venerdì 12 aprile 2024

Pacifiction – Albert Serra

un film sorprendente, con un Benoît Magimel superlativo.

lui è un rappresentante delle Francia in un isola polinesiana dove fare scoppiare le bombe atomiche francesi.

un'atmosfera alla Graham Greene, piena di spie e rivoluzioni impossibili, in un posto piccolo, un andolo di paradiso, a volte inferno, dove tutti conoscono tutti, fra la discoteca, il ciondolare stanco, l'alcool a fiumi, il triste tramonto di un impero viene filmato con grande maestria da un bravissimo Albert Serra.

l'Alto Commissario De Roller (Benoît Magimel) sembra controllare tutto, ma non tutto è come sembra.

guardatelo e godetene tutti, nessuno sarà deluso.

buona (polinesiana) visione - Ismaele


 

QUI il film completo, su Raiplay

 

  

Con un paesaggio imponente ed esotico sullo sfondo, le azioni in Pacifiction – Un mondo sommerso sono risolte fuori campo, le immagini sono ambigue, i colori palpabili, i suoni suggestivi e i dialoghi si affermano più che altro come monologhi piuttosto eccentrici e carichi di ironia. Forma e contenuto sembrano scorrere come forze neutralizzanti, creando un’atmosfera enigmatica e paranoica in cui il naturale e l’artificiale si fondono. Il terreno in cui queste due dimensioni si incontrano è sempre stato un luogo che il regista ha considerato inesplorato, attraverso il quale creare immagini inedite da proporre al suo pubblico.

Concentrandosi nella visione di Pacifiction – Un mondo sommerso sembra inevitabile non ipotizzare alcuni collegamenti con eventi reali: in una società sempre più precaria e competitiva, sull’orlo della catastrofe climatica, dove le ferite della pandemia e della minaccia nucleare si stanno ancora rimarginando, il disturbo paranoico sembra essere diventato collettivo: in questo senso, Albert Serra potrebbe non avere torto quando dichiara di fare film del futuro.

Quello che lo spettatore troverà in Pacifiction – Un mondo sommerso è un thriller dai molteplici toni e storyine, che presenta una marcata radice nichilista e apocalittica. Fin dall’inizio, viene posto un mistero che serve da pretesto a Serra per affrontare in maniera satirica temi come le minacce nucleari, le cospirazioni politiche, il colonialismo, le relazioni diplomatiche, la corruzione del sistema e quanto i cittadini o i loro spazi siano dispensabili per lui. Tuttavia, questi temi si trovano nella profondità di un’esperienza onirica, quasi surreale, che richiede la piena attenzione e l’immersione del pubblico per poterne cogliere appieno il messaggio…

Farsi cullare dal piacere contemplativo di quest’opera non sarebbe possibile senza l’impressionante fotografia e il lavoro sul sound design: elementi tecnici che creano una fusione perfetta, ritraendo la Polinesia francese in tutto il suo splendore. La bellezza che risulta da questa alchimia riflette un’eccellente padronanza del linguaggio cinematografico da parte di Serra, efficace nel suscitare emozioni e nel trasportare lo spettatore nell’epicentro del caos. Questa passeggiata di quasi tre ore attraverso i paesaggi insulari della Polinesia francese risulterà innegabilmente affascinante agli occhi degli appassionati del cinema di Albert Serra e, molto probabilmente, soporifera e anche sconcertante per la maggior parte degli spettatori. Un’esperienza che mette molto in gioco intellettualmente, ma che potrebbe rendere davvero arduo l’aggrapparvisi emotivamente.

da qui

 

il protagonista, questo incredibile Benoît Magimel in libera decadenza fisica, col suo abito bianco, assomiglia a una specie di Fitzcarraldo stanco. Il residuo raffinato di un colonialismo decadente, fuori tempo massimo. La cui conversazione, arte intimamente politica, è diventata una digressione infinita, un flusso di pensieri, appunti, notazioni, umori. Una specie di monologo, visto che gli altri, molto spesso, non sembrano neanche capire davvero. E a poco a poco, si va quasi alla deriva. Che sia questo il Paradiso? Come in un esercizio estremo di liberazione cinematografica, avvertiamo la possibilità di perdere tempo, di staccarci dagli obblighi di una visione istituzionale, di uscire e entrare dal film, dalla sala. Anzi, nella accurata composizione delle sue immagini concluse, verrebbe quasi voglia di consumare il film a frammenti, magari su una spiaggia, distesi su una sdraio, con un cocktail in mano. Per capitare distrattamente tra le scene, sedersi ogni tanto ad ascoltare le farneticazioni di Magimel, all’ombra di una palma. Anche se, poi, ti rendi conto di tutti quei segni inquieti, di un sottofondo di mistero e complotto, che si nasconde sotto la superficie del mare, per emergere sul finale, in tutta la sua forma definita e minacciosa. Il tempo torna urgente e la storia si prepara a distruggere il paradiso. L’apocalisse definitiva della bellezza.

da qui

 

Vasti paradisi che l'Alto Commissario De Roller (Benoît Magimel) attraversa pigramente in uniforme diplomatica – completo di lino, camicia tropicale e lenti polarizzate. La missione è segreta. Qualcuno dice che ogni notte, l'avvinazzato ed enigmatico Ammiraglio faccia riemergere il sottomarino per caricare plotoni di prostitute. Qualcun altro dice che i test nucleari, tenuti dalla Francia negli atolli polinesiani tra il 1966 e il 1996, riprenderanno. Un portoghese perde il passaporto. Un americano cospira. Un prete si oppone alla costruzione del casinò. Shannah, una māhū (terzo sesso, sia uomo che donna), diventa la sua assistente e poi la sua amante. "Dans mon métier, il ne se passe pas grand chose" sostiene De Roller. Può essere.

In effetti, gran parte del film consiste semplicemente nel seguire De Roller nelle sue commissioni quotidiane, alcune impegnative, come prevenire disordini, altre meno, come dare il suo tocco personale a una coreografia. Girato in 2.39: 1 con tre camere digitali in contemporanea, per un accumulo di 180 ore di materiale, quasi tutte durante alba o tramonto, "Pacifiction" è il risultato di una lenta, premurosa distillazione in cui Magimel, come il verme del mezcal, continua a fluttuare e contorcersi. Mentre ci beviamo il succo viscoso e vagamente intossicante della storia, non possiamo distogliere l'attenzione da lui. Massiccio e fatuo, troneggiante e leggero, conferma il suo stato di grazia in questa stagione del cinema francese dando vita non tanto a un'interpretazione ma piuttosto a una personificazione di ciò che si impone senza agire: la politica…

da qui

 


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