la guerra civile di Alex Garland non è la guerra di un paese lontano, diverso, è la guerra di casa, nostra, occidentale, riconoscibile.
i protagonisti del film non combattono, con la macchina fotografica osservano, mostrano, si buttano nella mischia, a rischio della vita, per uno scatto epico che li farà diventare immortali.
il mondo è diventato senza speranza, alcuni combattono contro altri, qualcuno sa perché, o forse non lo sa nessuno più, la guerra è igiene del mondo, poi, forse, si ricomincerà.
i fotografi documentano con le immagini, che non sono la verità, solo un istante in una storia lunga, col prima e il dopo, che molti non vedranno.
guardando il film non si capisce che guerra è, perché si fa, il film non è un documentario, l'obiettivo non è quello di spiegare, ma come i fotografi, quello di mostrare.
l'obiettivo è quello di inquietare lo spettatore, nessuno in sala può sentirsi tranquillo, tutto è riconoscibile, ma non interpretabile, non c'è una spiegazione logica, il presidente crepa come un Ceausescu, o Saddam, o Gheddafi qualsiasi.
non ci sono brutti, sporchi e cattivi, quelli brutti, sporchi e cattivi sono come noi, siamo noi, siamo in quel negozio, come quella ragazza, apparentemente indifferenti, con i cecchini sui tetti.
il caos, l'insicurezza, il disordine regnano sovrani, iniziare una guerra è molto più facile che finirla.
alla fine resta qualche immagine, niente più.
se pensi che questo sia il migliore dei mondi possibili, lascia perdere Civil War.
buona (disperata) visione - Ismaele
ps: scrive Medvedev:
...non posso sinceramente non augurare agli Stati Uniti di precipitare il più rapidamente possibile in una nuova guerra civile. Che, spero, sarà radicalmente diversa dalla guerra tra Nord e Sud del 19° secolo e sarà condotta utilizzando aerei, carri armati, artiglieria, MLRS, tutti i tipi di missili e altre armi. E che alla fine porterà al crollo inglorioso del vile e malvagio impero del 21° secolo: gli Stati Uniti d’America.
Chissà se ha visto il film di Alex Garland...
…Il film di Garland non è un film di guerra. Lo è solo
nella misura in cui offre un contesto drammatico per allestire la vicenda.
Perché non spiega niente,
con buona pace della critica americana timorosa di farsi illustrare la propria
politica da un inglese: cita le due fazioni in lotta (il Western Front contro
le forze governative), non fornisce le ideologie a confronto se non qualche
sporadico commento sul fascismo del Presidente (ma negli atteggiamenti ferini
anche la parte avversa non è da meno), non dà conto delle origini del
conflitto, al di là di qualche riferimento al secessionismo del Fronte
occidentale. Non lo spiega perché fondamentalmente non gliene frega niente
delle ragioni di nessuno. Il problema non è lì. Il problema riguarda soltanto chi documenta lo
stato di guerra. La deontologia dei fotoreporter a caccia del conflitto come se
fosse una dose di eccitanti per tenersi costantemente su. E la
loro eventuale sensibilità. Mettendoli al seguito dei commando e al centro
delle battaglie cruente, difesi solo da una giacca d’emergenza, un giubbotto
antiproiettile, un caschetto e una dose di buona sorte, Garland li fa diventare
un altro battaglione, meno violento ma talvolta altrettanto spietato, fondando
la metonimia sulla sovrapposizione
semantica della parola «shot»: sparo, sì, ma anche foto, istantanea…
…L'assenza di spiegazioni impedisce del resto di disinnescare questo
incubo con la logica e anche quel poco che ci viene detto basta del resto a
scombinare i nostri preconcetti. La California liberal e il Texas conservatore
sono qui alleati, contro un Presidente "fascista" che ha mantenuto il
potere per un terzo mandato, ha sciolto l'FBI e ha approvato bombardamenti con
droni sul suolo americano. L'odio verso di lui unisce così Stati anche
tradizionalmente avversi, in un caotico precipitare degli eventi che evita di
essere una banale e strumentalizzabile rappresentazione delle divisioni
dell'America oggi.
Spesso è persino impossibile dire chi stia da una parte e chi dall'altra e i
protagonisti del resto non lo chiedono quasi mai e quando lo fanno non ricevono
risposte, oppure vengono coperte dalla musica, come quando Joel chiacchiera e
ride con i sopravvissuti a una sparatoria, mentre Jessie fotografa
un'esecuzione. Il loro obiettivo è fare l'ultimo scoop o lo scatto definitivo,
quello che rimarrà nella memoria collettiva, il loro operare è un misto di
necessario cinismo e folle coraggio, di cui Garland non nasconde i paradossi.
Anzi gli inserti fotografici sono la principale marca stilistica del film, dove
il flusso frenetico dell'azione è spesso spezzato da immagini statiche, a volte
in bianco e nero, di uno o due secondi di durata e senza audio che non sia il
suono di uno scatto di macchina fotografica. I suoi giornalisti, con la loro
facciata di neutralità - che si infrange però a volte in grida mute e disperate
- sono l'unica risposta possibile alla fine della democrazia, sono i testimoni
che ci ammoniscono riguardo il baratro a cui ci avviciniamo. È attraverso di
loro che Garland firma un'opera dal taglio documentaristico, specchio di un
mondo distorto ma in cui è fin troppo facile riconoscere il presente.
… Kirsten
Dunst è serafica, controllata. Parla poco,
piuttosto pensa e agisce (scatta), non si lascia sopraffare dalle emozioni
perché crede sia l’unico modo sensato di gestire la realtà. Cailee Spaeny fa
tutto il contrario. Questo all’inizio del film, poi le cose cambiano e le
attitudini progressivamente convergono, per ribaltarsi del tutto. Tornando, a
ruoli invertiti, al punto di partenza. Non è una resa alla vita, l’incapacità
di Civil War e
di Alex Garland di
domandare senza rispondere. È la forza di questo straordinario e solo
apparentemente divisivo film, esplorare i dilemmi etici e morali (la tensione
civile e la spettacolarizzazione del dolore) collegati alla ricerca e la
testimonianza della verità. La giusta distanza, dilemma etico e necessità
artistica, condiziona ad ogni livello la natura ibrida di un film che è insieme
fantasia, denuncia, allegoria, documento e spettacolo. Tutto insieme,
problematicamente. Cinema per adulti.
…Garland en pantalla
vuelve a apelar a los diálogos sinceros, el humor negro, los personajes
mundanos y su laconismo visual/ expresivo marca registrada para construir una
contienda pesadillesca y genocida que por un lado invita al debate, de hecho
jugando con el exploitation de alarma social porque le exhibe sin filtro alguno
al público los posibles resultados truculentos a mediano plazo de sus “batallas
culturales” más necias o pueriles, y por el otro lado funciona como una
antiépica hollywoodense idiota y maniquea, señalando la insensibilidad popular,
tanto escarnio rutinizado, la sandez de las fuerzas armadas y desde ya la
antinomia entre periodismo de la verdad y medios masivos audiovisuales de la
mentira, amén de homologar a los corresponsales de guerra al miedo, el
suicidio, la adrenalina e incluso la irresponsabilidad ética flagrante para con
sus prójimos…
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