venerdì 9 gennaio 2015

P'tit Quinquin - Bruno Dumont

Avevo letto qui di questa serie (Frank ne aveva scritto davvero bene), poi avevo letto che su Cahiers du cinema era il film più bello del 2014, insomma mi è venuta la curiosità, ne ho letto un po’, pare che se ne faccia addirittura un film, che andrò a vedere di sicuro.
Intanto mi sono visto la serie di quattro puntate, poco più di 200 minuti, sottotitolata.
Bruno Dumont lo conosco dai i suoi primi film, quando usciva in sala da noi, e i primi 2-3 credo di averli visti lì, cinema per pochi, visto che i molti pensano che il cinema sia un posto per divertirsi, o perché ti raccontino storie con una morale, o cose così.
Bruno Dumont, invece, è di quella specie di registi che racconta storie, e basta, storie dure, storie tristi, storie degli ultimi, un po’ come i fratelli Dardenne, Ken Loach, Mike Leigh, e molto altro cinema che vale molto, solo meno famoso.
Temevo che Bruno Dumont rischiasse di essere risucchiato da quelli della televisione, che hanno i soldi, e producono cinema. In realtà lui riesce a fare un film lungo 200 minuti, diviso in quattro parti, e per questo sarà facile che possa arrivare in sala senza dover cambiare niente.
Il film è come una stella cometa, una cosa che si guarda a bocca aperta e gli occhi spalancati.
É un giallo a bassa intensità, succedono degli omicidi terribili, nei quali altri avrebbero sguazzato.
Qui ci sono sì delle indagini, ma sembrano una scusa per raccontare dei personaggi, dei rapporti umani, e alla fine degli omicidi quasi ti dimentichi, ti concentri sulle persone che agiscono. Straordinario, era (è) un giardiniere, è l’ispettore (Bernard Pruvost), e il suo aiutante (Philippe Jore), e Quinquin, che fa dichiarazioni d’amore di una bellezza senza pari a Eve, e tutti quanti sono perfetti nella loro parte, gente che parla quella lingua parlata in “Benvenuti al Nord”, un francese difficile anche per i francesi.
Tutti sembrano dei freaks, ma forse quello è il mondo e freaks siamo noi che guardiamo, chissà.
Se uno non ha paura della bellezza, sappia che questo è un film di grande bellezza - Ismaele




P’tit Quinquin est une bombe, pas seulement par son comique explosif, irrésistible, mais parce qu’il dynamite toute posture d’auteur, ridiculise tous les roitelets gérant leur fonds de commerce, toutes les fausses audaces et les timidités feintes que l’on s’empresse de porter aux nues. P’tit Quinquin est un geste radical, définitif, par un cinéaste qui sait qu’il n’a plus rien à prouver. Quelle confiance en soi il faut pour s’aventurer dans pareil projet  ! Bravo à Arte d’avoir suivi le cinéaste dans un pari si excentrique. P’tit Quinquin est une série de 3 h 20 à découvrir en quatre épisodes à la télévision, mais, bémol, on aurait aimé que la version cinéma (seule différence  : le format Cinémascope) sorte dans la foulée, tant l’expérience de le voir d’une traite, au milieu des rires du public, a été le plus beau souvenir du dernier Festival de Cannes. Il y a un an tout juste, les Cahiers faisaient la couverture sur une autre série audacieuse, Platane d’Éric Judor, portée cette fois par Canal +  : pourvu que la télévision continue à donner naissance à des projets aussi farfelus. Plus encore, on voit à quel point le cinéma français dans son ensemble, souvent enclin à l’académisme, est aussi le terreau des projets les plus invraisemblables. Il est probable que pour la troisième année de suite le meilleur film de l’année pour la rédaction soit un film français, après Holy Motors et L’Inconnu du lacOn voit mal qui pourrait détrôner c’t hallucinant P’tit Quinquin

…è principalmente nell'eccentrica figura del comandante incaricato alle indagini, sconquassato dagli spasmi facciali e dalla camminata a falcate, che riemergono i più evidenti legami col passato. Personaggio in grado di elevarsi inequivocabilmente a simulacro dell'"uomo dumontiano" per eccellenza (Le Gars / Pharaòn); osservatore del cielo, auditore del respiro animale alla ricerca di possibili segnali. Un uomo, le cui insospettabili "percezioni investigative" finiscono con l'affondare direttamente in quella terra dove ancora una volta, sembra (ri)generarsi l'origine del male e che forse, finirà proprio per trovarsi inginocchiato al cospetto del"Diavolo in persona"... Ovviamente, non lo sapremo mai: il regista stesso, alle domande di chi esigeva spiegazioni sul finale, ha risposto di "amare la sospensione" ed effettivamente, tutto resta sospeso sopra quelle terre, come quella mucca che viene issata da un elicottero all'inizio del primo episodio: "La Bestia Umana" (Arcana docet). A conti fatti, a monte di qualsiasi genere, Dumont resiste, ed è ancora lo stesso di un tempo! 

