giovedì 7 ottobre 2021

Fino all'ultimo respiro (À bout de souffle) - Jean-Luc Godard

un delinquente ammazza un poliziotto e spera di cavarsela, in pochi giorni fugge e fugge e riesce a innamorarsi di una ragazza americana, ma il suo destino è segnato.

oppure, un delinquentello col cervello da ragazzino fa l'errore della sua vita, pensa di cavarsela, in attesa di un gruzzoletto per la fuga, braccato dalla polizia, si innamora di una ragazza e vuole portarla con sé.

lui sembra uscito da uno di quei film di gangster hollywoodiani, ma senza i complessi di colpa, l'ansia, la pistola sempre in mano, Michel (Belmondo), con la sigaretta sempre fra le labbra, si ispira a loro, ma in un modo più "leggero", sarà che si crede il più furbo del mondo, sarà che si innamora, alla fine ti accorgi che ti sta simpatico, lui è un bandito ragazzino.

e se non fosse stato per Godard che, da buon cittadino, lo segnala alla polizia, forse Michel (insieme a Patricia) sarebbe ancora in giro.

un film (sempreverde) da non perdere, in qualche cinema - Ismaele

 
 
 
 
Se nel memorabile controcampo fra la locandina di Bogart e il primo piano su Belmondo, le due dimensioni restano inesorabilmente separate, queste si uniscono magicamente nel finale, quando i due amanti si baciano intensamente, come i due giovani protagonisti della “Donna del Bandito” di Nick Ray, illuminati dalla luce di un film proiettato in un cinema. Da questo confronto, scaturisce anche una profonda riflessione sul concetto di morte (delle persone “reali”), contrapposto a quello di immortalità (dei miti, delle icone). Un altro contrasto presente nel film, forse il più significativo, è quello fra sofferenza ed apatia, ossia fra dolore e nichilismo, ispirato dalla bellissima frase da Faulkner, a mio avviso una possibile chiave per leggere l’opera: si apprende come il fatalista Michel prediliga il “nulla”, laddove la tormentata Patrizia preferisca “soffrire”. E questa divaricazione di fondo fra Michel e Patrizia conduce ad un articolato discorso su argomenti destinati a dominare il cinema degli anni 60 e 70: l’incomunicabilità fra uomo e donna, alimentata dalle reciproche differenze attitudinali ed intellettuali (Michel rinfaccia più volte a Patrizia la sua vigliaccheria, la sua indecisione, le sue mezze misure) e dalla faticosa ricerca di un senso alla loro relazione (i lunghi, immobili, piani-sequenza della parte centrale, anticipano tutto il cinema dell’Antonioni della Trilogia): in alcuni frangenti, si arriva addirittura a precorrere il femminismo. Non manca, infine, una dimensione filosofica, basata sul conflitto fra volontà e necessità (“Non so se sono infelice perché non sono libera o viceversa” si chiede Patrizia; “Il delatore denuncia, come l’assassino uccide” declama Michel). Infine, al di là dell’apparente amoralità e della forma eversiva, il film di Godard non cade mai nell’intellettualismo e propone personaggi romantici, che si sobbarcano una sofferta e dignitosa dimensione tragica.
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Il cinema di Godard è un cinema di flusso, un cinema di libertà. L’analogia che si crea tra la libertà delle tecniche cinematografiche e quella dei caratteri dei due protagonisti fa emergere un nuovo modello di opera cinematografica, rendendo Fino all’ultimo respiro il film per eccellenza del nuovo cinema, in cui esistenza e forma artistica raggiungono una fusione mai raggiunta prima.

Un film rivoluzionario, da vedere e rivedere; per i due attori protagonisti superbi nella loro recitazione a tratti improvvisata e a tratti esibita e per la continua trasgressione delle convenzioni cinematografiche classiche; Fino all’ultimo respiro è senza dubbio un’opera che cambiò la storia del cinema e diventò una vera e propria lezione di stile per tutto il cinema moderno successivo…

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Due anni prima del "Sorpasso" di Dino Risi, in una Parigi turbolenta e intellettuale Michel si ritrova braccato dalla polizia e braccante una giovane americana. Godard flirta col cinema d'oltreoceano, con un Belmondo che mutua esplicitamente le movenze di Bogart e corteggia "fino all'ultimo respiro" la bella Patrizia dall'accento yankee. Memorabile il lungo assedio nella camera d'albergo, il mondo chiuso fuori dalla finestra e una sceneggiatura che intreccia due spezzettatissimi monologhi, che si incontrano raramente eppure parlano della stessa cosa: dell'amore, cui "proprio in quest'epoca moderna bisogna credere".
Incalzante la colonna sonora, qualche difficoltà iniziale con l'approccio al montaggio, volutamente brutale e d'impatto.

.. vennero in sella due gendarmi, vennero in sella con le armi e chiesero al vecchio se li vicino fosse passato un assassino.

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Come scrivere una manifesto della Novelle vague:la sinergia tra Truffaut in sede di sceneggiatura e Godard alla regia in questo caso ha dato un frutto apprezzabile anche se non lo ritengo un capolavoro imprescindibile e magari mi attirerò pure qualche critica.La verità è che io normalmente detesto Godard,non amo la sua idea di cinema,lo trovo un autore pretestuosamente elitario,un intellettuale a tutto tondo che per puro caso magari(non conosco la storia della sua vita ,la mia è solo un illazione)si è trovato a fare del cinema la sua missione.Qui invece il suo elitarismo non mi disturba più di tanto anzi apprezzo l'indubbia novità del linguaggio cinematografico.La macchina a spalla,il montaggio frammentario,le scene girate in mezzo a strade affollatissime che fanno da contrappunto alle scene in interni in cui si parla ,si parla,si parla ...Un film che dura solo 85 minuti che può essere visto come pietra di paragone per tanto cinema successivo. E ha il merito di aver creato un divo. Secondo me quello che traspare è l'amore per certo cinema americano che all'epoca per i suoi connotati stilistici poteva apparire quasi sacrilego in Europa, la figura di Belmondo è ricalcata sugli eroi negativi americani, un po'Bogart e un po'Lancaster, sempre con gli occhiali da sole alla moda, cappello e con la sigaretta a lato della bocca, un ladruncolo che l'ha combinata grossa e che vive solo di espedienti. Anzi secondo me si cerca anche di superare quella figura dell'antieroe americano per dare luogo a qualcosa di nuovo…
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The movie had a sensational reception; it is safe to say the cinema was permanently changed. Young directors saw it and had abandoned their notions of the traditional studio film before they left the theater. Crowther of the Times, who was later to notoriously despise its descendant "Bonnie and Clyde," said of "Breathless" that "sordid is really a mild word for its pile-up of gross indecencies." The jump cuts to him were "pictorial cacophony."

Yet Crowther conceded, "It is no cliche," and the film's bold originality in style, characters and tone made a certain kind of genteel Hollywood movie quickly obsolete. Godard went on to become the most famous innovator of the 1960s, although he lost the way later, with increasingly mannered experiments. Here in one quick, sure move, knowing somehow just what he wanted and how to obtain it, he achieved a turning point in the cinema just as surely as Griffith did with "The Birth of a Nation" and Welles with "Citizen Kane."

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