venerdì 15 luglio 2022

Tusk - Kevin Smith

come in Omicidio allo specchiorispondere a un annuncio non è troppo sicuro, ma non lo sai prima.

il film di Kevin Smith ondeggia fra il divertente e l'horror, senza essere nessuno dei due, o forse entrambi.

in più c'è un Johnny Depp imbarazzante, impersona un personaggio abbastanza idiota e incredibile, e ci riesce bene.

alla fine avrete visto un film amaro e tristissimo, se avevate voglia di ridere dimenticatevene.

tutto il film è sopra le righe, ma Kevin Smith è Kevin Smith, prendere o lasciare.

buona (tricheca) visione - Ismaele


 

 

…Tusk non è un film che finisce con il parlarsi addosso, è una commedia horror perfetta, ricca nella messa in scena e significante anche nelle scelte più squisitamente visive: l’uomo tricheco è un dichiarato omaggio ai b-movie degli anni 60 ma strizza anche l’occhio al recente successo dello Human Centipede, riesce a far paura ed anche ad inorridire di compassione pur non perdendo mai la cifra della leggerezza. Smith ha l’obiettivo di fare film in cui sia evidente il suo marchio (“voglio che la gente capisca dai primi fotogrammi che questo è un film di Kevin Smith, così come capisce dai primi fotogrammi se un film è di Tarantino) a prescindere e lontano dalle originarie commedie generazionali, perciò lambisce le terre dell’horror già approcciate più cupamente con Red State. La trasformazione del povero Wallace deriva da H.G.Wells (L’Isola del dottor Moreau) e ovviamente dal caro vecchio Gregor Samsa. L’epilogo però è più dolce, anzi è dolciastro rancido come i pesci che Wallace “Walrus” (tricheco in inglese) ingurgita. Tusk è tratto, non da una storia vera ma da un ascolto vero, il vero podcast all’origine è udibile sui titoli di coda, perchè fino in fondo è tutto un gioco, un gioco di parole.

da qui

 

il protagonista viene tratto con l’inganno nella trappola ordita dal pazzoide di turno, e anche in questa occasione il centro del discorso vira ben presto dalle farneticazioni dell’anziano Howe a una riflessione sull’identità, sulla barbarie e sull’umano nel senso più ampio del termine. Non che si debba scambiare Smith come un moralizzatore dei nostri tempi o un filosofo prestato alla causa del cinema popolare, sia chiaro: Tusk rimane in tutto e per tutto un divertissement, un b-movie d’altri tempi, che non disdegna citazioni colte – Hemingway, Coleridge, Tennyson e via discorrendo – ma le frulla in un melting-pot privo di scavo, cogliendo con una certa dose di sardonica ironia la vacuità del contemporaneo.
Ne viene fuori un horror d’interni (il cinema di Smith si è sempre trovato poco a suo agio al di fuori del perimetro degli edifici, e non solo per mera questione di budget) che flirta con l’ironia senza cedervi mai completamente, ma che non nega in nessun modo la sua essenza primigenia, quella di puro intrattenimento. Si vuol forse fare una colpa di questo a Smith? A fronte di una pletora di cineasti che ritengono essenziale anche il più addormentato dei propri sguardi, viene naturale difendere la natura forse grossolana ma sincera del cinema di Smith, che non ha mai amato prendersi particolarmente sul serio e lo conferma a ogni singola inquadratura…

da qui

 

 


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