termine della proiezione alla Sala Marriott
sulla Croisette, il popolo di accreditati che aveva scelto di dedicare tre ore
e venti minuti del suo tempo a P’tit Quinquin ha
iniziato a ridestarsi dalle comodità del buio per elaborare concetti e letture
sull’ultima fatica di Bruno Dumont, la reazione più evidente e immediata si è
rivelata essere di puro stupore. Uno stupore insincero, per niente dominato da
vezzi o snobismi intellettuali e neanche dettato da chissà quale naïveté: in
tutta semplicità, e per farla breve, P’tit Quinquin aveva
colpito e affondato con la sua sorprendente mise a metà tra la detection
grandguignolesca e la comicità slapstick sia gli spettatori più fidati del
cinema di Dumont sia la pletora di detrattori che da sempre accompagna le opere
del cineasta francese…
…L’opera del regista
filosofo è un rimescolamento delle carte contemporanee; un ribaltamento
visivo e uditivo; un altro punto di vista sulla quotidianità; un rivoltamento
dei generi cinematografici. P’tit Quinquin spiazza lo
spettatore: è uno schiaffo improvviso. Banalmente, è talmente “altro” che non
sappiamo ancora dire se ci è piaciuto o no. Forse il termine “piacere” non è il
più appropriato. Questo perché non si riesce a fare una qualsiasi comparazione
con un qualsiasi altro precedente cinematografico o televisivo…
…I temi tipici del Dumont drammatico sono sempre presenti, nascosti tra le
pieghe di una vicenda bizzarra e surreale si annida ancora, più forte che mai,
l’ambigua contrapposizione tra bene e male, la riflessione sull’umanità, sulla
sua ineluttabile natura, su un senso estremo dell’assurdità dell’esistenza
questa volta virato in un’inedita chiave comica dai toni grotteschi e
stranianti. In un contesto e in un’ambientazione in tutto simili a quei teatri
di sconsolata desolazione visti in film come La vie de Jésus o Hors Satan esplode,
inaspettata, una comicità inedita e demenziale, un umorismo capace di
richiamare nei toni e nelle situazioni la vena surreale dei Monty Python, di
Peter Sellers, della pantomima e dell’anarchica demenza dei fratelli Marx, in
una (formidabile) costruzione del non-sense che si fa apologia della stupidità
del genere umano, dell’insensatezza dell’esistenza.
…Oltre lo sguardo truce e la bocca
storta del piccolo Quinquin, leader di una banda di ragazzini in un paese di
mare dove accadono strani omicidi su cui indagano due poliziotti che paiono
usciti dalla Pantera rosa, non c'è il male nella sua dimensione spirituale o
salvifica, ma un'affettuosità e un'umiltà di sguardo sincere e
sorprendenti.
Dumont non nega la presenza nel suo
cinema di una pulsione mortifera e diabolica, continua a provocare lo
spettatore mettendolo di fronte al disagio istintivo dell'handicap e della
demenza, non ha certezze e semina la sua improbabile spy story di tanti
interrogativi e nessuna risposta: questa volta, però, a salvarlo è per davvero
una risata, una leggerezza mai intravista prima.
E alla fine ci si affeziona proprio a
tutto, in P'tit Quenquin, alle sue figure macchiettiste ma
autentiche, ai suoi toni assurdi e dunque tragici, alla sua sgangherata
narrazione, alla sua impudicizia greve, e pure allo spirito idiota e
insospettabile di un regista che ha saputo rinnegare se stesso, e per questo
ritrovarsi.
Stasera me lo guardo! Lo stavo aspettando.
RispondiEliminal'ho visto con i sottotitoli in inglese, è bella la lingua originale, al cinema speriamo sia sottotitolato in italiano, si perderebbe qualcosa d'importante
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaEvvai Ismaele! Finalmente sei riuscito a portare a termine sia la visione, che una splendida recensione :) E mi fa piacere notare che in definitiva ne abbiamo colto le stesse impressioni! Semmai dovesse uscire al cinema, approfitterò certamente dell'occasione per rivedermelo subbato in ita.
Eliminagrazie per la "splendida".
Eliminaè un film che non puoi dimenticare, lo aspettiamo al cinema
Figurati, è vero! Grazie a te invece, per la citazione :)
Eliminanoblesse oblige :)
EliminaMi incuriosisce parecchio...
RispondiEliminaQualcuno sa se si trovano i sottotitoli italiani e, se sì, dove?
la curiosità ti farà vedere un gran bel film, se ti piacerà la metà di quanto è piaciuto a me, ti piacerà davvero molto :)
EliminaCerca su Google cinesuggestions... ;-)
EliminaConfermo, cinesuggestion l'ha appena rilasciato sottotitolato in ita.
Eliminaci sono solo le prime due parti, o leggo male io?
EliminaOrpo, hai ragione! Evidentemente quelli di Asianworld non l'hanno ancora finito di tradurre tutto.
Eliminamica facile tradurlo, è una lingua ben strana, quella...
EliminaCiao Ismaele, grazie per essere passato da me. Caruccio sì, ma resto più un dumontiano stile Hors Satan o per andare più indietro L'umanità.
RispondiEliminaUn saluto!
avevo visto "L'età inquieta" nel 1997 (20 anni fa) al cinema (quando era possibile vedere Dumont al cinema), me lo ricordo come un film grande, crudo, realistico.
Eliminaquello di "P’tit Quinquin" è un'altra cosa, ma non troppo, mi sembra, l'ambientazione, per esempio, non cambia, luoghi degradati e vivibili a fatica