sabato 28 giugno 2025

Milarepa - Louis Nero

"girato in una Sardegna post-apocalittica, cioè realista" (come scrive Roberto Silvestri), il film di Louis Nero rivisita la storia di Milarepa (interpretato/a da Isabelle Allen).

il film sembra una storia di fantascienza, dove il passato e il futuro si confondono, non sai mai se vedi una storia del passato o del futuro.

è una storia eterna, shakesperiana in fondo (diremmo oggi), nella quale la famiglia, i tradimenti, gli interessi, muovono le guerre, e poi Milarepa cerca una via d'uscita interiore, cerca di andare aldilà dell'avida vita, in un rinascimento spirituale, attraverso l'obbedienza e l'umiltà.

il film si può vedere solo in un pugno di sale, non saprei dire se è un film che resterà, di sicuro è un film coraggioso e non minimalista, che merita di essere visto.

buona visione - Ismaele


 

 

Milarepa è un film mistico e meditativo, una volontà di far riflettere, di porsi domande esistenziali che vanno dall’attaccamento a tutto ciò che è proprietà materiale fino alla continua devastazione della natura da parte dell’uomo, proponendo una riconciliazione e un ricongiungimento tra essi. Un messaggio ecologista che passa attraverso un mondo post-apocalittico dove la natura ha superato la tecnologia. Dove gli esseri umani, per vivere, dipendono dalla natura, mostrando come questo abbia un senso e un significato molto più profondo rispetto a quello che è dimostrativo di una certezza ingannevole attuale. Perché nel mondo del progresso e della modernità si vive nella fittizia sicurezza di dipendere ormai dalla tecnologia. Per quanto questa rilettura in chiave più contemporanea della figura di Milarepa, che passa attraverso interpretazioni e punti di vista femminili, il film di Louis Nero è liturgia, devozione e spiritualità. E la parte psicologica viene sempre più lasciata a margine, rendendo quella ricercato finalità e quel richiesto ruolo ascetico ed estatico, il vero messaggio, quello più intrigante e trascinante. Tutto in un’epoca senza tempo, tra passato e futuro, in un luogo di inestimabile fascino, che ben si adatta a terre che possono apparire indefinite, remote, antiche e primitive. Dove appunto è la natura a distruggere o accudire chi ha intenzione di abitarla.

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Se il materiale narrativo è gonfio di rimandi e forme previste, lo stile fa altrettanto, tra primi piani insistiti, dialoghi altisonanti, scenografie zeppe di cianfrusaglie, droni onnipresenti, accompagnamento musicale onnipresente, costumi che mescolano elementi arabeggianti e anticheggianti, fuoco, vento, terra, deserto, fulmini... Per non dire dell'apparato spirituale, che fonde misticismo e spiritualismo buddista secondo un'idea di sincretismo che ormai da tempo mette in guardia sulla decadenza della civiltà occidentale e sulla possibilità di palingenesi attraverso un ritorno al magico.

Il problema, in ogni caso, non è tanto, o solo, la confusione dell'idea di cinema di Louis Nero, o la scelta semplicistica di mettere in scena una favola sul bene e sul male attraverso il percorso di crescita fisica e interiore di una giovane donna. Il problema è proprio l'impossibilità che tutto questo armamentario si faccia cinema, e cioè immaginario autonomo, consapevole, credibile, a partire dal fatto che in quasi due ore di film non c'è un picco drammatico, l'azione scolora in dialoghi verbosi, la ricostruzione fantasiosa di un mondo passato (costruito tra la Sardegna e il Lazio) non si fa mai spazio e tempo cinematografici e, ancora, la dimensione fantastica suona purtroppo posticcia, più declamata che realizzata.

La passione - che non manca, perché per fare un cinema così altisonante bisogna essere coraggiosi e amare il cinema, questo è giusto riconoscerlo - a volte non basta per essere cineasti.

