venerdì 20 giugno 2025

Gioventù perduta - Pietro Germi

uno di quei film dei "panni sporchi che si lavano in casa", se i delinquenti sono borghesi e non proletari.

Pietro Germi è bravissimo sin dall'inizio della carriera, in un film che sembra un noir hollywoodiano, è un film italiano che non teme confronti.

un film da non perdere, promesso.

buona (poliziesca) visione - Ismaele



Il primo impatto di Pietro Germi con il mondo del cinema è all’insegna dello scontro. Scartato dalla commissione del Guf di Genova, incaricata di effettuare una prima selezione di candidati ammissibili al concorso indetto dal Centro Sperimentale di Cinematografia, Branca Registi, non si dà per vinto e scrive una lunga lettera per protestare contro quel risultato a suo avviso sommamente ingiusto. Siamo nel 1937, Germi ha 23 anni e un bellicoso talento per l’esercizio dello sdegno, accompagnato da un’indole ribelle che il tempo potrà solo confermare. A dieci anni esatti da quella bocciatura, al “caso” del candidato Germi si aggiunge il “caso” Gioventù perduta, scatenato da un’altra lettera e destinato a rimanere unico, nella carriera del regista genovese, per il massiccio sostegno trasversale ottenuto anche – soprattutto – a sinistra, nel corso di una vera e propria campagna di stampa contro la censura. Portato a termine nell’autunno del 1947, il secondo lungometraggio di Germi ne è il protagonista indiscusso e forse ottiene il nulla osta, nel gennaio del 1948, anche grazie a questa imponente mobilitazione.

Tutto sembra avere inizio, appunto, da una lettera, firmata da 362 fra registi, sceneggiatori e intellettuali dello spettacolo appartenenti agli schieramenti più diversi, e inviata ai giornali romani martedì 9 dicembre 1947 per denunciare «l’approssimarsi di un pericolo […] una tendenza a ripristinare la consuetudine fascista di controllare la produzione dei film […] una vera e propria censura di carattere
ideologico e politico»

da qui 

 

Il ‘caso’ Gioventù perduta [è] scatenato da una lettera [firmata da 36 fra registi, sceneggiatori e intellettuali dello spettacolo] e destinato a rimanere unico, nella carriera del regista genovese, per il massiccio sostegno trasversale ottenuto anche – soprattutto – a sinistra, nel corso di una vera e propria campagna stampa contro la censura. Portato a termine nell’autunno del 1947, il secondo lungometraggio di Germi ne è il protagonista indiscusso e forse ottiene il nulla osta, nel gennaio del 1948, anche grazie a questa imponente mobilitazione. […] Fra gli argomenti adoperati sia nella lettera di protesta dei registi e intellettuali dello spettacolo, sia dalla stampa che interviene in difesa di Gioventù perduta, colpisce anzitutto l’equazione tra antifascismo e (neo)realismo, l’annessione indiscussa di ogni buon film al cinema (neo)realista e la convinzione che la censura voglia colpire proprio quel cinema, di cui Andreotti incarna il nemico per eccellenza. […] A disturbare fu invece soprattutto l’equazione tra delinquenza e borghesia […]. Gioventù perduta sembra voler illustrare lo sviluppo di una delinquenza giovanile di estrazione colta e borghese. Qui il giovane ‘perduto’ non è spinto dal bisogno, bensì dal desiderio di denaro; non fugge la fame, bensì vuole sottrarsi alla mortificazione del razionamento postbellico […]. Non a caso il film verrà considerato il capostipite di uno specifico filone transnazionale, che con I vinti (1953) di Michelangelo Antonioni e Gioventù bruciata (1955) di Nicholas Ray segnerà gli anni Cinquanta. A quel tempo [Germi] è un cinefilo vorace che guarda soprattutto al cinema hollywoodiano, da poco tornato nelle sale italiane; un cinema di cui la critica del tempo nota subito l’influenza, commentando le affinità con il genere poliziesco (ovvero noir) e le somiglianze tra Jacques Sernas e Alan Ladd […]. Ma respira ugualmente la “fresca aria della realtà”, quella del suo tempo, qui restituita attraverso la cronaca a cui si ispira il soggetto; e questo basta alla stessa critica per inserirlo nella corrente (neo)realista. Perché è vero che Gioventù perduta racconta “una storia tipica del dopoguerra”, intrecciata fra l’altro a una riflessione sulle colpe dei padri, se non del fascismo.

Elena Dagrada, Un inizio contro. Censura e scrittura in “Gioventù perduta”, in Il cinema di Pietro Germi, a cura di Luca Malavasi ed Emiliano Morreale, Edizioni di Bianco e Nero/ Edizioni Sabinæ, Roma 2016

da qui

 

Sembra di guardare un noir americano e anche ben fatto. E invece dietro la macchina da presa c'è l'italianissimo Pietro Germi, al suo secondo lungometraggio. Il film gira in tutte le sue componenti e Germi si conferma abile nel muoversi dentro gialli e thriller. Il suo film è un drammone intenso, bello e crudele, ed è tra i primi ad affrontare il tema della criminalità di stampo borghese. Bravi Massimo Girotti e Jacques Sernas, nei panni dell'odioso protagonista.

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…Da una sceneggiatura collettiva a cui han preso parte nomi illustri del cinema italiano come Mario Monicelli, Antonio Pietrangeli, Leopoldo Trieste, lo stesso Pietro Germi ed altri ancora, Gioventù perduta mescola con felici intuizioni narrative il noir classico con lo stile neorealista intento a farsi carico di descrivere un disagio di una generazione degli anni del dopoguerra, sin troppo facilmente proiettata sulle illusioni del vivere facile e al di sopra delle proprie possibilità.

Premiato come miglior film e miglior attore straniero in un film italiano (relativamente all'interpretazione lodevole di Jacques Sernas, in grado di dar vita ad un personaggio dai molti risvolti e dalle mille sfaccettature, quasi tutte rivolte verso il male), Gioventù perduta anticipa le tematiche di molto cinema futuro impegnato a dedicarsi al disagio dell'età giovanile, al baratro a cui sono destinate certe esistenze illuse a tal punto dai progetti di un facile arricchimento, da inoltrarsi con deliberata imprudenza verso la strada senza ritorno del crimine più efferato e crudele.

da qui

 

Direttamente da uno dei momenti più drammaticamente dinamici della storia italiana (il primo dopoguerra), Pietro Germi con la fascinazione del 'nero' americano riesce a congelare il periodo. Un periodo di passaggio, di trasformazione, di disagio. E proprio attraverso l'inquietudine del futuro imprevedibile inserito nello schema cinematografico d'oltreoceano, l'intreccio si apre anche ad una visione morale, esistenziale, sociale. La generazione testimone dell'abbassamento di umanità durante la guerra non riesce più a trovare una bussola per orientarsi nel mare del nichilismo e del cinismo. E si perde. Quando gli ideali crollano, le basi su cui poggiavano lasciano intravedere il vuoto. La visione ora dunque si fa drammatica e l'unica cosa che rimane è l'accumulo di denaro e oggetti preziosi, anticipando le 'depravazioni' consumistiche del boom economico. Gioventù Perduta è un film duro, schematico che dietro alla pura azione cela un pessimismo disturbante, avvolgente, come avvolge e inghiotte l'oscuro gorgo dei titoli iniziali che fin dal principio inghiotte lo sguardo dello spettatore.

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