se esistesse la categoria dei film apolidi, Ritorno a Seoul lo sarebbe a pieno titolo, regista francese, di origine cambogiana, racconta una storia ambientata in Corea.
Freddie, una ragazza francese adottata in Corea, arriva (per caso?) a Seoul e fra un bicchiere e l'altro si accende la curiosità di sapere chi siano i veri genitori.
il padre lo trova subito, un uomo schiavo dell'alcol, ma la mamma è inafferrabile, ci vorranno anni, forse.
intanto Freddie trova lavoro nel settore di punta della cultura e genio francese, diventa una piazzista d'armi, e ritorna a Seoul per una fiera, reincontra il padre, ma non lo convince che le armi siano il modo migliore per fare la pace.
il film termina in un hotel di campagna, mentre Freddie suona una musica triste.
un film che cresce piano piano, seguendo la ricerca della madre assente, alla ricerca di un'identità (im)possibile.
bravissima Park Ji-min.
buona (materna) visione - Ismaele
…Come il Boccadoro di Herman Hesse,
ossessionato dall'assenza della figura materna che lui eleva nei suoi deliri a
madre-natura e senso ultimo dell'arte, Freddie Benoit proietta nel feticcio
assente della madre biologica tutto l'amore che non ha, tutte le persone che
non sarà mai, il doppelganger opposto della sé stessa che proprio non riesce ad
amare.
Davy Chou, filtrando la sua stessa esperienza di
immigrato, compone un meraviglioso ritratto giocato sulla riduzione e sul
minimalismo emotivo, che ha l'incredibile pregio di risultare toccante e
illibato pur essendo imbevuto di un'irrimediabile disperazione di fondo.
In un panorama cinematografico ma non solo, che fa dell'ottimismo e della
politica del lieto fine la sua cifra, Davy Chou ci mette davanti all'incapacità
di risolvere certi nodi identitari o dissidi, senza neanche suggerire una via
per poterci convivere: questa è la vera grandezza di Retour a Seoul,
riesce ad essere vero senza rinunciare alla delicatezza e alla sensibilità.
Tuttavia, anche nei suoi esiti più struggenti ed emotivamente destabilizzanti,
Chou ha il pregio di riuscire a donare compattezza e spessore drammatico
all'opera, attraverso una sapiente gestione del ritmo, che per quanto composito
si mantiene sempre coinvolgente.
Davy Chou con la sua finezza sentimentale e il suo stile, si conferma sempre di
più un astro nascente del panorama cinematografico internazionale.
…Dietro la storia anormale di una ragazza adottata
(e che brava Park Ji-min), Davy Chou riassume lo spazio e
il tempo in un film che esalta l'inaspettato, e l'incontrollabile. Lo esalta
ponendo lo sguardo su Freddie, protagonista che, scena dopo scena, esplora
tutte le possibilità che la vita le avrebbe potuto dare. E lo fa gestendo al meglio
le immagini, gli umori, i rumori e i ritmi (grande fotografia di Thomas Favel,
in grado di elevare i neon di una Seoul quanto la livida atmosfera lontana
dalla Capitale, e quindi lontana dalla modernità), e poi ancora gestendo
l'identità sfilacciata di una ragazza sperduta in una cultura che le appartiene
biologicamente. La stessa cultura che, poco alla volta, come farà lo stesso
regista, imparerà a destreggiare, se non a conoscere, forse ad amare. Dietro,
forte e preponderante, c'è la figura materna, resa dal film una sorta di
inafferrabile spettro, e che forse indirizzerà inconsciamente la sopravvivenza
e la resistenza emotiva della ragazza…
…Quizás algo lenta y reflexiva para
muchos, pero Retorno
a Seúl es un
ejercicio maravilloso de creación de emociones. No solo busca emocionarnos con
una historia, sino que nos ayuda a entender la
realidad de millones de personas que han sido adoptadas en todo el mundo. Ellos
también tienen derecho a enfadar, a huir de casa y a sentir que su entorno no
es suficiente para ella, o simplemente no es lo que necesita. Antes que hijos e
hijas, son individuos que deben marcar su propio camino ajeno a la senda que la
sociedad pretende señalarles.
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