Bradley, per mandare avanti la famiglia, diventa spacciatore e gli incarichi diventano più importanti e rischiosi.
Bradley non tradisce e per questo paga quello che deve, e anche di più.
e quando qualcuno minaccia la sua bambina, che deve ancora nascere, diventa tutto quello che serve per proteggerla.
certo, per essere una storia d'amore è molto violenta, ma così va il mondo, per Bradley.
buona visione - Ismaele
… La
fotografia è cupa, fredda e sporca, traducendo in colori le emozioni e la
natura di Bradley; mentre il sonoro potente ed ottimamente curato spicca
soprattutto durante le sequenze di lotta, dove lo spettatore riesce quasi a
"sentire" sulla propria carne i pesanti colpi inflitti sullo schermo.
Perché è proprio nella messinscena delle risse e della violenza che questo film
brilla, tutto sembra reale, fisico e lontano dalle rappresentazioni a cui si è
abituati dai film di arti marziali, che siano statunitensi od hongkonghesi.
Vince/Bradley è grosso, lento ma inarrestabile, e picchia "di brutto"
qualsiasi cosa gli si pari davanti, con uno sguardo perso nel vuoto che
nasconde una dirompente rabbia lucida.
Brawl
in Cell Block 99 è un film di genere, cosciente dei
propri limiti e del proprio pubblico. Preoccupandosi di divertire ed
intrattenere, l'autore evita di impantanarsi in moralismi o discorsi profondi,
che risulterebbero poco adatti alla natura del film, concentrandosi nella
trasposizione visiva di uno tsunami di violenza nichilista privo di possibilità
di una vera redenzione che, dopo i titoli di coda, lascia lo spettatore con più
lividi sul corpo che pensieri in testa.
… La discesa agli inferi del
suo protagonista, la rassegnazione con cui il martirio è accettato, ha
sfumature cristologiche nel loro essere passaggi di una convinta volontà di
sacrificarsi pur di ottenere la salvezza (degli altri). Bradley,
il personaggio interpretato magistralmente da Vince Vaughn, disposto a spezzare
la sua immagine da comedian mainstream per prendersi sulle robuste spalle la
lezione di Zahler, non è solo un’invincibile macchina da uccidere segnata da un
passato che non ci è dato scoprire (da dove arriva questa forza sovrumana? come
fanno i suoi colpi ad essere così mortalmente efficaci?). Bradley è,
soprattutto, un uomo che ama. Ogni braccio spezzato, ogni cranio sfondato,
infatti, sono continue testimonianze del grandissimo sentimento che lo guida,
gesti d’affetto mandati alle sue donne lontane. Immaginiamo che sia difficile
scorgere in un volto schiacciato a sangue, la tenera carezza di un uomo
preoccupato per la sua famiglia, eppure
non possiamo che vedere Brawl in the Cell 99 come
un’opera che straripa d’amore.
… Prodotto
atipico e originale nel panorama cinematografico americano attuale, Brawl in Cell Block 99 è un
film stanco di Hollywood, un ritorno ad un certo passato quasi dimenticato che
tuttavia non risulta essere un passo indietro ma anzi, sembra quasi volersi
proporre come un nuovo punto di partenza all’interno di un oceano di action movie fatti con lo
stampino. Sebbene questi ultimi difficilmente cesseranno mai di esistere, è
bello vedere che c’è comunque ancora qualcuno che crede in qualcosa di diverso.
… la colonna sonora è quasi
assente – specie nelle sequenze d’azione -, la fotografia gelida, e Zahler è
magistrale nel regalare continuamente dei totali stranianti che ricordano un
po’ Seidl, giocando sul contrasto e la sottrazione.
Questa sofisticazione non è fine a se stessa, riflette piuttosto
il personaggio di Bradley, che, come il film, accumula rabbia e frustrazione
per esplodere poi in un crescendo sempre più splatter. Il peso di tutta
l’operazione è sul protagonista, un inedito e perfetto Vince Vaughn,
inflessibile montagna di carne pronta a qualsiasi sacrificio pur di preservare
la sua prole, che spezza gambe e grattugia volti senza tanti complimenti. La
“rissa” del titolo in effetti è più una resa dei conti unilaterale, i pestaggi
e i combattimenti a suon di arti marziali sono molto ben coreografati, ma il titolo
di giustiziere non viene mai contestato a Bradley e lo spettatore può
giustamente godersi un po’ di crani spappolati e occhi che schizzano in un
B-movie che finalmente non brilla della luce riflessa dei suoi svariati numi
tutelari, ma riesce a fare un discorso personale e davvero contemporaneo.
