Finalmente anche a Cagliari abbiamo potuto vedere Chemical Bros, di Massimiliano
Mazzotta, in una proiezione speciale, “solo” con un anno di ritardo.
Il documentario è avvincente come un film giallo, ci sono gli assassini, i mandanti, i complici, e le
vittime, all’interno di un sistema economico che uccide i suoi figli, anzichè
proteggerli, un sistema dove la Morte (chimica) avvelena gli ignari cittadini.
Inquinamento della Fluorsid, in Sardegna e in Inghilterra, e da
Pfas, in Veneto. Immagini e testimonianze, complicità e ricatti, dove l’acqua è
diventata da troppo tempo merce da vendere e comprare, da avvelenare, ed è passata da simbolo
di Vita a portatrice di Morte.
Visualizza i siti contaminati da
Pfas in Italia:
Il film è coprodotto da Medicina Democratica e Life After Oil Associazione Culturale, con il sostegno della Fondazione Film Commission Sardegna, e ha già vinto qualche premio in giro per il mondo, nemo propheta in patria.
Bravo a Massimiliano Mazzotta (già autore di OIL, del 2009).
Buona (inquietante e imperdibile) visione - Ismaele
ps: per sapere o ricordare la diffusione della microplastiche e delle Pfas dentro di noi, leggi: qui, qui, qui, qui, anche se ci crediamo assolti. siamo lo stesso coinvolti.
Inquinamento industriale Fluorsid, patteggiamenti e
bonifica ambientale - Stefano Deliperi
Dopo tre anni nulla. Nessuna bonifica ambientale per
riparare il gravissimo inquinamento ambientale causato dalle attività industriali connesse
agli impianti industriali Fluorsid s.p.a. nell’area
industriale di Cagliari – Macchiareddu, nella zona umida di Santa
Gilla, nelle campagne del Cagliaritano,
approdato – dopo approfondite indagini svolte
dalla Procura della Repubblica e dal Corpo
forestale e di vigilanza ambientale – in sede giudiziaria.
Il procedimento penale si
concluse nel luglio 2019 davanti G.I.P. del Tribunale
di Cagliari Giampaolo Casula con un ampio patteggiamento e
l’assunzione dell’obbligo di integrale bonifica.
Così non vi è stato un dibattimento pubblico, né la
possibilità di costituirsi parte civile, nemmeno la possibilità di valutare se
vi fossero state effettive responsabilità aziendali nel vero e proprio disastro
ambientale.
Infatti, dopo la chiusura delle indagini nel dicembre 2018 da parte della Procura della Repubblica, dieci
indagati hanno raggiunto un accordo con il pubblico ministero Marco Cocco per chiudere
la vicenda penale con un patteggiamento con 23 mesi
di arresto e 7 mila euro di multa: sono Pasquale Lavanga, ex presidente
del Consiglio di amministrazione della Fluorsid, il figlio Michele, ex direttore
dello stabilimento di Macchiareddu, il responsabile commerciale dei sottoprodotti
aziendali Loukas Plakopitis, Mario Deiana (responsabile logistica),
Armando Bollani (titolare della società Ineco), Sandro Cossu (responsabile
sicurezza e ambiente), Alessio Farci (responsabile del cantiere di
Terrasili), Marcello Pitzalis (operaio Ineco), Giuseppe Steriti e Giancarlo
Lecis (funzionari Fluorsid). Sono state stralciate, invece, le posizioni di
altri cinque indagati: Giuseppe Erriu, Fabrizio Caschili (direttore tecnico
Fluorsid), Antonio Piscedda (amministratore Ecotecnica srl), Davide Zaccheddu
(responsabile settore bonifiche A.R.P.A.S.) e Antonio Caria (ex responsabile
pulizie industriali).
La Fluorsid s.p.a., costituitasi
parte civile, ha, però, singolarmente deciso di accollarsi il costo integrale delle bonifiche
ambientali, ben 22 milioni di euro.
In proposito, il Gruppo d’Intervento
Giuridico (GrIG) aveva da subito provveduto a inviare (18 maggio 2017) alla Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Cagliari una specifica segnalazione concernente
l’opportunità di aprire una procedura per l’accertamento della responsabilità della Fluorsid
s.p.a. in relazione ai fatti di gravissimo inquinamento
ambientale.
