un giovane, Sharad, vuole diventare un cantante di raga indiani e dedica tutto se stesso per riuscirci,
è discepolo di un maestro, si trattano come padre e figlio.
serve una grande disciplina, interiore e non solo, e un amore delle radici, senza compromessi con la modernità.
Sharad trova una maestra in una cantante che non ha mai cantato, ma le cui parole sono state registrate dal padre del giovane, e in bellissime immagini al rallentatore, quando è sulla moto, i messaggi incisi in quelle registrazioni lo posseggono, e lo fanno crescere.
forse non diventerà un grande musicista di raga, chissà, ma Sharad ha una sua coerenza e gioia in quello che fa.
cercatelo e guardatelo, bel film (non adatto a chi ama solo le americanate o le serie) - Ismaele
… The Disciple è la storia
di un giovane cantante idealista che studia per favorire la scoperta di sé, che
affronta le frustrazioni per i suoi limiti e le sue pecche artistiche. Ciò che
Tamhane offre è uno studio del personaggio, il racconto di un giovane che vuole
dedicarsi con costanza, studio, impegno, dedizione alla sua passione più
grande. The Disciple non è puramente un musical, ma gran
parte del suo minutaggio è dedicato a spettacoli o sessioni di canto in cui
tutto ciò che si sente è musica tradizionale indostana.
Questo può essere un motivo di grande
frustrazione per lo spettatore considerato che, essendo il racconto incentrato
in modo particolare su un certo tipo di musica classica indiana, non si limita
a mostrare e far ascoltare un tipo di musica molto particolare, è soprattutto
studio sulla voce, sul tono, sul suono, sulla ricerca di un equilibrio vocale,
e potrebbe rivelarsi pesante per chi non ha familiarità con questo tipo di
cultura musicale.
Lo
spazio è protagonista delle scene
In seconda analisi si può notare
come The Disciple sia girato in widescreen dal
direttore della fotografia Michal Sobociński: questo ci porta a decretare come
il concetto di spazialità in un film come The Disciple sia
fondamentale. Il nuovo lavoro di Chaitanya Tamhane è a tutti gli effetti
composto da tanti luoghi e spazi diversi: dalle piccole sale da concerto,
all’apertura notturna della città e ai vari quartieri che vanno da quelli della
classe media ai quartieri più spartani. Il senso del luogo è percepibile, è
parte della struttura drammatica.
Come lo spazio diventa protagonista delle
scene, anche i colori sono fondativi della tensione drammaturgica delle scene:
i colori cambiano a seconda dei luoghi e del momento della vita del
protagonista; all’inizio sono vividi, saturi, e diventano sempre più desaturati
e monocromatici man mano che procediamo verso la fine. Anche i costumi
diventano motivo e strumento per rappresentare un paesaggio che cambia, sia
internamente che esternamente. Questo ci porta a decretare come The Disciple possegga un certo quid dal punto di
vista estetico, pur rimanendo dal punto di vista narrativo e
retorico un’opera dimenticabile, le cui continue sessioni musicali a lungo
andare risultano ridonanti, onerose e incapaci di permanere piacevolmente nella
mente dello spettatore.
…The
Disciple è una storia di disciplina, di passione, ma anche un
esempio di tenacia e perseveranza. Sharad è determinato a
diventare un professionista e ci prova con tutto se stesso. Il film è diviso in
due parti: la prima sul “discepolo” giovane e servizievole, la seconda sul
“discepolo” adulto che insegna a sua volta in una scuola, ma è ancora alla
ricerca di una perfezione che forse non gli è mai appartenuta.
Tutta quella
fatica e della dedizione sono servite a qualcosa o lo hanno solo reso solo come
il suo maestro? Solo nel finale il personaggio si risveglia come da un
incantesimo e decide di voltare pagina per iniziare un nuovo capitolo della sua
vita, in cui c’è posto finalmente per una famiglia.
La regia è
abbastanza canonica, ma ogni tanto regala soluzioni interessanti, come le pause
slow motion in cui Sharad viaggia in moto mentre fuori campo ascolta gli
insegnamenti per affrontare la musica classica indiana nel modo giusto.
…Va a ser difícil que El discípulo (The Disciple) llegue a todo tipo de público. Tanto sus temas
principales como su guion técnico son poco
convencionales. Abundan planos generales, que se alargan demasiado en determinados
momentos, especialmente en las primeras escenas. Se evitan los cambios de plano
hasta el punto de que, con el formato de encuadre que se utiliza, el espectador
puede tener sensación de monotonía.
Además, el desarrollo de los acontecimientos puede ser un
poco lento para aquel que no disfrute demasiado de las melodías típicas de la
India. Pese a todo, la originalidad de esta película lleva a que, quien decida
sumergirse en ella, pueda reflexionar sobre cuestiones como el futuro de
culturas antiquísimas.
La tradición y la vanguardia, la esencia y la
artificialidad, el pasado y el presente, y en especial, el camino fácil y el
correcto se distinguen con sensibilidad en esta obra, que expone sutilmente una
crítica hacia la sustitución de antiguas costumbres por el sometimiento
cultural al que muchos países se han enfrentado durante siglos.
Sharad Nerulkar representa a ese sector de la sociedad
que no está dispuesto a ceder ante ninguna cultura dominante. El que mantiene
su admiración y respeto hacia el lugar de donde proviene, aunque eso suponga
ser un eterno incomprendido.
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