Hammer si trova coinvolto in un caso dove tutti, e anche lui, rischiano la vita.
c'è in ballo una scatola misteriosa, che può uccidere, e chi la cerca è disposto a tutto.
il film è perfetto, un piccolo capolavoro che ti cattura, tutti fanno la loro parte al meglio, regista, attori, sceneggiatori, musica, fotografia, tutto insomma.
buona (imperdibile) visione - Ismaele
… è
con la fantascienza che Un bacio e una pistola dialoga più
produttivamente. Quando, alla fine del film, il detective Hammer apre
finalmente la misteriosa scatola, il film subisce un brusco cambio di registro.
Lo spettatore resta sconcertato dall’irreale luce proveniente dalla valigetta.
Improvvisamente, ogni esperienza cinematografica che avevamo del genere noir
crolla letteralmente. Non ci troviamo più in quei «sentieri già battuti» di cui
avevamo parlavamo, siamo davvero altrove.
Se, secondo Shadoian, i titoli di testa ci suggerivano di leggere
le cose “al contrario”, partendo dalla fine, allora, alla luce di questo
finale, ogni azione che precede la catastrofe diventa, come sosteneva il
critico, «futile». L’ultima immagine del film, sulla quale si sovrappone la
scritta The End – con Hammer e Velda che guardano le
radiazioni nucleari distruggere la casa – appartiene ad un mondo che con il
noir ha ben poco da spartire. Il terrore che leggiamo nei loro occhi sarà,
piuttosto, lo stesso di film come L’invasione degli ultracorpi [Invasion
of the Body Snatchers, 1956]. Ogni dramma individuale – il tipo di dramma
peculiare nel mondo del noir – deflagra in un pericolo che non
colpisce più il singolo individuo, ma l’umanità intera. Un bacio e una
pistola estende e amplifica dunque il pessimismo tipico del noir in
maniera, per l’appunto, apocalittica, sovvertendo in extremis qualunque
schema tipico del genere (un modello che, invece, aveva grossomodo retto fino
alla scoperta del contenuto della valigetta). Il film, quindi, risulta
veramente rivoluzionario, non tanto (o non solo) per le soluzioni visive
adottate, ma per un superamento del genere, non esclusivamente stilistico, ma
anche morale.
… Un saggio di bravura che,
come detto, fu subito riconosciuto dal genio (critico) di Truffaut e di cui,
ancora più, si ricorderà Godard quando, alcuni anni dopo, stupì tutti con il
suo esordio ("À bout de souffle", 1959, ancora Le souffle,
il respiro, à bout, in crisi, protagonista). Aldrich, infatti,
ricordato normalmente per un suo presunto e invasivo "stile barocco",
ha una poetica decisamente più complessa di cui le scene di massa, le messe in
quadro sature e i vertiginosi movimenti della cinepresa in spazi improbabili
sono solo l’aspetto più evidente, com’era la sua pancia rispetto all’intera
complessione del suo corpo.
Figlio di banchieri, solo apparentemente non ha portato il suo DNA nell’arte
del cinematografo: è stato invece un broker strarordinario, che ha investito
nei siparietti, spesso giudicati con sufficienza, il denaro (il
tempo) delle sue ellissi così sorprendenti che spesso fanno pensare ai jump-cut
di Welles e di cui, ancora una volta, Godard farà tesoro prezioso...
… L’intero
intreccio vive di dissolvenze allucinatorie e rimandi al sottile confine di
percezione che divide il sonno dalla veglia (e inevitabilmente la Vita dalla
Morte); perdite e riprese di senso, risvegli, sonniferi e sieri della verità,
prove inconfutabili di come tutti gli avvenimenti rimangano sospesi, spiazzati
dall’indecifrabile dubbio sulla loro verità. Su questo aspetto le parole di
Velda, alzatasi nel cuore della notte per l’arrivo di Mike e con la m.d.p che
insiste immobile sul letto disfatto, sono illuminanti: “They. A wonderful world. And who are they? They are the nameless
ones who kill people for the great whatsit. Does it exist? Who’s care? Everyone
everywhere is so involved in a fruitless search – for what?”
Cinema instabile, obliquo, con una composizione
del quadro di scelte radicali che non seguono un’organicità dell’insieme,
rafforzate da una profondità di campo che dissocia i personaggi dallo spazio,
da prospettive brusche e angolazioni disarmoniche, ma soprattutto da
un’originalità visiva che ancora oggi colpisce per ingegno ed efficacia.