Infatti, il decreto legislativo n. 231/2001 e s.m.i. ha introdotto nel nostro Ordinamento ipotesi
di responsabilità amministrativa delle società e degli enti,
qualora si tratti di reati compiuti nell’interesse o a vantaggio della
società/ente (art. 5), in particolare in relazione alla commissione di reati
ambientali (art. 25 undecies). Inoltre, “la competenza a
conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente appartiene al giudice penale
competente per i reati dai quali gli stessi dipendono” (art. 36)
e “il procedimento per l’illecito amministrativo dell’ente è riunito
al procedimento penale instaurato nei confronti dell’autore del reato da cui
l’illecito dipende” (art. 38, comma 1°).
L’integrale bonifica ambientale, l’unico
obiettivo sensato e valido in una simile situazione, deve comunque esser
sorvegliata e verificata dalla magistratura, che ha
delegato il Corpo forestale e di vigilanza ambientale,
che, nei giorni scorsi, ha informato il Ministero dell’Ambiente e della
Sicurezza Energetica, la Città metropolitana di Cagliari e i Comuni interessati
dell’assenza di qualsiasi avvio dell’attività di bonifica ambientale a tre anni
dalla sentenza.
Le dimensioni dell’inquinamento sono
risultate devastanti.
Pur muniti delle più importanti certificazioni di qualità e sostenibilità ambientale, gli impianti della Fluorsid s.p.a., leader mondiale
della produzione “di fluoroderivati inorganici per l’industria
dell’alluminio” con “100.000 tonnellate
all’anno di fluoruro di alluminio e criolite sintetica, materie prime
principalmente destinate alla produzione di alluminio primario”, sono
risultati al centro di un vero e proprio disastro ambientale.
Il 16 maggio 2017 su disposizione della Procura
della Repubblica e del G.I.P. del Tribunale
di Cagliari, il Corpo forestale e di vigilanza ambientale aveva
posto sotto sequestro preventivo aree degli impianti
industriali Fluorsid s.p.a. nella zona
industriale di Cagliari – Macchiareddu e
ha proceduto all’arresto di sette dirigenti, collaboratori e appaltatori dell’industria
chimica.
Le ipotesi di reato sono gravissime.
Sarebbe stata inquinata anche la zona umida
d’importanza internazionale di Santa Gilla.
Secondo quanto pubblicato sul sito web istituzionale Sardegna Corpo Forestale, nel dispositivo del decreto G.I.P. n.
2081/2016 del 9 maggio 2017 contenente provvedimenti restrittivi
della libertà personale e di sequestro preventivo, testualmente contesta:
“1) Una grave contaminazione dell’aria, per effetto
della dispersione delle polveri nocive, altamente concentrate, provenienti
dallo stabilimento Fluorsid dal cantiere di Terrasili.
2) Una grave contaminazione dei suolo, ascrivibile
anzitutto alla diffusione delle polveri, e dimostrata dalle analisi dei
campioni di suolo e di vegetali (di specie pabulari), prelevati da aree
prossime allo stabilimento (…);
3) Contaminazione delle falde acquifere di metalli
pesanti e composti inorganici, (…) (solfati, fluoruri e allumina idrata).
4) Contaminazione da fluoro degli allevamenti a
Macchiareddu. In particolare, è acclarato che alcuni capi ovini allevati a
Macchiareddu in zone raggiunte dalle polveri emesse da Fluorsid e interessata
da illeciti sversamenti di rifiuti analoghi a quelli di cui si è fin qui
parlato, avevano contratto la Fluorosi, una grave malattia (…).
5) (NdR: le
persone abitanti le zone periferiche dell’abitato di Assemini) (…)
lamentavano che, specie quando spirava il vento, le polveri si infilavano in
casa anche attraverso gli infissi, creando dappertutto una densa patina
biancastra; tutti avevano lamentato bruciori agli occhi ed alle vie
respiratorie, avevano riferito dell’odore acre e acido delle polveri. Alcuni
avevano notato effetti nocivi sui figli minori, e altri li avevano paventati,
(…).
