ottima opera prima di Anne-Sophie Bailly, che affronta un tema spesso al cinema in modo retorico e strappalacrime.
il film racconta la storia di Mona (Laure Calamy), madre sola di Joel, un ragazzo con un ritardo mentale, che si innamora di Oceanie, che resta incinta.
Mona cerca di vivere una vita "normale", ma il pensiero e la cura di Joel la tengono "imprigionata".
Laure Calamy è davvero bravissima, ma Joel non è da meno, in un film coinvolgente, senza trucchetti strappalacrime.
un film da non perdere, purtroppo in poche sale.
buona (amorosa) visione - Ismaele
…Il film trova la sua forza nella
straordinaria Laure Calamy, che sa passare senza sforzo apparente dalla
leggerezza della commedia allo strazio del dramma, cambiando espressione ogni
secondo e comunicando in modo sincero ed efficace le difficoltà del suo
personaggio, su cui Bailly non esercita alcun giudizio e a cui non fa mai la
morale, come invece fanno le persone intorno a Mona, quelle che non capiranno
mai cosa voglia dire stare di guardia 24 ore su 24.
Mona porta il suo peso quotidiano con una specie di allegria, ma rischia di
rimanere schiaccciata dalla pressione che la situazione esercita su di lei
senza tregua. Anche Charles Peccia Galletto è efficace nel difficile ruolo di
Joel, sempre in equilibrio tra volontà di emancipazione e incapacità di
provvedere completamente a se stesso.
Anne Sophie Bailly racconta senza fretta, prendendosi il
tempo di far penetrare nelle nostre coscienze la consapevolezza dell'impegno di
cura, ma anche la forza dell'amore vitale fra madre e figlio. Di fatto, al di
là del prisma della disabilità, Tutto
l'amore che serve è anche la storia di ogni rapporto madre-figlio
diventato una co-dipendenza, e bisognoso di darsi un confine certo per
permettere a entrambi una vita autonoma e indipendente. Nel suo film non c'è
spazio per la (auto)commiserazione ma solo per la presa d'atto che non tutto è
semplice come in un film hollywoodiano, e che le soluzioni non sono sempre a
portata di mano. Un esordio davvero promettente, che fa tesoro dell'esperienza
documentaria della sua autrice in termini di attenzione ai dettagli e di
fedeltà alla complessità del reale.
…Quel che consente a Tutto l’amore che serve di smarcarsi, almeno per buona parte del
racconto, dalle trappole del sensazionalismo o dell’eccesso di
autocommiserazione, è proprio la naturalezza con cui Anne-Sophie Bailly lega il
processo di rivalutazione del rapporto simbiotico madre-figlio alla soppressione
dei desideri/istinti carnali della protagonista. Tanto che l’erotismo, agli
occhi della regista francese, diventa il viatico di espressione sì dei disagi e
delle crisi vissute nel quotidiano da Mona, ma si dipana anche come lo
strumento di rielaborazione del rapporto con il suo primogenito. È nei momenti
di maggiore liberazione, quando si abbandona tra le braccia dell’amante Frank,
che lei arriva a comprendere nel profondo i desideri di Joël, la necessità del
giovane uomo di fregiarsi degli stessi diritti di coloro che non soffrono di
disabilità, tra cui quello relativo alla paternità e al bisogno, quindi, di
assumere l’immagine di genitore e marito, al di là del suo unico status di
“figlio” costretto ad essere tutelato per l’eternità. E anche se, in alcuni
momenti, il film tende a declinare il percorso di Mona nel vittimismo –
rifiutando in parte la lezione che Lee
Chang-dong ci ha insegnato all’inizio del Millennio con Oasis – difficilmente il tema della disabilità
viene trattato dal cinema transalpino con questa sincerità.
Laure Calamy è una delle migliori attrici francesi del momento. Peccato che i suoi film arrivino così poco da noi...
RispondiEliminal'ho già vista almeno altre tre volte, sempre bravissima, con quella faccia un po' così, quasi un'attrice proletaria...
Elimina