venerdì 23 gennaio 2015

È difficile essere un Dio - Peter Fleischmann

il film (del 1989) è tratto da questo bellissimo romanzo di Arkadi e Boris Strugatzki.
Pavel Lebeshev è il direttore delle fotografia è (anche qui lo era, e si vede la mano, anzi l’occhio)
Jean-Claude Carrière, mica nessuno (come sapeva Buñuel), scrive la sceneggiatura, anche Werner Herzog appare fra gli interpreti, ma lo uccidono dopo pochi minuti.
un film impressionante, abbastanza fedele al romanzo, sorretto da una storia potente, se si può intervenire per cambiare la storia degli altri, se da osservatore si può essere agente, se è possibile opporsi a un potere malvagio e durissimo, pur essendo di un altro pianeta.
da non perdere è il minimo, ma non dimenticate di leggere il romanzo, davvero imperdibile.
anche Aleksej German ha fatto un film tratto dallo stesso libro (apparso nel 2013, dopo la sua morte), ma questa è un’altra storia - Ismaele

QUI con sottotitoli in inglese



Un film molto bello e particolare, di ambientazione e contesto fantascientifico, ma che affronta tematiche interessanti. Uomini di due Terre a confronto: quelli, diciamo, che rappresentano una nostra evoluzione futura, senza più violenza e miserie e gli altri, abitanti di un pianeta gemello della Terra che rappresenta il passato stesso della Terra, il suo Medioevo dominato dalle guerra, dalla povertà e dalla violenza. Il futuro che studia il proprio passato e le proprie origini, ma la difficoltà è quello di rimanere impassibili osservatori di carneficine. Anton, il protagonista, è un terrestre che si infiltra all'interno di questo mondo oscuro e spietato (reso benissimo visivamente grazie ad un paesaggio molto aspro e arido). Ha i mezzi e il potere di essere considerato un dio, dato l'enorme gap tecnologico a suo favore, ma nonostante sia frustrato da questo non interventismo ordinato dai suoi superiori che ne studiano le mosse (in applicazione ad una sorta di libero arbitrio), viene sempre più coinvolto nelle trame di questo mondo nuovo e antico allo stesso tempo. C'è la riscoperta di emozioni forti come rabbia e odio, grazie a loro il Dio/Anton si rivela agli uomini, interferisce nella storia, vuole salvare le persone a cui è più legato. Rivelandosi sveste i panni di Dio e diventa uomo. 
E' un film da vedere, non per i puristi del genere, perchè è più fasntascienza filosofica seppur all'interno di una cornice narrativa dotata di un buon ritmo che non presenta punti morti o noiosi. Da recuperare senza dubbio, se non altro per vedere una pellicola atipica nel suo genere.

Un mondo dalla civiltà medioevale viene scoperto da un popolo di viaggiatori spaziali. I nuovi arrivati, esseri estremamente progrediti, che hanno sconfitto guerre, miseria e malattie, rimangono affascinati dalle genti del pianeta, che rappresentano ai loro occhi l'immagine vivente di un'epoca storica da lungo tempo superata e quasi dimenticata. Subito decidono di inviare una spedizione scientifica, composta da storici ed archeologi. L'occasione è ideale, perchè gli studiosi, senza timore di essere scoperti, dal momento che i due tipi umani sono del tutto identici, non hanno difficoltà a mescolarsi ed inserirsi tra gli autoctoni, per esaminarne da vicino usi e comportamenti. Ma il coinvolgimento va molto al di là del previsto, perchè gli infiltrati riscoprono sentimenti e passioni dimenticate: l'amore, l'odio, il gusto della lotta per una giusta causa, l'avversione per un tiranno, l'inevitabile schierarsi con un movimento ribelle. Così quelli che avrebbero dovuto limitarsi a fare da spettatori divengono i principali responsabili di una svolta storica nella vita del pianeta, e saranno costretti a porsi dei gravi interrogativi: la loro ingerenza è stata lecita oppure no? E le irreversibili conseguenze del loro intervento rappresenteranno un vantaggio o un danno per quelle genti? Ed infine, chi avrà tratto i maggiori benefici, e chi avrà subito le perdite più pesanti da questo incontro? Cosa accadrebbe ad una civiltà progredita che scoprisse su un remoto pianeta una umanità del tutto simile, ma ancora molto indietro nella scala evolutiva? Sarebbe etico - e morale - interferire, più o meno apertamente, sulla storia di quel popolo, intromettersi per modificarne, o addirittura rivoluzionarne, il destino, dall'alto di una tecnologia tanto superiore da non poter essere contrastata, facendosi magari credere delle divinità? Ciò in passato è più volte accaduto, quando nazioni più progredite si sono affacciate in Messico, in Brasile, in Africa, in Australia, nelle lontane isole del Pacifico, ed ogni volta gli abitanti di quei luoghi hanno finito per pagare prezzi altissimi, a volte fatali, agli invasori, le cui gesta hanno suscitato soltanto a posteriori condanna e riprovazione…