6) L’interramento e sversamento di rifiuti pericolosi
quali: Fluorsilicati, fanghi acidi, amianto, olii, rifiuti di varia natura,
nonché la lavorazione all’aperto di sostanze velenose all’ingestione come la
criolite, lo sversamento di cloruro, hanno certamente determinato una
contaminazione delle matrici ambientali in misura che va ancora esattamente
quantificata, ma che è in atto ed è grave come è dimostrato dalle patologie su
descritte e dalla pressoché totale scomparsa della vegetazione nelle aree
adibite a discarica.
7) Da ultimo va ricordato che lo sversamento di fanghi
acidi nella laguna di Santa Gilla è un fatto che si è accertato reiterato e non
occasionale (…)”.
Alcune delle persone arrestate hanno iniziato presto
a collaborare con la magistratura e la polizia giudiziaria,
così sono giunte le prime ammissioni e
la scoperta di ulteriori discariche
abusive di rifiuti industriali,
in seguito sottoposte a sequestro penale.
Dopo alcuni giorni di silenzio, forse dovuto alla presenza della Regione autonoma della Sardegna nella
compagine azionaria della Fluorsid in tempi recenti, la Giunta
Pigliaru ha dato impulso a un piano straordinario di controlli ambientali, fra cui prelievi e analisi da parte dell’A.R.P.A.S. nelle
falde della zona umida di Santa Gilla.
Insomma, si è cercato di recuperare il tempo e i
controlli ambientali non svolti in precedenza.
Sì, è vero, gli impianti Fluorsid ricadono in un S.I.N. (sito
di interesse nazionale per le bonifiche ambientali) e sono stati autorizzati
con A.I.A. nazionale e i controlli – basati su autocertificazioni – sono
di competenza I.S.P.R.A., ma è semplicemente folle che
una Regione non abbia il polso ambientale e
della salute del proprio territorio.
Al disastro ambientale si
aggiunge l’elusione degli obblighi di effettiva integrale
bonifica ambientale, il minimo da fare in occasione di simili danni
alla natura e al popolo inquinato.
Il GrIG provvede in questi
giorni a chiedere alle amministrazioni pubbliche competenti quale sia
l’effettiva situazione e, soprattutto, quali siano
i provvedimenti attuati per giungere concretamente a
una piena bonifica ambientale. Ne viene informata
la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari.
Stefano Deliperi è il portavoce del Gruppo d’Intervento
Giuridico (GrIG)
Chemical Bros – il docufilm di
Massimiliano Mazzotta sostenuto da Medicina Democratica – premiato a
Cinemambiente
Con estremo piacere diamo notizia che “Chemical Bros” il docufilm di Massimiliano Mazzotta prodotto con Afteroil e sostenuto da Medicina Democratica ha ricevuto il 12.06.2022 il premio “Ambiente e società” alla rassegna cinemambiente di Torino .
Il docufilm, in modo analogo (e in parte ispirato) al
numero di Medicina Democratica sulla tossicità della filiera del fluoro ci
conduce dalla Sardegna alla provincia di Vicenza come pure in Gran Bretagna per
seguire il filo avvelenato dal minerale fluorite passando dall’acido
fluoridrico, ai polimeri fluorurati (Freon) con la coda estremamente pericolosa
dei PFAS (perfluoroalchilici).
Medicina Democratica è stata parte
civile nel processo penale contro Solvay (impianti di Spinetta Marengo) e lo è
tuttora nel processo contro la Miteni e le proprietà successive degli impianti
di Trissino (VI).
In precedenza Massimiliano Mazzotta aveva curato,
sempre con il sostegno di Medicina Democratica, un docufilm sulla vicenda di
Manfredonia (è ancora disponibile il libro+film).
Di seguito le motivazioni del premio;
<< Un docufilm di denuncia che lancia un
forte messaggio al mondo, attraverso un viaggio che dalla Sardegna passando per
il Veneto arriva in Gran Bretagna e pone l’attenzione su una tematica sempre
attuale: contrastare una economia basata sulla produzione sfrenata di oggetti di
uso comune, che antepone gli interessi economici a discapito del benessere
della comunità e dell’ambiente. Un documentario scomodo, per sollecitare una
presa di coscienza e mettere in atto un’azione collettiva per contrastare le
derive che colpiscono tutti in termini di perdita di ambiente e salute in
maniera irreversibile.