E pensare che è stato girato in meno di tre
settimane…
… El célebre quid detrás de la obra maestra El Beso
Mortal (Kiss Me Deadly, 1955), aquel MacGuffin centrado en
una enigmática y mortífera caja que brilla, que brilla mucho, ha inspirado una
infinidad de propuestas de todos los géneros cinematográficos dentro de un
rango de lo más amplio que va desde Los Cazadores del Arca Perdida (Raiders
of the Lost Ark, 1981), de Steven Spielberg, y El Reclamador (Repo
Man, 1984), de Alex Cox, hasta Tiempos Violentos (Pulp
Fiction, 1994), de Quentin Tarantino, y Ronin (1998),
de John Frankenheimer. Sin embargo la influencia de la película del inefable
Robert Aldrich fue mucho más allá porque, como lo señalaron en su momento
François Truffaut y Jean-Luc Godard, el film constituyó uno de los pivotes
decisivos en lo que a la construcción formal de la Nouvelle Vague se refiere
porque gran parte de los artífices de la vanguardia tomaron como horizonte y
faro conceptual inconformista a este diminuto pero muy poderoso clásico del
policial negro más áspero, agresivo, nihilista, violento y enmarcado en una
suciedad que de pose afectada hollywoodense no tiene nada de nada porque aquí
la sinceridad brutal de los rufianes es el único lenguaje que vale en las
calles de Los Ángeles. Sumado a lo anterior, la película resultaría también
fundamental en el desarrollo posterior de los thrillers de espionaje y hasta
apocalípticos/ fantásticos porque logra combinar el film noir con el miedo al
holocausto nuclear propio de la Guerra Fría pero de una forma tácita,
disimulada, sin jamás tirarse de cabeza a la pileta de las conspiraciones y así
prefiriendo apelar a una estructura argumental enrevesada repleta de pistas que
llegan sin demasiadas aclaraciones, una progresión narrativa llena de elipsis,
una vehemencia torturadora y egoísta que todo lo cubre para seguir avanzando,
muchos cadáveres que se van acumulando y en especial una peligrosidad en
aumento en consonancia con las preguntas del antihéroe reglamentario, el
tremendo Michael “Mike” Hammer creado por el novelista Mickey Spillane allá en 1947.
…Though not accepted at first
upon its release by the public or American reviewers (only the French reviewers
immediately recognized its greatness), it has since been acclaimed as one of
the great film noirs. It has so many memorable moments from the Caruso
recording that has Carmen Trivago sing an opera (meant as a recognition to
high-culture) to the primitive boxing match broadcast in the background at the
same time Evello and Sugar Smallhouse depart this world. Despite its usual film
noir storyline it ups the ante by including the mythic quest for the “great
whatsit.” That becomes symbolic for the 1950s and the country’s fear over
nuclear destruction, as the Red Scare fueled the country’s paranoid attitude.
Kiss Me Deadly picks up on those irrational fears, as it’s directed with an
uncompromising spirit and truth by Aldrich. It’s a fierce film that is still
deadly, some 50 years after its theater release, in its keen characterizations
of even the minor roles and its observations on what makes mankind tick (the
film’s loony is the only one who reads poetry, while the “everyman” Hammer is
stuck on reading the sports section in the paper).
…More interesting is the quizzical nature
of the never-fully-revealed whatzit – the contents of the box. Kiss
Me Deadly was made when there was more awareness of the likely
apocalyptic fate of mankind [9]. The whatzit in this story was the
subject of multiple dreamlike interpretations that might provide answers in
this respect. In this connection Robert Weston has commented [2]:
“But the great whatzit is clearly a symbol of truth. The idea that all will
be revealed once it is found is each character’s fundamental motivation.
Everyone is desperately fighting to find the mysterious box because it
represents an answer to something they can’t explain, a desire for the
ultimate; a divine explanation for everything. They have no idea that such an
object is unattainable in an existential world. Each character, even Mike, who
for most of the film does not even know what he’s looking for, rationalize the
great whatzit into something they want or need. For Christina, it might have
been truth or beauty. For Mike, it appears to be money, or perhaps redemption.
For Dr. Soberin and the FBI agents, it is power.”
Overall, it is that apocalyptic mystery element that elevates Kiss
Me Deadly above the mundane members of its genre.
… Yet as
brutal and cynical as the movie is, Aldrich knows how to seduce the audience;
it still resembles a crackerjack crime movie. It makes extraordinary use of Los
Angeles locations as well as its peculiar atmosphere (note Hammer's bizarre
answering machine). It still moves through the logical paces of a crime movie,
and Meeker looks something like the handsome, tough hero of a detective movie.
According to Joe Bob Briggs, it's a classic of the drive-in, and it has,
frankly, entertained audiences for decades…
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