si inizia
ridendo e scherzando, con Alba Rohrwacher,
così magra che assomiglia a Olivia (la fidanzata di Braccio di ferro) e Adam
Driver che assomiglia a Paolo Jannacci, il figlio di Enzo.
come in "Gone girl", di
Fincher, c'è un matrimonio in difficoltà, questa volta la causa sembra essere
un figlio. Lei non ha quasi conosciuto la madre, e riversa sul figlio una
preoccupazione e un'ansia straordinari e ha delle idee su come devono essere
nutriti e crescere i bambini, lui capisce che qualcosa non funziona e cerca di
nascosto di far mangiare il figlio.
vivono a New York, che non è
proprio una città piccola, ma sono soli, non hanno (più) amici, solo la nonna
appare ogni tanto.
neanche fra loro due si parla
tanto, anzi quasi niente, lei è assorbita totalmente dal figlio, "siamo
una famiglia", dice, ma è una famiglia malata, non si sorride mai.
la soluzione dei problemi sarà
radicale e definitiva.
le ultime immagini sono bellissime
e tristissime insieme.
o Saverio Costanzo non sa come si fanno i film di
cassetta, o lo sa benissimo e sceglie di fare altro, che il dio del cinema lo
conservi - Ismaele
…Adam Driver e Alba Rohrwacher sembrano non incontrarsi mai
su quel terreno emotivo che, da innamorati, avrebbero dovuto condividere e fin
dall’inizio non riescono, entrambi, ad esprimere la potenza di quel legame che
salda i destini dei loro personaggi. Paradossalmente ciò che manca a questo
film è proprio il motore che avrebbe dovuto muoverlo, quello dell’amore,
risolvendosi invece in un movimento meccanico in cui anche la rabbia, lo
sgomento o un’esplosione d’ira si cristallizzano in azioni che sembrano voler
sfuggire ad ogni empatia, raggelando il pathos naturale del tragico.
Privilegiando il “mostrare” al “raccontare”, Costanzo
imprime al suo film una direzione ondivaga, in cui si smarrisce tutto il
potenziale del dramma lasciando di esso nulla di più che una mera cronaca, alla
superficie del dolore e della follia.
…Hungry Hearts potenzia
al massimo questa sua tendenza, siamo a New York, la città del cinema,
Mina e Jude diventano Annie Hall e Woody Allen di Io e Annie,
passando poi a Rosemary’s Baby e l’Inquilino del terzo piano, con lo
stroboscopio che deforma mostruosamente il corpo di Alba Rohrwacher
e la loro casa. E horror, caccia, il paesaggio americano
dell’immaginario che quasi sovrasta la narrazione. Rispetto alle convenzione
ormai da fiction (brutta) tv a cui rimanda tanto nostro cinema lo sforzo
visionario di Costanzo, come la sua sovresposizione, è senz’altro
eccentrico. Quello che gli manca è forse la capacità di metabolizzare
fino in fondo le sue ossessioni nelle immagini liberandole da qualche
eccesso di pro grammaticità….
…la Rohrwacher è bravissima nel suo essere scialba,
stralunata e scheletrica, così come Costanzo ha azzeccato la fotografia, gli
ambienti e quelle inquadrature dall’altro che schiacciano i protagonisti. Alla
fine versiamo in uno stato ansiogeno tale da provare sollievo per l’arrivo dei
titoli di coda.
Non so se il mondo sia davvero tossico, inadatto a crescere
un bimbo, non so se sia più giusto un regime alimentare onnivoro o vegano. Non
conosco dove sia il confine tra infinito amore materno e ossessione malata. So
però cosa fa bene a me e la visione di questa pellicola ha reso la mia giornata
migliore. Tre soli attori. Uno spaccato di realtà che fa male. Un fiume di
emozioni. Toni asciutti, diretti e mai eccessivi. Un lavoro italiano dal
respiro davvero internazionale. Insomma, ho visto un gran bel film.
…Nel conflitto mortale ingaggiato tra i due giovani
sposi, Mina e Jude, il regista non prende posizione se non usando lo strumento
del cinema: il posizionamento della macchina da presa, la scansione dei blocchi
narrativi, la routine dei gesti quotidiani e dei silenzi sempre più pesanti, la
scelta degli obiettivi. Per sottolineare il senso di disagio e precarietà, ad
esempio nella scena girata sulle scale in cui la nonna incontra per la prima
volta il neonato, Costanzo posiziona la macchina da presa in alto, sul
soffitto, e gira un’unica e lunga inquadratura verticale (come Hitchcock
in Psyco), con la nonna che prova più volte ad abbracciare il
bambino e la madre spaventata che lo ritrae; per sottolineare la solitudine di
Mina, sempre più chiusa in se stessa e al mondo, Costanzo usa ad un certo punto
degli obiettivi deformanti che dilatano e allungano spazi e figure (come Repulsion di
Polanski). Di fronte ad un amore che muore e crea dolore, Costanzo descrive i
comportamenti dei due protagonisti come fossero cavie di laboratorio, li segue
nella loro casa e nel loro incubo, nelle loro paure e nei loro inganni. Non ci
sono parenti, né amici, né colleghi di lavoro che possono aiutarli. Sono soli.
