uno psichiatra "buono", con una figlia poso frequentata, un allenatore in disgrazia, una squadra di pazienti in gara per la coppa del mondo di calcio a 5 sono i protagonisti di un film per la tv, troppo prevedibile.
bravi gli attori, Max Tortora sopratutto.
un film che non dispiace, ma Non ci resta che vincere - Campeones era un'altra cosa.
buona (matta) visione - Ismaele
QUI si può vedere il film completo, su Raiplay
Dal documentario al film. Nel 2016 Volfango De Biasi
aveva raccontato in Crazy for Football la
vicenda di un gruppo di pazienti psichiatrici provenienti da tutta Italia che
hanno formato una nazionale di calcio per partecipare ai mondiali che si
svolgono in Giappone. Quella storia, premiata nel 2017 con il David di
Donatello, si trasforma in un film. Protagonista è lo psichiatra Saverio Lulli
(Sergio Castellitto) che si dedica anima e corpo al reinserimento sociale dei
suoi pazienti e non ha più una vita privata. Per lui il calcio è uno
sport/terapia che aiuta i pazienti a stare meglio. Organizza così il primo
mondiale di calcio a cinque aiutato dalla sua assistente Paola (Antonia Truppo)
e coinvolge Vittorio Zaccardi (Max Tortora), un ex-calciatore ludopatico che
ritrova in una sala Bingo. Per essere ammessi nella formazione, arrivano
pazienti da tutta Italia. Alla squadra si unisce anche Alba (Angela Fontana),
la figlia adolescente ribelle che gli ha affidato l’ex-moglie per occuparsene.
Ci sono però dei problemi; è difficile trovare i finanziamenti e in più lo
psichiatra De Metris (Massimo Ghini), un superiore di Saverio, gli mette i
bastoni tra le ruote.
Con Crazy for Football – Matti per il calcio, Volfango De
Biasi mostra un autentico coinvolgimento per la storia che racconta tanto che
il passaggio tra il documentario e il film è apparso naturale. Le
interpretazioni dei pazienti psichiatrici risultano credibili e sotto questo
punto di vista, il film ricorda quello di un altro “grande sogno” raccontato
in Si può fare.
I due film, nella loro struttura, hanno infatti diversi punti in comune. La
figura di Saverio ricorda quella di Nello interpretato da Claudio Bisio, c’è
sempre un dirigente che vuole riportare il protagonista alla realtà e in più i
pazienti sono interpretati da attori…
…Forse
il momento drammaturgicamente più interessante è quello in cui Saverio viene
messo a confronto con il proprio ego e deve chiedersi: "Lo fai per te o
per loro?", capendo anche che la sua determinazione non corrisponde
necessariamente al benessere dei suoi pazienti. Meno articolato il rapporto fra
Saverio e sua figlia Alba, così come quello fra Alba e uno dei giocatori,
Tommaso (non a caso entrambi assenti dal documentario). La sceneggiatura si
muove su un crinale difficile perché se da un lato l'intenzione dichiarata è
quella di "non mettere mai in ridicolo" i pazienti, dall'altra alcuni
comportamenti vengono utilizzati anche a scopo comico. In questo senso è
magistrale l'interpretazione di Tortora che, nel suo personaggio pragmatico e
politicamente scorretto, riesce a far ridere senza mai eccedere, mantenendosi
sul filo di una comicità "ruspante vera".
Prima un libro e un documentario, adesso anche il film.
L'idea di Volfango De Biasi di raccontare la faccia pulita della psichiatria si
traduce in un lungo lavoro organizzativo che lo ha portato, insieme ad altri,
alla realizzazione di un progetto che richiama la visionarietà del grande
Franco Basaglia.
Nella finzione, Saverio Lulli (Castellitto) è uno
psichiatra iconoclasta e fuori dalle regole che decide di realizzare un
campionato mondiale di calcio a cinque per pazienti istituzionalizzati. Il suo
diretto superiore (Ghini) nicchia, i dirigenti non vogliono saperne, ma lui va
avanti fiero e spavaldo per la sua strada, ipotecando persino la casa e
rischiando di mettere a repentaglio il rapporto con la figlia adolescente
(Fontana). Per l'operazione gli serve un mister che guidi la squadra e lo trova
in un vecchio amico burbero (Tortora), un ex calciatore ludopatico che si
appassiona subito all'impresa. I problemi non mancheranno, ma l'operazione sarà
comunque un successo.
Girata con linguaggio paratelevisivo (luci piatte,
campi e controcampi nei dialoghi, molti interni), la commedia di De Biasi
riesce a colpire nel segno per quel tanto di schiettezza che ne fa - sulla scia
di film come Strana la vita e Si può fare - un riuscito esempio di convivenza tra la magmatica
materia psichiatrica e un registro tanto essenziale quanto leggero e godibile.
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