Quando, al termine della proiezione alla Sala Marriott sulla Croisette, il popolo di accreditati che aveva scelto di dedicare tre ore e venti minuti del suo tempo a P’tit Quinquin ha iniziato a ridestarsi dalle comodità del buio per elaborare concetti e letture sull’ultima fatica di Bruno Dumont, la reazione più evidente e immediata si è rivelata essere di puro stupore. Uno stupore insincero, per niente dominato da vezzi o snobismi intellettuali e neanche dettato da chissà quale naïveté: in tutta semplicità, e per farla breve, P’tit Quinquin aveva colpito e affondato con la sua sorprendente mise a metà tra la detection grandguignolesca e la comicità slapstick sia gli spettatori più fidati del cinema di Dumont sia la pletora di detrattori che da sempre accompagna le opere del cineasta francese

…L’opera del regista filosofo è un rimescolamento delle carte contemporanee; un ribaltamento visivo e uditivo; un altro punto di vista sulla quotidianità; un rivoltamento dei generi cinematografici. P’tit Quinquin spiazza lo spettatore: è uno schiaffo improvviso. Banalmente, è talmente “altro” che non sappiamo ancora dire se ci è piaciuto o no. Forse il termine “piacere” non è il più appropriato. Questo perché non si riesce a fare una qualsiasi comparazione con un qualsiasi altro precedente cinematografico o televisivo…

…I temi tipici del Dumont drammatico sono sempre presenti, nascosti tra le pieghe di una vicenda bizzarra e surreale si annida ancora, più forte che mai, l’ambigua contrapposizione tra bene e male, la riflessione sull’umanità, sulla sua ineluttabile natura, su un senso estremo dell’assurdità dell’esistenza questa volta virato in un’inedita chiave comica dai toni grotteschi e stranianti. In un contesto e in un’ambientazione in tutto simili a quei teatri di sconsolata desolazione visti in film come La vie de Jésus o Hors Satan esplode, inaspettata, una comicità inedita e demenziale, un umorismo capace di richiamare nei toni e nelle situazioni la vena surreale dei Monty Python, di Peter Sellers, della pantomima e dell’anarchica demenza dei fratelli Marx, in una (formidabile) costruzione del non-sense che si fa apologia della stupidità del genere umano, dell’insensatezza dell’esistenza.

…Oltre lo sguardo truce e la bocca storta del piccolo Quinquin, leader di una banda di ragazzini in un paese di mare dove accadono strani omicidi su cui indagano due poliziotti che paiono usciti dalla Pantera rosa, non c'è il male nella sua dimensione spirituale o salvifica, ma un'affettuosità e un'umiltà di sguardo sincere e sorprendenti. 
Dumont non nega la presenza nel suo cinema di una pulsione mortifera e diabolica, continua a provocare lo spettatore mettendolo di fronte al disagio istintivo dell'handicap e della demenza, non ha certezze e semina la sua improbabile spy story di tanti interrogativi e nessuna risposta: questa volta, però, a salvarlo è per davvero una risata, una leggerezza mai intravista prima
E alla fine ci si affeziona proprio a tutto, in P'tit Quenquin, alle sue figure macchiettiste ma autentiche, ai suoi toni assurdi e dunque tragici, alla sua sgangherata narrazione, alla sua impudicizia greve, e pure allo spirito idiota e insospettabile di un regista che ha saputo rinnegare se stesso, e per questo ritrovarsi.






16 commenti:

  1. Stasera me lo guardo! Lo stavo aspettando.

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  2. l'ho visto con i sottotitoli in inglese, è bella la lingua originale, al cinema speriamo sia sottotitolato in italiano, si perderebbe qualcosa d'importante

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    1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    2. Evvai Ismaele! Finalmente sei riuscito a portare a termine sia la visione, che una splendida recensione :) E mi fa piacere notare che in definitiva ne abbiamo colto le stesse impressioni! Semmai dovesse uscire al cinema, approfitterò certamente dell'occasione per rivedermelo subbato in ita.

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    3. grazie per la "splendida".
      è un film che non puoi dimenticare, lo aspettiamo al cinema

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    4. Figurati, è vero! Grazie a te invece, per la citazione :)

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  3. Mi incuriosisce parecchio...
    Qualcuno sa se si trovano i sottotitoli italiani e, se sì, dove?

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    1. la curiosità ti farà vedere un gran bel film, se ti piacerà la metà di quanto è piaciuto a me, ti piacerà davvero molto :)

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    2. Cerca su Google cinesuggestions... ;-)

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    3. Confermo, cinesuggestion l'ha appena rilasciato sottotitolato in ita.

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    4. ci sono solo le prime due parti, o leggo male io?

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    5. Orpo, hai ragione! Evidentemente quelli di Asianworld non l'hanno ancora finito di tradurre tutto.

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    6. mica facile tradurlo, è una lingua ben strana, quella...

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  4. Ciao Ismaele, grazie per essere passato da me. Caruccio sì, ma resto più un dumontiano stile Hors Satan o per andare più indietro L'umanità.
    Un saluto!

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    1. avevo visto "L'età inquieta" nel 1997 (20 anni fa) al cinema (quando era possibile vedere Dumont al cinema), me lo ricordo come un film grande, crudo, realistico.

      quello di "P’tit Quinquin" è un'altra cosa, ma non troppo, mi sembra, l'ambientazione, per esempio, non cambia, luoghi degradati e vivibili a fatica

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