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…Per Louis Nero non era, dunque, semplice riscrivere per la terza volta e in modo originale una storia ambientata in un complesso terrain vague tra fiaba e mito, misticismo e religione, dove poi i confini spesso tendono a sovrapporsi o a confondersi. Il risultato, a larghi tratti, è suggestivo grazie soprattutto alla fotografia di Micaela Cauterucci e ad un’attenta scelta delle location (soprattutto sarde) che vogliono forse alludere, riflettere la condizione ambivalente e cangiante della psiche della protagonista. Mila, infatti, vive un viaggio iniziatico, dove l’inizio e la fine della vicenda, come nel film di Liliana Cavani, coincidono, tornando allo stesso punto della storia. Nel mezzo c’è l’ascesa, la caduta e infine la redenzione di chi, infine, trova la giusta strada maestra tra tanti dolori, errori ed illusioni ma sempre comunque guidata da una profonda forza interiore che la porta alla verità.
In una vasta gamma di sfumature, tra il candido e il demoniaco, Isabelle Allen conferisce, con una certa abilità e in modo sostanzialmente convincente, corpo e anima al suo cangiante personaggio. Autorevole e ieratico come sempre, Harvey Keitel dona alla figura del guru quel giusto tocco di ambiguità per spingere Mila sul cammino della salvezza. Come di frequente nelle opere di Louis Nero, troviamo, in diversi ruoli secondari, altri attori di nome come l’oscar F. Murray Abraham oppure Angela Molina e Franco Nero ad arricchire un cast importante – peccato che il doppiaggio dell’edizione italiana spesso non sia all’altezza, appiattendo un po’ il potente coro attoriale del film, comunque arricchito dalla presenza della musica di Andrea Guerra.

Cosa concludere? Milarepa ci è sembrato un film meditativo molto classico, quasi “antico” nella sua impostazione e nella costruzione del plot, quasi al guado nell’esibire e alternare luci e ombre. Possiede, anche con qualche pausa e lungaggine di troppo, momenti di buon cinema, nel narrarci una parabola insieme etica, mistica e religiosa, a tratti emozionante, altre volte, più statica o scontata. Comunque sia, un’opera non pensata per un pubblico mainstream che cerca solo azione o spettacolarità pura.

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E comunque finora le parole più belle su questo film le ho lette su un post di Instagram. L'ha scritto l'attrice Diana Dell'erba (Damena nel Milarepa di Louis Nero): «Grazie all’incredibile fuoco sacro di Louis Nero, al team sempre più accuratamente folto de L'altrofilm produzioni e ai tanti straordinari sardi che si sono uniti a questa avventura. Grazie a questa troupe, per lo più femminile. Grazie al film MILAREPA, al personaggio di Damena, a tutte le eccezionali donne che hanno contribuito a crearlo, alle ossidiane dei su kokku, alle sincronicità e alla potenza dei ricercatori, desiderosi di vedere oltre. Grazie alla Sardegna, terra senza eguali… che con la sua infinita e ancora protetta magia ci mostra cosa sia davvero Madre Natura… e ci richiama alla Verità, stuzzicandoci e bussando silenziosamente alla parte più intima, vera e profonda del nostro essere. Grazie a chi mi ha detto che sono solo le dinamiche intorno all’essere attore a non piacermi, perché sì, sono da sempre infinitamente innamorata della purezza di quest’arte. Grazie a chi mi ha suggerito come esistano “informazioni”, che in luoghi diversi del mondo possono avere nomi diversi… perché sì, il malocchio che troviamo in Sardegna prende il nome di energia negativa al di là dell’oceano... Grazie al Nuraghe di Santu Antine per avermi accompagnato al mio buco nero, quel luogo in cui respira tutta la sofferenza che ho incontrato in questa vita… e grazie per avermi suggerito con forza come spetti solo a noi… aprirlo o chiuderlo. Grazie agli elementi che, tutti insieme, mi hanno fatto vivere momenti di estasi (o unione) senza uguali».

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