New York, la città in cui vivono, è vista di sguincio, spiata dalla finestra o
da una piccola terrazza ricavata sul tetto, che però provoca vertigine e
malessere…
Ispirato al romanzo Il
bambino indaco di Marco
Franzoso, Saverio Costanzo conferma con questo film il suo percorso
originale e coraggioso, soprattutto se rapportato al cinema nazionale. Un
dramma familiare durissimo e claustrofobico che nella seconda parte sfocia in
un thriller psicologico dalle tinte horror per come è girato (l'utilizzo
ripetuto di ottiche deformanti) e raccontato (i contrappunti musicali di Nicola
Piovani tesi a creare un clima di suspense)…
Il cinema
di Costanzo è connotato da un rigore raro a formare un’idea di spazio
decomposto ed esatto nel quale i personaggi si muovono (o non si muovono)
assorbendolo, diventando parte integrante di un sistema di forze che si
diramano da un “quadro” centrale e invisibile.
Più che un punto di vista interno che incide e modifica il senso della composizione generale e ne orienta la morale, è nell’irruenza del contrasto tra interno ed esterno, nell’assenza cioè di un punto di vista specifico che possa dare un indirizzo alle opinioni; è nel disorientamento che segue al passaggio da una scena all’altra che progressivamente si (spro)fonda la visione…
Più che un punto di vista interno che incide e modifica il senso della composizione generale e ne orienta la morale, è nell’irruenza del contrasto tra interno ed esterno, nell’assenza cioè di un punto di vista specifico che possa dare un indirizzo alle opinioni; è nel disorientamento che segue al passaggio da una scena all’altra che progressivamente si (spro)fonda la visione…
…Ragionando sulla sottomissione, sulla follia e sul
terrore dell’infezione, Costanzo lo fa ribaltando attraverso il cinema tali
prospettive: Hungry Hearts è cinema
fieramente infetto, che fa della mescolanza di intuizioni, fluidi e malattie la
propria arma estetica. Solo nella fusione tra elementi così eterogenei si può
ancora trovare un senso alla narrazione, alla storia, all’intreccio; che
thriller e vagheggiamenti orrorifici facciano capolino in un dramma da camera –
il film è prevalentemente girato in interni, eccezion fatta per un paio di
sequenze – non diventa solo interessante, ma persino necessario.
Si sfida l’idea canonica di gusto, si profana il “bello” o ciò che tale viene comunemente considerato, si ammanta il dramma di vie d’accesso secondarie, ci si permette sberleffi tutt’altro che indolori verso ogni tipo di categoria e di facile catalogazione: Saverio Costanzo, forse tra i cineasti italiani uno dei più incompresi (fin dai tempi di Private), porta a termine una fine ed elegante operazione intellettuale, scarto sensibile in direzione di un nuovo approccio alla materia cinematografica.
Si sfida l’idea canonica di gusto, si profana il “bello” o ciò che tale viene comunemente considerato, si ammanta il dramma di vie d’accesso secondarie, ci si permette sberleffi tutt’altro che indolori verso ogni tipo di categoria e di facile catalogazione: Saverio Costanzo, forse tra i cineasti italiani uno dei più incompresi (fin dai tempi di Private), porta a termine una fine ed elegante operazione intellettuale, scarto sensibile in direzione di un nuovo approccio alla materia cinematografica.
…El no-posicionamiento del autor frente al conflicto,
le permite alejarse de la usual exigencia argumental que fuerza la exhibición
del rol de víctima y verdugo. De este modo, Saverio Costanzo tiene libertad
para centrarse en dos aspectos técnicos hasta ahora desconocidos en su anterior
filmografía. Nos referimos a los bruscos e imprevisibles cambios de género, y
al uso adecuado de ciertos planos y lentes de la cámara, con el fin de forzar
la ansiedad formal a los ojos del público. En cuanto a la alteración
genérica, Hungry Hearts se inicia con un plano secuencia en el
que Adam Driver y Alba Rohrwacher quedan encerrados en un baño de un mugriento
restaurante chino…
Hungry Hearts es una película demoledora. Por
su temática, por su formato, por el cambio casi constante de género
cinematográfico. Lo que parece va a ser una comedia romántica, con una
divertidísima escena introductoria de plano fijo en la que nos presenta cómo se
conoce la pareja protagonista (nada más y nada menos que quedando encerrados en
el lavabo de un restaurante chino), se convierte en un drama familiar que pasa
a thriller psicológico en el que el espectador se decantará
sin duda a posicionarse hacia una de las partes, y aunque puede parecer que en
todo momento el director nos está decantando a ser partidarios de la postura
del padre, en realidad nada más lejos de su intención (el propio Saberio
Costanzo confirmará en la rueda de prensa que su acercamiento a los personajes
se basa en la forma de trabajar de Cassavetes): salpicará las imágenes de
subliminales mensajes que, inconscientemente, nos deberían, como mínimo, hacer
dudar del pleno juicio de los dos protagonistas, y sus familias…
amen
RispondiEliminaD'accordo su tutto. Ma Private era forse più intenso e rivelatore.
RispondiEliminaanche per me "Private" era ancora più straordinario
Eliminaandate in pace :)
RispondiEliminaSembra interessante, poi questo tipo di tematica mi affascina sempre.
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