In 1989, before the dust had settled, before anyone even really knew what the future held in store, a group of filmmakers from France teamed up with a group of filmmakers from West Germany and the Soviet Union — two countries that wouldn’t even exist by the time their work was finished — to make an ambitious, batty, corny sci-fi fantasy film called Es ist nicht leicht ein Gott zu sein, known (well, not really known at all) in English as Hard to be a God, that ended up being a telling reflection of the upheaval and anxiety that permeated east and west Europe during the final days of the 1980s…
…For whatever foibles this sort of heart-on-the-sleeve science fiction may possess, I really wish we got more of it these days. Hard to be a God is exciting and sad, thought-provoking and, well, not exactly action packed, but there’s plenty of action. It tries really hard to be meaningful — not important, mind you, but meaningful, and there’s a difference. Hard to be a God is too pulpy to feel like a movie obsessed with its own importance. And there are a lot of pretty meaningless movies that think of themselves as being important, and I’ll take meaningful pulp over self-indulgent importance any day. If you’re a fan of old(ish) sci-fi, terrible wigs, heavy-handed but well-meaning philosophical musings, dudes in robes shouting and killing each other with swords and lasers, or just wondered what an episode of Star Trek would look like with more beheadings and spurting blood, Hard to be a God is a thoroughly entertaining time at the movies.

Es ist nicht leicht ein Gott zu sein” è una co-produzione russo-franco-tedesca del 1989. Originariamente gli stessi fratelli Strugatsky dovevano curare la riduzione in sceneggiatura del loro romanzo del 1964 “È difficile essere un dio” (Трудно быть богом — Trùdna biz bagòm, edito in Italia da Urania Mondadori prima nella serie madre, n. 1109, e poi nei Classici, n. 232), ma per farlo chiesero che il film fosse diretto da un regista sovietico, come Aleksej German. Quando invece venne chiamato alla regia il tedesco Peter Fleischmann, autore notoriamente “intrattabile”, gli scrittori russi si ritirarono dal progetto, ed in seguito non ebbero mai parole positive per il film girato. Lo stesso anno, poi, per “ripicca” scrissero “Без оружия” (Bez oruzhia — Senza armi), pièce teatrale che condensava il loro romanzo.
Fleischmann stesso lavorò alla sceneggiatura del film, affiancato dall’esperto sceneggiatore francese Jean-Claude Carrière. Il regista russo German evidentemente non rinunciò mai all’idea di dirigere un adattamento del romanzo, tanto che dal 2006 ha iniziato le riprese di un progetto che però, a tutto il 2010, ancora non ha visto la luce: “История арканарской резни” (Istoriya arkanarskoy rezni — Storia del massacro di Arkanar), una versione moderna russa del detto romanzo…

…Though 128 minutes long, the film is rarely boring. Written by Fleischmann and longtime Bunuel-collaborator Jean-Claude Carriere, they overload it with sci-fi ideas (on future Earth, war, injustice and emotions have been eliminated), striking sadism (Reba's Inquisition-style "God Machine," used to slaughter dissenters), occasional sex (all of the women, from royalty to servants, want to jump hunky Anton), and a deliriously crazy finale of wholesale killing, worship and chaos, with a modern-day helicopter(!) thrown into the mix. The special effects are often cheesy, but cinematographer Pavel Lebeshev (KIN-DZA-DZA) gives it the proper grunginess, the actors play it straight and it's refreshing to see a rousing, bloodthirsty tale with no shortage of philosophical underpinnings. And don't forget to stick around for the hilarious, English-language, power-ballad theme song over the end credits! Ouch!
da qui

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