come in Omicidio allo specchio, rispondere a un annuncio non è troppo sicuro, ma non lo sai prima.
il film di Kevin Smith ondeggia fra il divertente e l'horror, senza essere nessuno dei due, o forse entrambi.
in più c'è un Johnny Depp imbarazzante, impersona un personaggio abbastanza idiota e incredibile, e ci riesce bene.
alla fine avrete visto un film amaro e tristissimo, se avevate voglia di ridere dimenticatevene.
tutto il film è sopra le righe, ma Kevin Smith è Kevin Smith, prendere o lasciare.
buona (tricheca) visione - Ismaele
…Tusk
non è un film che finisce con il parlarsi addosso, è una commedia horror
perfetta, ricca nella messa in scena e significante anche nelle scelte più
squisitamente visive: l’uomo tricheco è un dichiarato omaggio ai b-movie degli
anni 60 ma strizza anche l’occhio al recente successo dello Human Centipede,
riesce a far paura ed anche ad inorridire di compassione pur non perdendo mai
la cifra della leggerezza. Smith ha l’obiettivo di fare film in cui sia
evidente il suo marchio (“voglio che la gente capisca dai primi fotogrammi che
questo è un film di Kevin Smith, così come capisce dai primi fotogrammi
se un film è di Tarantino) a prescindere e lontano dalle originarie
commedie generazionali, perciò lambisce le terre dell’horror già approcciate
più cupamente con Red State. La trasformazione del povero Wallace deriva da
H.G.Wells (L’Isola del dottor Moreau) e ovviamente dal caro vecchio Gregor
Samsa. L’epilogo però è più dolce, anzi è dolciastro rancido come i
pesci che Wallace “Walrus” (tricheco in inglese) ingurgita. Tusk è tratto,
non da una storia vera ma da un ascolto vero, il vero podcast all’origine
è udibile sui titoli di coda, perchè fino in fondo è tutto un gioco, un gioco
di parole.
…il protagonista viene tratto con l’inganno nella
trappola ordita dal pazzoide di turno, e anche in questa occasione il centro
del discorso vira ben presto dalle farneticazioni dell’anziano Howe a una
riflessione sull’identità, sulla barbarie e sull’umano nel senso più ampio del
termine. Non che si debba scambiare Smith come un moralizzatore dei nostri
tempi o un filosofo prestato alla causa del cinema popolare, sia chiaro: Tusk rimane in tutto e per tutto un divertissement,
un b-movie d’altri tempi, che non disdegna citazioni colte – Hemingway,
Coleridge, Tennyson e via discorrendo – ma le frulla in un melting-pot privo di
scavo, cogliendo con una certa dose di sardonica ironia la vacuità del
contemporaneo.
Ne viene fuori un horror d’interni (il cinema di
Smith si è sempre trovato poco a suo agio al di fuori del perimetro degli
edifici, e non solo per mera questione di budget) che flirta con l’ironia senza
cedervi mai completamente, ma che non nega in nessun modo la sua essenza
primigenia, quella di puro intrattenimento. Si vuol forse fare una colpa di
questo a Smith? A fronte di una pletora di cineasti che ritengono essenziale
anche il più addormentato dei propri sguardi, viene naturale difendere la
natura forse grossolana ma sincera del cinema di Smith, che non ha mai amato
prendersi particolarmente sul serio e lo conferma a ogni singola inquadratura…
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