Francesco Di Leva fa il cattivo, un marito e padre violento che dopo la galera torna a casa e continua a essere lo stesso, è più forte di lui.
la moglie (Barbara Ronchi) subisce e soffre, i figli ormai cresciuti, subiscono, tra slanci d'amore e d'odio, e alla fine Luigi (Francesco Gheghi) non ce la fa più.
bravi tutti, compresa anche Tecla Insolia, ormai un'attrice super affidabile.
un piccolo grande film da non perdere.
buona (tormentata) visione - Ismaele
…Tratto
dall'autobiografia "Non sarà sempre così" di Luigi Celeste (Piemme),
è un film che ripercorre dolorosamente tutte le tappe di chi vive un incubo del
genere: i figli bambini che si tappano le orecchie a vicenda ("Quando ci
sono i rumori dobbiamo aspettare"), la cancellazione dello stato di
famiglia, la denuncia, lo strappo emotivo quando tolgono i figli alla madre (la
scena più straziante), la destabilizzazione di un'adolescenza vissuta con
rabbia, l'incapacità di respingere il padre dei propri figli anche se è
violento e la rassegnazione a prendersi le botte per tutti. In parallelo scorre
sullo schermo l'adolescenza di Luigi e la sua adesione a un gruppo di estrema
destra, la violenza che si eredita, come il carcere, e poi uno spiraglio di
luce con una storia d'amore. Ma rischia di restare solo uno spiraglio: non a
tutti è concesso il privilegio della serenità, specie se in casa ci sono
continui episodi di sopraffazione e offese, tra botte e strangolamenti mostrati
in primo piano…
…Prima del tragico
epilogo Luigi dice alla polizia: “Mia madre non può venire qua a fa la
denuncia. Non ce la fa: c’ha paura”. Ma la paura non deve esistere nelle
vittime secondo le istituzioni che dovrebbero proteggerle. Se Licia quando, con
Franco accanto, le chiedono “è tutto bene in casa?” non denuncia
platealmente i soprusi che vive da anni, allora quella violenza è
come non esistesse. E la vittima si sente ancora più sbagliata a
soffrirne, ancora più indegna di stare così male. Quindi subisce, sopporta, si
licenzia da lavoro perché Franco la vede parlare con un altro uomo, butta via i
vestiti perché “sono più belli quelli che ti ho comprato io”.
La violenza
ferisce ma la difficoltà del percorso che permetterebbe alla
vittima di ottenere un aiuto e una soluzione è ancora più
invalidante: immobilizza. E Familia lo
rappresenta con Licia immobile sul divano. Quell’immobilità è l’impotenza delle
vittime che vengono messe nelle condizioni di subire non solo i
soprusi ma anche la colpa di quelle violenze…
…l’opera seconda di Costabile riesce a porsi
con un piglio quasi antropologico nel delineare caratterizzazioni compiute di
agenti scenici danneggiati che vogliono amore ma che ne hanno paura quando lo
ricevono. Vittime che non riescono a liberarsi del giogo oppressivo di
carnefici manipolatori costringendosi in loop esistenziali di libertà accennata
e mai veramente assaporata. E infatti è una narrazione
angosciante-e-angosciosa, tesa e dal respiro corto quella disegnata da
Costabile. A mancare, però, è la spontaneità in un racconto che cresce in
maniera confusa e disorganica.
Il loop esistenziale degli stessi
protagonisti traspare sino ad avvolgere Familia di
svolte narrative spesso incoerenti che finisce con il quasi depotenziare le
premesse stesse del racconto privandolo del pathos necessario a gestire tutte
le componenti di un’opera così complessa, delicata e fragile. Compensano, però,
le performance incisive di un Di Leva fisico e machiavellico e di una Ronchi
speranzosa di vita. E se la Insolia è sempre più certezza dopo l’ottimo L’Arte della Gioia, anche in piccoli ma importanti
ruoli di supporto come questo, è decisamente Gheghi la rivelazione e il nome da
appuntare del buon film di Costabile. Un film da non perdere, Familia, da vedere e su cui riflettere.
…Costabile riesce a coniugare un approccio realistico con una
forte componente visiva. Le ambientazioni, una periferia romana cupa e
violenta, riflettono l’oppressione emotiva che pervade la famiglia
protagonista. L’uso del primo piano, in particolare, permette al regista di
esplorare l’interiorità dei personaggi, facendo emergere la loro complessità
psicologica. Le scelte scenografiche, con spazi angusti e claustrofobici,
enfatizzano la sensazione di prigionia e soffocamento emotivo.
Familia è
un’opera che colpisce per l’intensità delle sue interpretazioni e la forza
visiva della narrazione. Costabile ha saputo bilanciare
magistralmente dramma personale e denuncia sociale, portando alla luce le
ferite profonde lasciate dalla violenza assistita e dalla mancanza di supporto
da parte delle istituzioni.
…La
carne al fuoco in Familia è
tanta: il paradosso dell’assistenza sociale che per proteggere Licia le sottrae
i figli (con tanto di richiami a I 400 colpi e
all’icona cinematografica Antoine Doinel), il fascino che gli ambienti di
estrema destra esercitano su giovani sofferenti, le storture di un sistema che
permette a un uomo colpevole di abuso di fare ritorno nel teatro delle sue
malefatte, l’educazione sentimentale di Luigi, inevitabilmente segnata dalla
tossica figura paterna. Temi che non sempre trovano un’efficace sintesi a
livello di scrittura e che a volte danno vita a vere e proprie contraddizioni,
come l’altalenante rapporto fra i fratelli e la stessa personalità di Luigi, in
precario equilibrio fra condiscendenza, collera e disagio esistenziale. Uno
sbilanciamento narrativo che trova il proprio apice in un finale eccessivamente
lirico, che cede alla tentazione del didascalismo.
Difetti che comunque non inficiano il
discreto risultato finale, che ha il merito di puntare i fari su diverse piaghe
della società italiana, purtroppo quotidianamente documentate nelle cronache
nazionali e locali. Un’opera seconda potente e intensa, capace di certificare
il talento di Francesco Costabile e di dimostrare che anche il nostro incerto
cinema può e deve ritrovare un collegamento con il reale e con il
contemporaneo.
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