È necessaria un’inversione di rotta. In fondo, siamo
fatti di chimica, ma di chimica naturale.>>
scrive Marco Caldiroli, per Medicina Democratica Onlus
La filiera del fluoro, dal minerale all’acido fluoridrico
fino ai polimeri fluoroorganici e ai PFAS, è estremamente
ramificata, interessa la produzione di merci con cui abbiamo a che fare
tutti i giorni, è difficile dipanare la matassa ma è l’intenzione che ha
accomunato gli autori del docufilm e tutti coloro che vi hanno partecipato
dando un contributo storico, tecnico e valutativo.
Impatti sociali, economici e ambientali si sommano
e sinergicamente fanno emergere le nocività esplicite, quelle per
esempio che interessano, per motivi e con modalità diverse, la zona di Assemini
e quella della Provincia di Vicenza come pure quelle meno evidenti
connessi con le proprietà di disturbatori endocrini di alcune molecole
fluorurate.
Informare è già prevenire, veniva detto negli anni
’70 dal movimento operaio e ambientalista nel costruire le vertenze per
la tutela della salute dei lavoratori e dell’ambiente. Questo film attua questo
principio nel caso del fluoro. L’autore riesce, in modo sintetico ma
diretto e approfondito, a dare voce a un coro di soggetti dell’esperienza
e a illustrare le evidenze scientifiche e la necessità di una netta inversione
di rotta. Un film che riesce anche a far emergere il lato umano, a
rendere visibile la sofferenza individuale e collettiva dalla Sardegna
ad altre parti del mondo e che si infila nelle nostre case sottoforma di
oggetti di uso comune. Informare con un film come questo può spostare
quel sassolino che rotolando tra altre pietre può produrre una valanga
che travolge i muri di silenzio, la negazione dell’evidenza e la compressione
della voce di chi vive sulla sua pelle direttamente ed immediatamente
gli “effetti collaterali” di produzioni nocive.
Le iniziative per cambiare rotta non sono ancora
sufficienti, se le iniziative mondiali per contrastare la riduzione
dell’ozono stratosferico (maggiori responsabili derivati del fluoro come i
CFC/freon) cominciano ad avere effetto siano nel pieno della crisi da
PFAS ovvero della contaminazione dell’ambiente e dei corpi di tutti da
parte di sostanze che “scompensano” i nostri equilibri ormonali con effetti non
ancora pienamente conosciuti ma certo sufficientemente tossici da
indirizzare l’iniziativa e la ricerca verso alternative non pericolose o
la cessazioni di produzioni (il regolamento europeo sulle sostanze chimiche
REACH è attualmente lo strumento da utilizzare al meglio, con rigore e
senza sconti alle grandi e piccole aziende per le quali il profitto
viene prima di ogni altra considerazione ambientale e umana).
Il docufilm è espressione di “scienza popolare”
ovvero di una ricerca delle cause dell’inquinamento e, nello stesso
tempo, espressione della coscienza e dell’azione per contrastare derive
ulteriori che colpiscono tutti,ora o in un futuro prossimo, in termini
di perdita di ambiente e di salute.
A
Cagliari Chemical Bros, il docufilm sui danni alla salute causati dalla filiera
del fluoro
Arriva finalmente a Cagliari, giovedì 25 maggio, Chemical Bros, il
docufilm di Massimiliano Mazzotta, sui gravi danni provocati dalla filiera del
fluoro alla salute e all’ambiente in Sardegna, da Silius, ad Assemini, passando
per Santa Gilla, come in Veneto e in Gran Bretagna.
Il docufilm, “Premio Ambiente e società” al 25° Festival
Cinemambiente di Torino 2022 e miglior documentario al Rajasthan International
Film Festival 2023, è coprodotto da Medicina Democratica e Life After Oil
Associazione Culturale, con il sostegno della Fondazione Film Commission
Sardegna: sono previste tre proiezioni con ingresso gratuito, giovedì 25 maggio
al Teatro Massimo, Sala M2, alle ore 10.00 per le scuole, alle ore 18.00 e alle
21.00 per il pubblico.
