domenica 9 agosto 2020

Un bacio e una pistola (Kiss Me Deadly) - Robert Aldrich

Hammer si trova coinvolto in un caso dove tutti, e anche lui, rischiano la vita.

c'è in ballo una scatola misteriosa, che può uccidere, e chi la cerca è disposto a tutto.

il film è perfetto, un piccolo capolavoro che ti cattura, tutti fanno la loro parte al meglio, regista, attori, sceneggiatori, musica, fotografia, tutto insomma.

buona (imperdibile) visione - Ismaele

 

 

è con la fantascienza che Un bacio e una pistola dialoga più produttivamente. Quando, alla fine del film, il detective Hammer apre finalmente la misteriosa scatola, il film subisce un brusco cambio di registro. Lo spettatore resta sconcertato dall’irreale luce proveniente dalla valigetta. Improvvisamente, ogni esperienza cinematografica che avevamo del genere noir crolla letteralmente. Non ci troviamo più in quei «sentieri già battuti» di cui avevamo parlavamo, siamo davvero altrove.

Se, secondo Shadoian, i titoli di testa ci suggerivano di leggere le cose “al contrario”, partendo dalla fine, allora, alla luce di questo finale, ogni azione che precede la catastrofe diventa, come sosteneva il critico, «futile». L’ultima immagine del film, sulla quale si sovrappone la scritta The End – con Hammer e Velda che guardano le radiazioni nucleari distruggere la casa – appartiene ad un mondo che con il noir ha ben poco da spartire. Il terrore che leggiamo nei loro occhi sarà, piuttosto, lo stesso di film come L’invasione degli ultracorpi [Invasion of the Body Snatchers, 1956]. Ogni dramma individuale – il tipo di dramma peculiare nel mondo del noir – deflagra in un pericolo che non colpisce più il singolo individuo, ma l’umanità intera. Un bacio e una pistola estende e amplifica dunque il pessimismo tipico del noir in maniera, per l’appunto, apocalittica, sovvertendo in extremis qualunque schema tipico del genere (un modello che, invece, aveva grossomodo retto fino alla scoperta del contenuto della valigetta). Il film, quindi, risulta veramente rivoluzionario, non tanto (o non solo) per le soluzioni visive adottate, ma per un superamento del genere, non esclusivamente stilistico, ma anche morale.

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 Un saggio di bravura che, come detto, fu subito riconosciuto dal genio (critico) di Truffaut e di cui, ancora più, si ricorderà Godard quando, alcuni anni dopo, stupì tutti con il suo esordio ("À bout de souffle", 1959, ancora Le souffle, il respiro, à bout, in crisi, protagonista). Aldrich, infatti, ricordato normalmente per un suo presunto e invasivo "stile barocco", ha una poetica decisamente più complessa di cui le scene di massa, le messe in quadro sature e i vertiginosi movimenti della cinepresa in spazi improbabili sono solo l’aspetto più evidente, com’era la sua pancia rispetto all’intera complessione del suo corpo.
Figlio di banchieri, solo apparentemente non ha portato il suo DNA nell’arte del cinematografo: è stato invece un broker strarordinario, che ha investito nei siparietti, spesso giudicati con sufficienza, il denaro (il tempo) delle sue ellissi così sorprendenti che spesso fanno pensare ai jump-cut di Welles e di cui, ancora una volta, Godard farà tesoro prezioso...

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L’intero intreccio vive di dissolvenze allucinatorie e rimandi al sottile confine di percezione che divide il sonno dalla veglia (e inevitabilmente la Vita dalla Morte); perdite e riprese di senso, risvegli, sonniferi e sieri della verità, prove inconfutabili di come tutti gli avvenimenti rimangano sospesi, spiazzati dall’indecifrabile dubbio sulla loro verità. Su questo aspetto le parole di Velda, alzatasi nel cuore della notte per l’arrivo di Mike e con la m.d.p che insiste immobile sul letto disfatto, sono illuminanti: “They. A wonderful world. And who are they? They are the nameless ones who kill people for the great whatsit. Does it exist? Who’s care? Everyone everywhere is so involved in a fruitless search – for what?”
Cinema instabile, obliquo, con una composizione del quadro di scelte radicali che non seguono un’organicità dell’insieme, rafforzate da una profondità di campo che dissocia i personaggi dallo spazio, da prospettive brusche e angolazioni disarmoniche, ma soprattutto da un’originalità visiva che ancora oggi colpisce per ingegno ed efficacia.
E pensare che è stato girato in meno di tre settimane…

