lunedì 4 dicembre 2017

Sami Blood - Amanda Kernell

solo chi vissuto, almeno in parte, situazioni nelle quali alcuni dispositivi (nel senso di Michel Foucault) potenti, immateriali, vivissimi, implacabili hanno condizionato (riuscendoci o non riuscendoci o riuscendoci solo in parte) la vita, entra in sintonia con questo film, qualche miliardo di persone sono quelle che possono capire questo film, gli altri possono intuire.
si tratta della vergogna e del rifiuto di se stessi, di quello che si è, del proprio popolo, della propria lingua, della propria famiglia, dell'amputazione di una parte di sé, per aderire a modelli diversi, che si sono autodefiniti migliori, con una potenza di convinzione, manu militari, quando il lavaggio dei cervelli non è sufficiente.
Lombroso traccia la via, dappertutto, il razzismo è implacabile.
come dice Terenzio :"Nulla di ciò che è umano mi è estraneo", quindi Sami Blood è per ciascuno di noi.
il film è solo in 10 sale, in tutta Italia, eppure bisognerebbe proiettarlo in tutte le scuole.

film dal punto di vista dell'oppresso, dell'umiliato, dell'offeso, imperdibile, e sconvolgente - Ismaele


  






La Kernell firma il suo debutto con una pellicola di sublime eleganza che incanta e devasta l’animo. Scenari di sconfinata bellezza si alternano al dramma di un’esistenza sofferta e mutilata, tramutando il dolore in una forma di furioso coraggio che acceca e rapisce.

Il punto di vista della Civiltà coincide con quello dello svedese, in bilico tra un aperto razzismo (i ragazzi che insultano e maltrattano le sorelle lapponi) e una sorta di meraviglia o fascinazione che molto ricorda il sentimento di esotismo e il trattamento riservato agli indigeni dei paesi coloniali nelle cosiddette “esposizioni zoologiche”. Così, i medici svedesi studiano accuratamente le fattezze delle ragazzine Sami, noncuranti della violazione che ne operano, bensì spogliandole e fotografandole, nel candore della loro giovinezza e nella genuinità dell’au naturel, come pezzi da collezione; e, in modo simile, le amiche antropologhe di Niklas, attratte dal medesimo oggetto di studio Elle-Marja, finiscono per ridurre lei e il suo popolo a esotici esemplari da circo. “Sami” diventa – e rimane – nulla più che una creatura inferiore e affascinante, e l’incontro con l’Altro e con l’Altrove, il desiderio della “terra che non c’è” della poesia, sembra dissolversi in una umiliante performance di canto Joik.
Dall’altra parte sta invece la prospettiva più semplice di una giovanissima Elle-Marja – Christina, in città – passeggera del viaggio opposto verso l’ignoto, ragazzina a suo modo ribelle e magneticamente attratta, così come respinta, dal proprio Altrove, rappresentato dalla metropoli di Uppsala. Un’attrazione genuinamente fisica e corporea, che passa attraverso un’esplorazione e un esame attento dei sensi, un’ispezione naturale che ben si allontana dalle fredde misurazioni dei medici e dai loro meccanici apparecchi fotografici…

Splendido racconto di formazione contenuto in un intenso flashback (la Cristina/Elle Marja ormai anziana che si reca al funerale della sorella ed è letteralmente costretta a ricordare), Sámi Blood è una riflessione di straordinario acume sul tema dell’identità. 
Costretta a guardarsi con l’occhio degli altri, la povera Elle Marja vive sulla propria pelle il disperato calvario di scoprirsi, passo dopo passo, simile all’immagine abietta riservata a quelli come lei. Desiderosa di affrancarsi dalla sua condizione, non trova altra strada che il ripudio delle proprie origini, il battesimo sacrificale nelle acque di un fiume che la lavi dei suoi odori e dei suoi colori per restituirla all’altro in una forma che possa essere accettata. 
L’ abiura traumatica della propria tradizione è reso tutto nel percorso che va dalla terribile visita medica che ne certifica le origini lapponi sulla base dei soli tratti somatici alla speranza che basti il cambio di un vestito a farla passare per svedese alta e slanciata. 
E intorno a questo cuore poetico denso e dolente si incrostano tutta una serie di riflessioni sul rapporto con l’altro che passano per le contraddizioni lacerata dell’animo umano come nella scena in cui, ormai accettata a scuola, Elle Marja si ritrova con le compagne a prendere in giro il modo di vestire di alcune passanti in un passaggio di consegne che allude alla facilità con cui la vittima di un pregiudizio non esiti a passare dall’altra parte, privandosi di ogni forma di empatia, pur di essere accettata in un contesto cui pure non apparterrebbe…

L'emancipazione da una situazione di partenza castrante, che sia una comunità d'origine o una condizione sociale, è una traccia narrativa di cui il cinema cosiddetto indie fa da sempre largo uso. Stessa strada segue il film della trentunenne svedese Amanda Kernell, che debutta estendendo un proprio precedente cortometraggio circolato al Sundance, e nonostante le correlazioni spontanee (con Jane Campion la più forte) tiene assieme un'opera capace di inserirsi in un doppio canale argomentativo - il coming of age e il tratteggio antropologico - in modo sensibile e onesto, affondando lo sguardo nelle zone oscure dell'identità dove si compie lo scisma fra radici native e formazione individuale.
Più che un racconto di formazione, "Sami Blood" è però il farsi di un lungo rito di passaggio, rivissuto nella memoria dell'anziana Christina, tornata in Lapponia per partecipare al funerale della sorella dopo una vita intera di esilio autoimposto. Christina ha rinnegato il proprio sangue Sami, la popolazione indigena lappone ancora oggi salda ad antiche tradizioni, e nel flashback centrale del film assistiamo al suo percorso di allontanamento volontario durante l'adolescenza. Nella descrizione storica ed etnografica di Kernell trovano posto l'allevamento di renne, i costumi, il dialetto, i canti, la simbiosi con la natura, gli accampamenti nelle lande nordiche più inospitali: negli anni Trenta tutta fonte di pregiudizio per i "progrediti" coloni svedesi. Il trattamento riservato ai Sami, agli occhi e sulla pelle della Christina adolescente (o Elle-Marja, suo vero nome), è quello riservato a una razza inferiore se non addirittura a una specie animale, tale da far assumere a una visita medica scolastica le sembianze di un'ispezione di un capo di bestiame…

il film diretto da Amanda Kernell ha come tema principale quello di un’infanzia sottratta ai bisogni delle propria età e come quelli ci presenta l’avventura esistenziale di un personaggio in lotta contro le regole di una comunità rigidamente organizzata e compatta nel negare ogni forma di promozione sociale alle classi meno abbienti. Ma Sami Blood nel raccontare la scoperta del mondo da parte della giovane protagonista, e soprattutto i suoi tentativi di integrarsi con il contesto umano e sociale che la rifiuta, riesce a coniugare la tensione e i tempi propri del cinema di intrattenimento con la necessità di una ricostruzione ambientale capace di documentare con esattezza scientifica le pratiche e la mentalità dell’epoca in cui si svolgono i fatti. La sorpresa di apprendere che anche nel paese del welfare state siano potute accadere cose del genere lascia ben presto il posto al coinvolgimento suscitato dalla disparità delle forze messe in campo e dal fascino di un personaggio come quello di Elle Marja (l’eccellente Lene Cecilia Sparrok), eroina a tutto tondo ma non per questo meno esente dalle ombre che attraversano i cambiamenti fondamentali di ogni percorso umano. Rigoroso e profondo, magnificamente interpretato, Sami Blood è uno dei film più belli e sorprendenti del 2017.

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