A tutte e tre le proiezioni sarà presente Massimiliano Mazzotta: alla
proiezione delle ore 10.00, per le scuole, inoltre, parteciperanno circa 200
studenti, rappresentanti di diverse scuole superiori della Sardegna, per
presentare lavori di Educazione ambientale sugli argomenti. Chemical Bros
arriva in sala a Cagliari proprio nel momento in cui si riaccendono i
riflettori sulla vicenda della Fluorsid S.P.A, dove i vertici sono stati
condannati con patteggiamento nel 2019 a effettuare le bonifiche, per 22
milioni di euro, dei siti inquinati dalla propria attività nell’area
industriale di Cagliari – Macchiareddu e nella zona umida di Santa Gilla, sito
di importanza internazionale.
Il Corpo Forestale e di vigilanza ambientale di Cagliari ha
infatti informato nei giorni scorsi il Ministero dell’Ambiente e i comuni
interessati, Assemini, Uta, Monastir e città metropolitana di
Cagliari, del mancato avvio della bonifica a tre anni dalla sentenza del
Tribunale di Cagliari. Il docufilm Chemical Bros, aiuta a inquadrare
meglio il problema.
L’iniziativa è promossa da Medicina Democratica con la collaborazione
di FICC (Federazione Italiana Circoli del Cinema) Sardegna e Italia, Società
Umanitaria-Cineteca sarda, A.N.P.I., A.I.E.A (Associazione Italiana Esposti
Amianto), I.S.D.E. (Medici per l’Ambiente). “IL docufilm è la drammatica
rappresentazione, attraverso immagini e testimonianze, del percorso della
fluorite dall’estrazione fino ai polimeri fluorurati e ai PFAS per svelare
quanti rischi porta nella nostra vita”, ha detto Marco Caldiroli, presidente
nazionale di Medicina Democratica. “Vi sono anche impatti diretti che
accomunano la zona di Assemini e arrivano fino a Vicenza e anche località in
Gran Bretagna- ha sottolineato Francesco Carta, medico ed esponente di Medicina
Democratica – per questo si da voce ai lavoratori e alle popolazione esposte,
che hanno approfondito le conoscenze scientifiche, le sofferenze individuali e
collettive a partire dagli effetti sul sistema endocrino umano”.
“Informare è già prevenire, è uno slogan attuale delle lotte operaie
e ambientaliste degli anni’70, espressione di quella scienza popolare che cerca
alternative alle nocività – ha proseguito Marco Caldiroli – un film come questo
può spostare quel sassolino che, rotolando tra altre pietre, può produrre una valanga
che travolge i muri di silenzio, la negazione dell’evidenza e la compressione
della voce di chi vive sulla sua pelle direttamente ed immediatamente gli
“effetti collaterali” di produzioni nocive”.
Chemical Bros. Un docufilm sui danni ambientali del
fluoro - Walter
Falgio
Il
regista Massimiliano Mazzotta propone una indagine puntuale sugli effetti
devastanti dell’inquinamento industriale
L’obiettivo stavolta è rivolto al business
della filiera del fluoro, a un
intrico di processi chimici, a una ramificazione tra affari e prodotti di
consumo e a un pericoloso cortocircuito:il profitto anteposto alla
salute pubblica a fronte di segnali di pericolo
deliberatamente ignorati o sottostimati.
Mazzotta scava tra le pieghe di un tema complesso,
tra le omissioni e le mancate risposte istituzionali, dando la parola a donne e
a uomini di grande coraggio.
Agricoltori, pastori, militanti delle associazioni ambientaliste,
studiosi, medici. Squaderna la forza della
testimonianza – nucleo portante e per nulla scontato della sua inchiesta –
supportata dalle evidenze scientifiche, dai risultati delle analisi di
laboratorio, dalla comparazione dei casi, dai risultati delle indagini
giudiziarie.
Il filo della matassa che il regista prova a dipanare prende origine
dalle miniere di fluorite in Sardegna,
concesse a partire dal 1954 alla Mineraria Silius del conte Carlo Enrico
Giulini, padre di Tommaso, attuale presidente del Cagliari Calcio.
L’estrazione cresce esponenzialmente sino alla messa al bando dei
clorofluorocarburi del 1987. Da quel momento, con il contributo sostanzioso
della Regione Sardegna e il disimpegno del capitale privato, l’attività di
scavo procede con alterne vicende sino all’oggi, una sorta di limbo dove da anni si ipotizza una ripresa frenata da
una procedura di infrazione europea e da una fallimentare ricerca di
finanziatori.