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El célebre quid detrás de la obra maestra El Beso Mortal (Kiss Me Deadly, 1955), aquel MacGuffin centrado en una enigmática y mortífera caja que brilla, que brilla mucho, ha inspirado una infinidad de propuestas de todos los géneros cinematográficos dentro de un rango de lo más amplio que va desde Los Cazadores del Arca Perdida (Raiders of the Lost Ark, 1981), de Steven Spielberg, y El Reclamador (Repo Man, 1984), de Alex Cox, hasta Tiempos Violentos (Pulp Fiction, 1994), de Quentin Tarantino, y Ronin (1998), de John Frankenheimer. Sin embargo la influencia de la película del inefable Robert Aldrich fue mucho más allá porque, como lo señalaron en su momento François Truffaut y Jean-Luc Godard, el film constituyó uno de los pivotes decisivos en lo que a la construcción formal de la Nouvelle Vague se refiere porque gran parte de los artífices de la vanguardia tomaron como horizonte y faro conceptual inconformista a este diminuto pero muy poderoso clásico del policial negro más áspero, agresivo, nihilista, violento y enmarcado en una suciedad que de pose afectada hollywoodense no tiene nada de nada porque aquí la sinceridad brutal de los rufianes es el único lenguaje que vale en las calles de Los Ángeles. Sumado a lo anterior, la película resultaría también fundamental en el desarrollo posterior de los thrillers de espionaje y hasta apocalípticos/ fantásticos porque logra combinar el film noir con el miedo al holocausto nuclear propio de la Guerra Fría pero de una forma tácita, disimulada, sin jamás tirarse de cabeza a la pileta de las conspiraciones y así prefiriendo apelar a una estructura argumental enrevesada repleta de pistas que llegan sin demasiadas aclaraciones, una progresión narrativa llena de elipsis, una vehemencia torturadora y egoísta que todo lo cubre para seguir avanzando, muchos cadáveres que se van acumulando y en especial una peligrosidad en aumento en consonancia con las preguntas del antihéroe reglamentario, el tremendo Michael “Mike” Hammer creado por el novelista Mickey Spillane allá en 1947.

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Though not accepted at first upon its release by the public or American reviewers (only the French reviewers immediately recognized its greatness), it has since been acclaimed as one of the great film noirs. It has so many memorable moments from the Caruso recording that has Carmen Trivago sing an opera (meant as a recognition to high-culture) to the primitive boxing match broadcast in the background at the same time Evello and Sugar Smallhouse depart this world. Despite its usual film noir storyline it ups the ante by including the mythic quest for the “great whatsit.” That becomes symbolic for the 1950s and the country’s fear over nuclear destruction, as the Red Scare fueled the country’s paranoid attitude. Kiss Me Deadly picks up on those irrational fears, as it’s directed with an uncompromising spirit and truth by Aldrich. It’s a fierce film that is still deadly, some 50 years after its theater release, in its keen characterizations of even the minor roles and its observations on what makes mankind tick (the film’s loony is the only one who reads poetry, while the “everyman” Hammer is stuck on reading the sports section in the paper).

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More interesting is the quizzical nature of the never-fully-revealed whatzit – the contents of the box.  Kiss Me Deadly was made when there was more awareness of the likely apocalyptic fate of mankind [9].  The whatzit in this story was the subject of multiple dreamlike interpretations that might provide answers in this respect.  In this connection Robert Weston has commented [2]:

“But the great whatzit is clearly a symbol of truth. The idea that all will be revealed once it is found is each character’s fundamental motivation. Everyone is desperately fighting to find the mysterious box because it represents an answer to something they can’t explain, a desire for the ultimate; a divine explanation for everything. They have no idea that such an object is unattainable in an existential world. Each character, even Mike, who for most of the film does not even know what he’s looking for, rationalize the great whatzit into something they want or need. For Christina, it might have been truth or beauty. For Mike, it appears to be money, or perhaps redemption. For Dr. Soberin and the FBI agents, it is power.”

Overall, it is that apocalyptic mystery element that elevates Kiss Me Deadly above the mundane members of its genre.

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Yet as brutal and cynical as the movie is, Aldrich knows how to seduce the audience; it still resembles a crackerjack crime movie. It makes extraordinary use of Los Angeles locations as well as its peculiar atmosphere (note Hammer's bizarre answering machine). It still moves through the logical paces of a crime movie, and Meeker looks something like the handsome, tough hero of a detective movie. According to Joe Bob Briggs, it's a classic of the drive-in, and it has, frankly, entertained audiences for decades…

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