una storia già raccontata, si dirà.
ma che importa, l'importante è che non ti alzi dalla poltrona fino alla fine, preso dal racconto e dalla tensione senza pause.
un altro bel film coreano che merita molto.
buona visione - Ismaele
…es una película muy visual, muy atractiva y muy sentida,
trabajada desde la más profunda de las superaciones de una persona incapacitada
para ver. Sin duda alguna una historia muy currada, que sabe llegar a las
personas y que en todo momento está bien dirigida. Entrañable como ella sola,
intensa cuando debe serlo y con un ritmo fantástico. Recomendada sin dudas, uno
de esos buenos thrillers surcoreanos a los que estamos acostumbrados.
…La
cecità, handicap
cinematografico per eccellenza che pone lo spettatore a un grado
di conoscenza maggiore rispetto al personaggio, rendendolo ancora più partecipe
della sua angoscia perché testimone inerte dell'azione in corso (Gli
occhi della notte, Wait Until Dark, Terence
Young, 1967), si fa qui leit-motiv narrativo con alcune
varianti. Non solo la reale menomazione della protagonista, ma anche quella
metaforica della polizia, che brancola nel buio in cerca di una pista
da seguire. E non è allora casuale che l'assassino – spietato vilain la
cui cieca violenza lo avvicina ai corrispettivi statunitensi Max Cady (Cape
Fear – Il promontorio della paura,
Jack Lee Thompson, 1962 e Martin Scorsese, 1991) o Frank Booth (Velluto
blu, Blue Velvet, David Lynch,
1986) – accerti la morte delle sue vittime sbarrando loro gli occhi.
Paradossalmente opposto all'atto proprio del
cinema, il non vedere diventa qui fulcro centrale di una ricerca di
verità altrimenti irraggiungibile, in un gioco di sensi dal risultato
tutt'altro che scontato.
…Il tema della donna cieca messa di fronte a una minaccia che
non può vedere è stato utilizzato miriadi di volte al cinema, dal passato
di Gli occhi della notte/Wait Until
Dark (Terence Young, 1967) e Terrore cieco/Blind
Terror (Richard Fleischer, 1971) ai più recenti Gli
occhi del delitto/Jennifer Eight (Bruce
Robinson, 1992) e Occhi nelle tenebre/Blink (Michael
Apted, 1994), fino a The Village (M. Night
Shyamalan, 2004), in una accentuazione di quella fragilità della "donna in
pericolo" che evidentemente intriga un certo sguardo maschile, prestandosi
al contempo a variazioni teoriche sulla valenza dello sguardo e di ciò che è
visto/viene mostrato. Ahn Sang-hoon non ha però pretese metacinematografiche,
quel che gli interessa è approntare un meccanismo della suspence in grado di
coinvolgere gli spettatori. Per buona parte del film il gioco di rivisitazione
funziona, grazie anche a una fotografia virata su colori scuri e spenti e al
coinvolgimento degli attori, dalla trattenuta Kim Ha-neul (specializzata in
commedie come My Tutor Friend o mélo
come Ditto o Almost Love)
all'imbronciato e riottoso Yoo Seung-ho (il bambino di The Way
Home, ormai cresciuto). Con il riordino degli indizi e
l'individuazione del colpevole Blind scivola
però nei cliché più deleteri del genere, con uno showdown finale protratto,
poco credibile e sopra le righe, in contrasto con quanto mostrato in
precedenza, per quanto girato con perizia e attenzione al montaggio, sempre
calibrato. Un buon film di genere che sembra aver paura di svicolare dalla
formula standardizzata su cui si basa il soggetto.
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