Nel frattempo parlano i minatori. La
camera di Mazzotta indugia sulle rughe profonde, su volti che raccontano sofferenza, durissime condizioni di lavoro
nel sottosuolo, incidenti mortali, paga a cottimo.
Che lamentano l’immobilismo della Regione nonostante
dentro la terra del Gerrei si celino ancora «20 milioni di tonnellate di fluorite,
ovvero 20 anni di lavoro».
Antonino Melis, Antonio Agus, Salvatore Deidda sono alcuni dei
nomi di chi ci mette la faccia con dignità.
Dalla
coltivazione della fluorite l’impero Giulini si estende alla produzione e alla
commercializzazione dei derivati.
Nel 1969 nasce la società Fluorsid ed
è impiantato lo stabilimento di Macchiareddu, zona industriale di Cagliari, nel
Comune di Assemini.
L’itinerario di Chemical Bros. fa dunque tappa nella piana sulle
rive della laguna di Santa Gilla. La grande industria dei
Giulini è lì, tra l’area Sin (Sito di interesse nazionale) altamente
inquinata, e la zona umida di importanza internazionale.
Nel 2017 l’impianto si trova al centro di un’inchiesta della Procura del capoluogo sardo che
dalla fine del 2014 indagava a carico di ex dirigenti Fluorsid e titolari di
imprese d’appalto, tutti accusati di associazione a delinquere per
inquinamento, disastro ambientale, sversamenti, interramenti, smaltimenti
illeciti di rifiuti.
I livelli di contaminazione delle acque riscontrati intorno alla
fabbrica erano altissimi: 3.745 volte superiori ai limiti
prescritti per l’alluminio, 1.154 per i fluoruri e 51 volte per i solfati…
Fluorsid e Chemical Bros. Da Silius a Macchiareddu e
in Inghilterra, passando per il Veneto - Francesco Carta
I
giornali locali hanno dato notizia che il Corpo Forestale e di vigilanza
ambientale di Cagliari ha recentemente informato il Ministero dell’Ambiente, la
Città metropolitana di Cagliari, i comuni limitrofi interessati e l’Assessorato
regionale all’Ambiente del mancato avvio di attività di bonifica ambientale da
parte di Fluorsid s.p.a, a tre anni dalla sentenza.
Stefano
Deliperi scrive un articolo su Il Manifesto sardo (il 30/04/2023), ricordando
il processo e il “gravissimo inquinamento ambientale” causato dalle attività
industriali connesse agli impianti Fluorsid nell’area industriale di
Cagliari-Macchiareddu e nella zona umida di Santa Gilla, sito di importanza
internazionale. Ricorda il procedimento penale concluso con un patteggiamento
nel luglio 2019 presso il tribunale di Cagliari. La Fluorsid decise di
accollarsi il costo delle bonifiche ambientali.
La
Fluorsid s.p.a. è leader mondiale della produzione di fluoro e derivati
inorganici per l’industria dell’alluminio. È inaccettabile che un obbligo di risanamento
ambientale deciso con una sentenza non venga rispettato, e che non se ne
discuta per tanto tempo.
Il
regista Massimiliano Mazzotta ha rotto il silenzio realizzando un film
documentario prodotto da Life After Oil e da Medicina Democratica con il
sostegno di Fondazione Sardegna Film Commission, dal titolo CHEMICAL BROS
(2022). La filiera del fluoro dal minerale fino ai polimeri fluoro organici e
ai PFAS è estremamente ramificata. Il docu-film dà un contributo storico,
tecnico e valutativo. Informare con un film aiuta a conoscere, può contribuire
a spostare posizioni, a rompere i muri del silenzio e la negazione
dell’evidenza, la comprensione di chi vive sulla sua pelle direttamente e gli
“effetti collaterali” di produzioni nocive. Sono mostrati gli impatti sociali,
economici e ambientali che si sommano e fanno emergere sinergicamente le
nocività nelle miniere di Silius, nella zona di Assemini e della provincia di
Vicenza. Informare è il primo passo della prevenzione.
PFAS: ecco
perché non ce ne libereremo mai - Katarina Fischer
Dalle giacche alle padelle fino agli
imballaggi, le sostanze chimiche eterne sono ovunque. Negli ultimi anni sempre
più chiaramente è emerso come rappresentino un pericolo per l’ambiente e la
salute. I divieti arrivano troppo tardi?