… L’occhio umano ha la capacità di sintetizzare e catalogare le
immagini che percepisce, un qualcosa di elementare può – come direbbe il
filosofo Bataille – divenire osceno. Una cosa altra che conduce alla
repulsione. Seguendo sempre il filosofo francese, la repulsione per essere
oscena deve anche affascinare. Zahler fa esattamente questo: la repulsione
oscena della violenza finisce per affascinare. Non a caso nei momenti topici,
il pubblico durante la proiezione alla Mostra di Venezia non si è trattenuto ed
ha applaudito in quei gli attimi di oscena violenza. Bradley picchia come un
fabbro? Il pubblico ne gode. E non ne gode perché è pazzo, ma perché a questo
ti porta il gran bel film di Zahler. Violenza tra maschi contro maschi, tra
colpi assestati e respinti (notevoli, davvero, quei momenti così nudi e veri).
Una violenza per la violenza in una difficile rincorsa alla giustizia.
Ora, quindi, si potrebbe pensare che Brawl in Cell Block 99 è un film di
maschi sudati, muscolosi e puzzolenti. Un film maschile e razzista ove la donna
è un orpello, un suppellettile, un espediente buono solo a sfornare figlioletti
e a cucinare e senza esagerare con l’uso del coltello. Ma questa lettura
sarebbe troppo superficiale. Tutto ciò che Bradley fa ha per motore il femminile
ed il femminile (Jennifer
Carpenter), la donna non è un ornamento narrativo, non è una donna che fa l’uomo ma
è una donna che è una donna. Una donna che è donna anche quando fa “cose da
uomini” e non solo una woman in prison. La Carpenter in tal guisa avrebbe
lavorato bene con Russ Meyer. Brawl in Cell Block 99 più che un cinema
senza donne è perciò un film mosso dalla femminilità. Quindi la distruzione
meravigliosamente folle di Bradley oltre a non essere folle non è maschile nel
midollo ma femminile nelle motivazioni.
Brawl in Cell Block 99 è un intelligente
film d’exploitation che non deve far pensare al mondo di Tarantino (basta pensare
ciò, all’infilarci sempre in mezzo Tarantino manco avesse inventato il cinema)
o di Carpenter (nonostante la
Carpenter), ma è un film che andrebbe letto per quel che mostra, per quel che
sviluppa. Per come si delinea nel cammino con la fisicità di un Vince Vaughn
allenato da uno Steven
Seagal dei tempi migliori. Tante mazzate, insomma, mazzate vere che non
lasciano nulla all’immaginazione. Colpi bassi che però vivono anche di una
certa dose di ironia, di sarcasmo, di voglia di giocare al non sbattere le
ciglia senza resistere contemporaneamente alla tentazione di fare un
occhiolino.
…L’ultraviolenza del
finale è nient’altro più di quel che significa narrativamente – ossia la scelta
estrema di un uomo messo in una situazione estrema – senza alcun compiacimento
o gratuità, rispondendo unicamente a un fattore etico. Ovviamente un’etica
costretta a ripensarsi come segno fisico dell’eccesso: ma, per capirne le
ragioni, basterebbe ricordare l’eloquente scena iniziale quando Vaughn/Bradley
scopre il tradimento della moglie (Jennifer Carpenter) e, cosciente della
rabbia che lo sta per far esplodere, la fa rientrare in casa e sfoga tutto il
suo dolore distruggendo l’automobile di famiglia, scegliendo responsabilmente
di non toccare la donna nemmeno con un dito; sequenza che fra l’altro permette
allo spettatore di accettare la follia del medico coreano che più tardi, quando
la moglie di Bradley incinta verrà fatta prigioniera, si dirà capace (è Udo
Kier, grandissimo, a recapitare pazientemente il messaggio) di mutilare il feto
delle braccia mentre ancora è nell’utero lasciandolo in vita e dunque di farlo
nascere così, con due moncherini. L’architettura dell’immagine è a sua volta
secca, plumbea, grandangolare (qualcuno, non lontano dalla verità, ha parlato
di cura o istinto kubrickiani), attenta a non falsificare i fatti col
montaggio, pochissimi tagli e solo quelli necessari a ricordarci che un film (o
che il cinema americano che amiamo) non è fatto di cuts ma di piani (plans).
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