un film di Nanni Moretti diverso dai precedenti, non c'è niente da ridere, e neanche da sorridere.
a partire da un romanzo si racconta di alcuni nuclei familiari "malati" (direbbe Francesca, la bambina che viene lasciata spesso dai vicini), all'interno dei quali l'infelicità, i rimpianti, l'insoddisfazione regnano incontrastati.
è un film abbastanza pessimista, con poche vie d'uscita, da coltivare con attenzione e partecipazione.
i bambini sono la speranza, il problema è quello che possono diventare, non possono ripetere gli stessi sbagli e avere le stesse debolezze, sulle loro spalle c'è una grossa responsabilità, il futuro è in mano loro.
il film è stato spesso demolito dai critici, almeno in parte, in realtà è un riuscito sguardo (a volte autopsia) su un mondo (malato) che muore.
buona visione, la sala vi aspetta - Ismaele
Sì, Nanni, hai fatto bene a rischiare: ad
andartene da solo, verso il deserto, come l’eremita che sei sempre stato,
mormorando: «Fuggiamo da questa prigione… Udremo le novelle del mondo dalla
bocca di poveri vagabondi: e anche noi converseremo con loro, di chi perde e di
chi vince, di chi è dentro e di chi resta fuori, e ci dedicheremo al mistero
delle cose, come se fossimo le spie di Dio. E così, tra le mura di questa
prigione, cancelleremo dalla memoria ogni cosa» (William Shakespeare, «Re
Lear», V, II). Però non sei solo, Nanni, come sembra. Intorno a te ci sono
attori magnifici, che buttano a mare la reputazione e ti seguono nel deserto:
Margherita Buy che ha rinunciato alla sua recitazione tradizionale per divenire
uno strumento fra le tue mani; Alba Rorwacher che si piega come un giunco,
flessibile solo per te; e tutti gli altri, bravissimi – inutile nominarli uno
per uno – che ti seguono con l’inconscienza ardente con cui Frate Ginepro
seguiva san Francesco. E ti seguiamo noi, «della razza di chi rimane a terra»
come direbbe Montale. Noi fragili e smarriti per la desolazione che ci
circonda; noi che riusciamo ancora a conservare un filo di speranza, se
qualcuno ha il coraggio di dire che il re è nudo, anzi che siamo tutti nudi,
che tremiamo e non per il freddo, ma non ce n’eravamo accorti.
… Tre piani è un film
lucido, estremamente angosciante e, come già detto, piuttosto
destabilizzante. Duro con i suoi personaggi e duro anche con lo
spettatore. Nanni Moretti non lascia possibilità di entrare veramente in
contatto coi protagonisti, tutti prevalentemente freddi, per lo più
impenetrabili e ritratti quasi come automi. Una scelta ostica, perché toni così
asciutti e prove attoriali impostate su queste corde non
facilitano certo la partecipazione e il coinvolgimento di chi guarda.
…Per tanto tempo, mettere in scena per
Nanni Moretti è stato mettersi in scena. Pioniere negli anni Settanta
dell'autofiction cinematografica, dopo aver fatto un passo di lato e disegnato
un alter ego femminile, un'autrice in preda alle crisi e al dubbio durante le
riprese di un film politico, muore nei panni di un giudice intransigente e
rigido quanto Michele Apicella. Lo vediamo il tempo di un baleno (e di una
scena) tornare alla sorgente del suo cinema e poi sparire. Il fantasma esce di
scena. A restare è Margherita Buy, mai così bella e radiosa dentro un abito a
fiori che Nanni non avrebbe di sicuro approvato, perché "si è vestito
tutta la vita con gli stessi colori". Ma lei adesso è libera di essere, di
voltarsi verso gli altri. Chiude la comunicazione, archivia la segreteria
telefonica e parte sorridendo di quell'ultimo tango illegal. Alla
musica, ancora una volta, Moretti affida il compito di realizzare la comunione e
di rimettere al mondo. Di rimettersi al mondo 'cambiando indirizzo'.
… potremmo trovare di nuovo alcuni
dei topoi classici del suo cinema come altri elementi
psicanalitici, piuttosto cari al regista, il quale in questo film stabilisce
una evidente corrispondenza dei piani fisici e dei personaggi centrali delle
tre storie con la tripartizione freudiana di Es, Io e Super-io.
A conferma che anche in un film tanto criticato come quest’ultimo, continuano a
essere molti gli spunti a disposizione degli spettatori meno superficiali, che
non si fermeranno alla visione di figli manipolatori, uomini egoisti e donne in
grado tanto di mettere da parte il proprio bene in nome di altre priorità
quanto di riprendere in mano la propria vita e scegliere una nuova strada,
anche dolorosa. Un modo per superare le ossessioni che ci affossano
quotidianamente o di cedere loro definitivamente?
… Nell’imperfezione del suo sguardo
tripartito, sbilanciato di volta in volta sul primo o sull’ultimo dei
tre versanti proposti (la storia con protagonista Alba Rohrwacher – pur ottima
quanto a recitazione – finisce per avere un peso specifico minore e restare
irrisolta), Tre piani riesce comunque ad affascinare.
Il nuovo lavoro di Moretti, pomposamente esaltato dagli applausi di
Cannes e, in modo speculare, sbrigativamente liquidato da
una parte della critica, rappresenta probabilmente un’opera di
passaggio per il regista romano; un esperimento, il tentativo di
raccontare lo sguardo altrui (e di empatizzare con
esso) dopo aver privilegiato per una vita il proprio. Per un artista spesso
definito, non senza qualche ragione, un narcisista fuori
e dentro lo schermo, la novità resta notevole. Qui, il Moretti attore mette
inoltre da parte (definitivamente?) l’istrionismo dei suoi
personaggi, riservando a se stesso il ruolo di uno sgradevole giudice,
che del giudice ha la forma mentis, specie nei riguardi di suo figlio. Se
vogliamo, a livello metacinematografico, possiamo dire che Moretti giudica
anche se stesso portando sullo schermo un personaggio del genere, con un filo
di amarezza e una sentenza non proprio benevola. La
soluzione a tutti i problemi che vengono posti, banale quanto difficile da
contestare, sembra essere ancora una volta l’atto comunicativo,
quello che si pone al di là dei vuoti rituali sociali, qui spogliati di senso:
chi resta chiuso nel solipsismo, come la Monica interpretata dalla Rohrwacher,
rischia di deragliare o impazzire. Va bene anche comunicare con una semplice,
vecchia segreteria telefonica, che tiene in vita il ricordo della persona
(nonostante tutto) amata: l’atto stesso, per il personaggio, si rivela poi
propedeutico alla (ri)apertura di un altro canale comunicativo, ben più utile e
concreto. Lasciare la finta comfort zone di quei tre
piani e ristabilire, ognuno a modo proprio, un contatto significativo con
l’esterno: è, tutto sommato, quello che ha fatto il cinema di Nanni Moretti,
con un’operazione come questa. Coraggio e voglia
di osare, in fondo, non gli vanno disconosciuti.
… Tre piani è un brutto film dalla forma
davvero poco riuscita. Il dettaglio desolante è che non spiccherebbe nemmeno
come particolarmente brutto nel panorama di un certo cinema italiano.
Agghiacciante invece è constatare ciò che Nanni Moretti sembra volerci
suggerire sui rapporti personali e sulla contemporaneità, qualcosa che da lui
davvero non ci si aspettava mai di sentire. La maturità gioca brutti scherzi,
nella speranza che sia solo questo: uno scherzo non riuscitissimo, a cui
rimediare presto.
Nessun commento:
Posta un commento