una storia di giovani, di occhi, di bambini.
è una storia semplice e complicata insieme, di razionalità e istinto, d'amore e di ricerca, di speranza e di caso.
è un piccolo grande film, con attori bravissimi, come il regista.
e poi, fra le attrici, c'è Meenah Khan, fra i protagonisti di quel capolavoro indimenticabile che è East is east.
buona (misteriosa) visione - Ismaele
….E’ una background
story che non ha bisogno di un seguito, che forse non dovrebbe
nemmeno averlo, visto come risolve o tenta di risolvere in modo autosufficiente
quanto sviluppato durante il suo corso. Che è, come dovrebbe essere una
narrazione delle origini, programmatica, univoca: Ian (Michael Pitt) è un
biologo molecolare che tenta di ricostruire l’evoluzione dell’occhio,
coadiuvato dai suoi amici-colleghi-tirocinanti Kenny (Steven Yeun) e Karen
(Brit Marling); ad una festa conosce una ragazza mascherata che però scappa via
senza lasciargli nessun contatto, nome, viso; Ian ne rimane favolosamente
atterrito, e un giorno, seguendo una strana serie di coincidenze, risale
all’identità di lei, Sofi; i mesi passano, l’amore cresce, la ricerca continua,
fino a quando succede qualcosa di terribile alla copia ed inizia un nuovo tipo
di viaggio, tra fede e fatti, tra dogmi e prove… Cahill per I era partito da un
sogno e una frase – “The eyes of the dead return to newborns”
–, e da questi è arrivato a creare un percorso di conoscenza per un qualcosa
che sentiamo, capiamo, stare oltre lo scontro che avviene per tutto il film tra
scienza e religione – e che, meta-cinematograficamente, capiamo stare oltre lo
stesso film, in un altro film ancora da farsi. Ian da una parte e Sofi dall’altra sono funzioni
di una complessità maggiore, sono portatori di sfere diverse di umanità che si
confrontano sull’orlo del momento più importante della storia della vita
intelligente su questo pianeta. Che non si risolve ma si protrae su piano
diverso, più alto o più a lato che sia, anche a costo di forzare la mano ad Ian
o a Sofia, tanto il primo sembra lottare non per l’Evoluzione ma contro il
Disegno Intelligente e tanto la seconda sembra destinata ad
essere trovata da Ian e a divenire quello che poi, forse, diverrà. Tutto si
compone e si sfalda dopo i titoli di coda, quasi già un paratesto, quasi già un
altro film, in una sequenza che è già narrazione, storia, franchise.
I Origins
riprende uno dei dibattiti antichi quanto l’universo stesso, riadattandolo in
chiave moderna a una storia così vera, che suona assurda. Se, infatti, da un
lato la scienza risulta impersonata dalla figura del ricercatore Ian Gray, la
cui unica missione, attraverso lo studio degli occhi umani, è quella di
screditare tutto ciò che risulta irrazionale; dall’altro lato incontriamo la
sua amata nemesi Sofi, dotata di una fede (non necessariamente religiosa) cieca
e totale, che la spinge a confidare nell’esistenza di un mondo spirituale che
si manifesta nelle più piccole coincidenze. Imprigionati ognuno nel proprio
credo, questi due poli opposti riescono a trovare un punto di contatto, senza,
però, abbandonare un conflitto sottile e costante, che porterà il protagonista
a “guardare negli occhi” e affrontare le sue stesse
credenze.
Tuttavia, se
lo spettatore si aspetta di ricevere una risposta univoca, certamente non la
otterrà nel lungometraggio del regista emergente Mike Cahill. Le sue chiare e
visivamente soddisfacenti inquadrature, unite a una sceneggiatura piuttosto
scarna, permettono al film di disseminare elementi appartenenti a entrambe le
parti di un binomio insolvibile, lasciando posto solamente a un dubbio
esistenziale incolmabile. La vera potenza di questo film, infatti, è quella di
riuscire a rimescolare le carte in gioco ancora, ancora e ancora, fino a
condurre a un turbamento delirante che vede il più ferrato degli scienziati
quasi sperare per una prova della presenza di una realtà trascendentale.
In una
Hollywood concentrata a rilasciare il prossimo blockbuster, imbastito di
effetti speciali e CGI, I Origins rappresenta il tentativo di un ritorno alla
semplicità, permettendoci di (ri)scoprire noi stessi da capo, indipendentemente
dalla fase della vita che attraversiamo. Mike Cahill non si limita a fare degli
occhi il filo conduttore dell’intera pellicola ma struttura anche l’intero
montaggio come uno sguardo sul mondo, una lente d’ingrandimento, capace di
mettere in rilievo ogni volta un dettaglio differente, a seconda di dove
decidiamo di guardare.
