martedì 13 maggio 2025

Familia - Francesco Costabile

Francesco Di Leva fa il cattivo, un marito e padre violento che dopo la galera torna a casa e continua a essere lo stesso, è più forte di lui.

la moglie (Barbara Ronchi) subisce e soffre, i figli ormai cresciuti, subiscono, tra slanci d'amore e d'odio, e alla fine Luigi (Francesco Gheghi) non ce la fa più.

bravi tutti, compresa anche Tecla Insolia, ormai un'attrice super affidabile.

un piccolo grande film da non perdere.

buona (tormentata) visione - Ismaele


  

 

Tratto dall'autobiografia "Non sarà sempre così" di Luigi Celeste (Piemme), è un film che ripercorre dolorosamente tutte le tappe di chi vive un incubo del genere: i figli bambini che si tappano le orecchie a vicenda ("Quando ci sono i rumori dobbiamo aspettare"), la cancellazione dello stato di famiglia, la denuncia, lo strappo emotivo quando tolgono i figli alla madre (la scena più straziante), la destabilizzazione di un'adolescenza vissuta con rabbia, l'incapacità di respingere il padre dei propri figli anche se è violento e la rassegnazione a prendersi le botte per tutti. In parallelo scorre sullo schermo l'adolescenza di Luigi e la sua adesione a un gruppo di estrema destra, la violenza che si eredita, come il carcere, e poi uno spiraglio di luce con una storia d'amore. Ma rischia di restare solo uno spiraglio: non a tutti è concesso il privilegio della serenità, specie se in casa ci sono continui episodi di sopraffazione e offese, tra botte e strangolamenti mostrati in primo piano…

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…Prima del tragico epilogo Luigi dice alla polizia: “Mia madre non può venire qua a fa la denuncia. Non ce la fa: c’ha paura”. Ma la paura non deve esistere nelle vittime secondo le istituzioni che dovrebbero proteggerle. Se Licia quando, con Franco accanto, le chiedono “è tutto bene in casa?” non denuncia platealmente i soprusi che vive da anni, allora quella violenza è come non esistesse. E la vittima si sente ancora più sbagliata a soffrirne, ancora più indegna di stare così male. Quindi subisce, sopporta, si licenzia da lavoro perché Franco la vede parlare con un altro uomo, butta via i vestiti perché “sono più belli quelli che ti ho comprato io”.

La violenza ferisce ma la difficoltà del percorso che permetterebbe alla vittima di ottenere un aiuto e una soluzione è ancora più invalidante: immobilizza. E Familia lo rappresenta con Licia immobile sul divano. Quell’immobilità è l’impotenza delle vittime che vengono messe nelle condizioni di subire non solo i soprusi ma anche la colpa di quelle violenze…

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…l’opera seconda di Costabile riesce a porsi con un piglio quasi antropologico nel delineare caratterizzazioni compiute di agenti scenici danneggiati che vogliono amore ma che ne hanno paura quando lo ricevono. Vittime che non riescono a liberarsi del giogo oppressivo di carnefici manipolatori costringendosi in loop esistenziali di libertà accennata e mai veramente assaporata. E infatti è una narrazione angosciante-e-angosciosa, tesa e dal respiro corto quella disegnata da Costabile. A mancare, però, è la spontaneità in un racconto che cresce in maniera confusa e disorganica.

Il loop esistenziale degli stessi protagonisti traspare sino ad avvolgere Familia di svolte narrative spesso incoerenti che finisce con il quasi depotenziare le premesse stesse del racconto privandolo del pathos necessario a gestire tutte le componenti di un’opera così complessa, delicata e fragile. Compensano, però, le performance incisive di un Di Leva fisico e machiavellico e di una Ronchi speranzosa di vita. E se la Insolia è sempre più certezza dopo l’ottimo L’Arte della Gioia, anche in piccoli ma importanti ruoli di supporto come questo, è decisamente Gheghi la rivelazione e il nome da appuntare del buon film di Costabile. Un film da non perdere, Familia, da vedere e su cui riflettere.

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Costabile riesce a coniugare un approccio realistico con una forte componente visiva. Le ambientazioni, una periferia romana cupa e violenta, riflettono l’oppressione emotiva che pervade la famiglia protagonista. L’uso del primo piano, in particolare, permette al regista di esplorare l’interiorità dei personaggi, facendo emergere la loro complessità psicologica. Le scelte scenografiche, con spazi angusti e claustrofobici, enfatizzano la sensazione di prigionia e soffocamento emotivo.

Familia è un’opera che colpisce per l’intensità delle sue interpretazioni e la forza visiva della narrazione. Costabile ha saputo bilanciare magistralmente dramma personale e denuncia sociale, portando alla luce le ferite profonde lasciate dalla violenza assistita e dalla mancanza di supporto da parte delle istituzioni.

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La carne al fuoco in Familia è tanta: il paradosso dell’assistenza sociale che per proteggere Licia le sottrae i figli (con tanto di richiami a I 400 colpi e all’icona cinematografica Antoine Doinel), il fascino che gli ambienti di estrema destra esercitano su giovani sofferenti, le storture di un sistema che permette a un uomo colpevole di abuso di fare ritorno nel teatro delle sue malefatte, l’educazione sentimentale di Luigi, inevitabilmente segnata dalla tossica figura paterna. Temi che non sempre trovano un’efficace sintesi a livello di scrittura e che a volte danno vita a vere e proprie contraddizioni, come l’altalenante rapporto fra i fratelli e la stessa personalità di Luigi, in precario equilibrio fra condiscendenza, collera e disagio esistenziale. Uno sbilanciamento narrativo che trova il proprio apice in un finale eccessivamente lirico, che cede alla tentazione del didascalismo.

Difetti che comunque non inficiano il discreto risultato finale, che ha il merito di puntare i fari su diverse piaghe della società italiana, purtroppo quotidianamente documentate nelle cronache nazionali e locali. Un’opera seconda potente e intensa, capace di certificare il talento di Francesco Costabile e di dimostrare che anche il nostro incerto cinema può e deve ritrovare un collegamento con il reale e con il contemporaneo.

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