domenica 21 aprile 2024

Civil War - Alex Garland

la guerra civile di Alex Garland non è la guerra di un paese lontano, diverso, è la guerra di casa, nostra, occidentale, riconoscibile.

i protagonisti del film non combattono, con la macchina fotografica osservano, mostrano, si buttano nella mischia, a rischio della vita, per uno scatto epico che li farà diventare immortali.

il mondo è diventato senza speranza, alcuni combattono contro altri, qualcuno sa perché, o forse non lo sa nessuno più, la guerra è igiene del mondo, poi, forse, si ricomincerà.

i fotografi documentano con le immagini, che non sono la verità, solo un istante in una storia lunga, col prima e il dopo, che molti non vedranno.

guardando il film non si capisce che guerra è, perché si fa, il film non è un documentario, l'obiettivo non è quello di spiegare, ma come i fotografi, quello di mostrare.

l'obiettivo è quello di inquietare lo spettatore, nessuno in sala può sentirsi tranquillo, tutto è riconoscibile, ma non interpretabile, non c'è una spiegazione logica, il presidente crepa come un Ceausescu, o Saddam, o Gheddafi qualsiasi.

non ci sono brutti, sporchi e cattivi, quelli brutti, sporchi e cattivi sono come noi, siamo noi, siamo in quel negozio, come quella ragazza, apparentemente indifferenti, con i cecchini sui tetti.

il caos, l'insicurezza, il disordine regnano sovrani, iniziare una guerra è molto più facile che finirla.

alla fine resta qualche immagine, niente più.

se pensi che questo sia il migliore dei mondi possibili, lascia perdere Civil War.

buona (disperata) visione - Ismaele


ps: scrive Medvedev:

...non posso sinceramente non augurare agli Stati Uniti di precipitare il più rapidamente possibile in una nuova guerra civile. Che, spero, sarà radicalmente diversa dalla guerra tra Nord e Sud del 19° secolo e sarà condotta utilizzando aerei, carri armati, artiglieria, MLRS, tutti i tipi di missili e altre armi. E che alla fine porterà al crollo inglorioso del vile e malvagio impero del 21° secolo: gli Stati Uniti d’America.

Chissà se ha visto il film di Alex Garland...


 

 

 

 

Il film di Garland non è un film di guerra. Lo è solo nella misura in cui offre un contesto drammatico per allestire la vicenda. Perché non spiega niente, con buona pace della critica americana timorosa di farsi illustrare la propria politica da un inglese: cita le due fazioni in lotta (il Western Front contro le forze governative), non fornisce le ideologie a confronto se non qualche sporadico commento sul fascismo del Presidente (ma negli atteggiamenti ferini anche la parte avversa non è da meno), non dà conto delle origini del conflitto, al di là di qualche riferimento al secessionismo del Fronte occidentale. Non lo spiega perché fondamentalmente non gliene frega niente delle ragioni di nessuno. Il problema non è lì. Il problema riguarda soltanto chi documenta lo stato di guerra. La deontologia dei fotoreporter a caccia del conflitto come se fosse una dose di eccitanti per tenersi costantemente su. E la loro eventuale sensibilità. Mettendoli al seguito dei commando e al centro delle battaglie cruente, difesi solo da una giacca d’emergenza, un giubbotto antiproiettile, un caschetto e una dose di buona sorte, Garland li fa diventare un altro battaglione, meno violento ma talvolta altrettanto spietato, fondando la metonimia sulla sovrapposizione semantica della parola «shot»: sparo, sì, ma anche foto, istantanea…

da qui

 

L'assenza di spiegazioni impedisce del resto di disinnescare questo incubo con la logica e anche quel poco che ci viene detto basta del resto a scombinare i nostri preconcetti. La California liberal e il Texas conservatore sono qui alleati, contro un Presidente "fascista" che ha mantenuto il potere per un terzo mandato, ha sciolto l'FBI e ha approvato bombardamenti con droni sul suolo americano. L'odio verso di lui unisce così Stati anche tradizionalmente avversi, in un caotico precipitare degli eventi che evita di essere una banale e strumentalizzabile rappresentazione delle divisioni dell'America oggi.

Spesso è persino impossibile dire chi stia da una parte e chi dall'altra e i protagonisti del resto non lo chiedono quasi mai e quando lo fanno non ricevono risposte, oppure vengono coperte dalla musica, come quando Joel chiacchiera e ride con i sopravvissuti a una sparatoria, mentre Jessie fotografa un'esecuzione. Il loro obiettivo è fare l'ultimo scoop o lo scatto definitivo, quello che rimarrà nella memoria collettiva, il loro operare è un misto di necessario cinismo e folle coraggio, di cui Garland non nasconde i paradossi.

Anzi gli inserti fotografici sono la principale marca stilistica del film, dove il flusso frenetico dell'azione è spesso spezzato da immagini statiche, a volte in bianco e nero, di uno o due secondi di durata e senza audio che non sia il suono di uno scatto di macchina fotografica. I suoi giornalisti, con la loro facciata di neutralità - che si infrange però a volte in grida mute e disperate - sono l'unica risposta possibile alla fine della democrazia, sono i testimoni che ci ammoniscono riguardo il baratro a cui ci avviciniamo. È attraverso di loro che Garland firma un'opera dal taglio documentaristico, specchio di un mondo distorto ma in cui è fin troppo facile riconoscere il presente.

da qui

 

Kirsten Dunst è serafica, controllata. Parla poco, piuttosto pensa e agisce (scatta), non si lascia sopraffare dalle emozioni perché crede sia l’unico modo sensato di gestire la realtà. Cailee Spaeny fa tutto il contrario. Questo all’inizio del film, poi le cose cambiano e le attitudini progressivamente convergono, per ribaltarsi del tutto. Tornando, a ruoli invertiti, al punto di partenza. Non è una resa alla vita, l’incapacità di Civil War e di Alex Garland di domandare senza rispondere. È la forza di questo straordinario e solo apparentemente divisivo film, esplorare i dilemmi etici e morali (la tensione civile e la spettacolarizzazione del dolore) collegati alla ricerca e la testimonianza della verità. La giusta distanza, dilemma etico e necessità artistica, condiziona ad ogni livello la natura ibrida di un film che è insieme fantasia, denuncia, allegoria, documento e spettacolo. Tutto insieme, problematicamente. Cinema per adulti.

da qui

 

Garland en pantalla vuelve a apelar a los diálogos sinceros, el humor negro, los personajes mundanos y su laconismo visual/ expresivo marca registrada para construir una contienda pesadillesca y genocida que por un lado invita al debate, de hecho jugando con el exploitation de alarma social porque le exhibe sin filtro alguno al público los posibles resultados truculentos a mediano plazo de sus “batallas culturales” más necias o pueriles, y por el otro lado funciona como una antiépica hollywoodense idiota y maniquea, señalando la insensibilidad popular, tanto escarnio rutinizado, la sandez de las fuerzas armadas y desde ya la antinomia entre periodismo de la verdad y medios masivos audiovisuales de la mentira, amén de homologar a los corresponsales de guerra al miedo, el suicidio, la adrenalina e incluso la irresponsabilidad ética flagrante para con sus prójimos…

da qui

 


Nessun commento:

Posta un commento