…Protagonista di I Origins nei panni di Ian Gray, ricercatore
professionalmente scettico e appassionato, è l'attore Michael Pitt. Impegnato
nei suoi studi sull'evoluzione dell'occhio e sulla sua complessa struttura, Ian
si augura che le sue scoperte aiutino il dibattito in corso tra scienza e
spiritualità, da sempre in disaccordo sui risultati che la prima ottiene
lavorando sul campo. I suoi studi sono però complicati dalla conoscenza con la
bella Sofi, una ragazza con cui vive una breve ma intensa passione. Impersonata
dall'attrice spagnola Astrid Bergès-Frisbey, Sofi rappresenta l'ignoto, ovvero
tutte quelle cose che Ian non riesce a spiegarsi e che finiscono con l'essere
per lui sia bellissime sia molto frustranti. Così come l'attrice che la
interpreta, anche il personaggio di Sofi ha un'insolita caratteristica
genetica: l'eterocromia, una rara mutazione genetica che crea
in chi ne è colpito iridi di due o più colori differenti. Nel caso specifico,
Sofi e la Bergès-Frisbey hanno la parte superiore dell'iride marrone e quella
inferiore di un grigio-blu tendente al verdastro.
L'altra presenza fondamentale nella vita di Ian
è Karen, la collega di laboratorio e poi moglie portata sullo schermo da Brit
Marling. Sofi e Karen sono come due facce opposte della stessa medaglia: mentre
Sofi crede in cose che per Ian sono molto new age, Karen segue
con convinzione le sue credenze scientifiche e ama essere all'avanguardia sulle
scoperte e sulla conoscenza umana. Miglior amico di Ian è invece Kenny, un
brillante programmatore che lavora per una compagnia di raccolta dati sui
profili biometrici dell'iride e che ha il volto dell'attore Steven Yeun,
chiamato con il suo personaggio ad apportare un tocco umoristico alla storia.
La terza parte di I Origins ha luogo a Delhi, in India (non è un
caso: il Paese è stato uno dei primi al mondo a sviluppare un avanzatissimo
programma di scansione dell'iride su ogni cittadino), dove Ian trova l'aiuto di
Priya Varma, una donna indiana che gestisce una comunità assistenziale alla
periferia della città e che è interpretata dall'attrice Archie Panjabi. Grazie
al suo supporto, Ian spera di trovare la soluzione che cerca in Salomina, una
ragazzina impersonata dalla giovanissima Kashish, scelta in un orfanotrofio di
Delhi e senza alcuna esperienza di recitazione alle spalle.
…straordinari momenti di forti e sinceri sentimenti umani. I rapporti
tra i personaggi e i loro conflitti interiori sono davvero commoventi, così
come alcuni episodi che tradiscono le origini indie del regista. E l’aspetto
forse più interessante di tutto il film è la sempiterna lotta tra scienza e
religione che qui trova un modo abbastanza originale di essere affrontato,
nonché un paio di efficaci frasi ad effetto che cominciano tutte, appunto, con
“E se…?”.
E allora meglio fare come me e abbandonarsi al piacere della visione
e dell’ascolto, senza troppe speculazioni e confronti con altre opere per
andare a puntare il dito sulle corrosive dinamiche produttive di Hollywood. Il
film potrebbe sul serio essere un piccolo gioiellino, che forte del nome del
bravo Michael Pitt potrebbe anche guadagnarsi una piccola fetta del mercato
distributivo nostrano e favorire la riscoperta anche del precedente film del
regista, trascurato non poco e che per ora rimane un prodotto di nicchia.
…Ian -interpretado por el siempre camaleónico Michael
Pitt-, es un científico molecular obsesionado por el ojo humano y por su
origen, para poder negar la existencia de Dios, ya que como dijo Séneca, «Los ojos son el espejo del alma«, y él
desea romper de una vez con ese elemento que ha sido centro de muchas teorías
religiosas para defender una existencia divina.
Ian lleva toda una carrera científica
trabajando por y para el iris humano, tomando fotografías de todas las miradas
que ve, hasta que un día queda fascinado por la de una mujer, Sofi -a la que da
vida la francoespañola Astrid Bergés- Frisbey-, de la que no conoce nada más
que sus ojos ya que se conocen en una fiesta de Halloween y
ella lleva una máscara. Desde entonces se adentra en su búsqueda sin saber otra
cosa de ella más que el iris ocular que le había fotografiado durante la
noche. Resulta muy similar a la historia de Sharbat Gula,
(a la que hacen un guiño a mitad de metraje), que fue fotografiada en el año
1985 por National Geographic, y
años más tarde fue encontrada gracias a sus espectaculares ojos verdes.
Su director Mike Cahill (que ya ganó hace tres
años el Méliès de Oro a la mejor
película fantástica por «Another Earth«),
asegura que la idea le surgió desde hacía muchos años, cuando se enteró de que
el iris ocular es como la huella dactilar de cada persona, única en el mundo e
imposible de suplantar.
La actriz estadounidense Brit Marling, se
encarga de completar el triángulo amoroso de este thriller de ficción,
convirtiéndose ya en una habitual de las producciones de Cahill, ya que
coescribió junto con él «Another Earth«.
La historia siendo aparentemente sencilla,
esconde un sinfín de complejidades y reflexiones metafísicas sobre cuestiones
tan controvertidas y enigmáticas como la reencarnación, una de las más grandes
creencias sin demostrar.
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