Tradotto da Stefano
Porreca per PeaceLink
Fonte: nationalgeographic.de -
27 gennaio 2023
Lo studio dell’Enviromental Working Group (EWG)
pubblicato lo scorso gennaio sulla rivista Science Direct, è
l’ultimo di una serie ormai sempre più lunga. Esamina gli effetti negativi di
alcuni composti chimici facenti parte di un gruppo di sostanze prodotte
dall’industria: le sostanze per- e polifluoroalchiliche, in breve le PFAS.
Lo studio si concentra sui pesci d’acqua dolce catturati per il
consumo nei fiumi e nei laghi del Nord America. Il gruppo di ricerca ha
analizzato oltre 500 campioni risalenti al periodo 2013–2015. Risultato: i
pesci catturati in natura erano contaminati da PFAS in quantità 280 volte
superiori a quelle riscontrate nel pescato messo in commercio. Complessivamente
la concentrazione dei composti chimici nei campioni era ben 2400 volte
superiore alla soglia raccomandata dall’Environmental Protection Agency (EPA).
«I risultati dell’analisi lasciano attoniti», ha dichiarato Scott
Faber, vicepresidente senior degli affari federali dell’EWG. «Mangiare un pesce
d’acqua dolce è come bere acqua contaminata da PFOS per un mese».
Il PFOS, ovvero l’acido perfluoroottansolfonico, è uno dei tanti
composti chimici del gruppo delle PFAS. Queste sostanze non sono presenti
naturalmente nell’ambiente. Vanno prodotte industrialmente sostituendo
parzialmente o totalmente gli atomi di idrogeno delle catene carboniose con
atomi di fluoro. Le PFAS respingono l’acqua, il grasso e lo sporco e sono
termicamente stabili. Grazie a queste proprietà, dallo loro scoperta negli anni
40, vengono usate per la produzione di numerosi oggetti di uso quotidiano:
dagli utensili da cucina ai tessuti e ai cosmetici fino agli imballaggi, ai
pesticidi e ai materiali antincendio.
Perché le PFAS sono pericolose?
Per via della loro vastissima gamma di applicazioni, le PFAS si
sono accumulate rapidamente e in grandi
quantità nell’ambiente. Tramite acque e suoli contaminati entrano
nella catena alimentare, nel sangue e nei tessuti umani e animali – e vi restano
dal momento che sono estremamente persistenti. Affinché nell’organismo umano si
riducano della metà occorrono, a seconda del tipo, da 4,4 a 8,7 anni. Ne
vengono espulse a fatica. Ragion per cui sono soprannominate «sostanze chimiche
eterne».
Mentre la loro utilità è stata riconosciuta in tempi relativamente
brevi, delle conseguenze negative di questa famiglia di composti organici di
sintesi ci si è resi conto solo tardivamente. Benché le PFAS attualmente si
trovino ovunque, le informazioni sui loro effetti sono ancora molto limitate.
Allo stato odierno della ricerca, tuttavia, possono essere associate a tutta
una serie di gravi problematiche per la salute: insorgenza di tumori; danni al sistema immunitario e al fegato;
infertilità; complicanze della gravidanza; maggiore rischio di sviluppare il
diabete; disturbi dell’apprendimento e del comportamento nei bambini.
Diffusione incontrollata: piovono PFAS
Nel frattempo l’entità del problema va emergendo sempre più
chiaramente. Dopo esserne già stata accertata la presenza nel latte materno, uno studio del 2020, incentrato sui
minori tedeschi tra i 3 e i 17 anni, ha rilevato PFAS nel sangue di tutti i
soggetti esaminati.
Nel 2022 un team di ricercatori dell’Università di Stoccolma e dell’ETH di Zurigo ha scoperto che
perfino la pioggia è altamente contaminata da PFAS. I composti chimici
raggiungono anche le regioni più remote della Terra tramite il ciclo dell’acqua
e sono già stati individuati in Antartide e sull’altopiano tibetano. A parere
di Ian Cousins, scienziato ambientale dell’Università di Stoccolma tra gli autori
principali dello studio, «in base alle ultime linee guida statunitensi per il
PFOA – cioè l’acido perfluoroottanoico – nell’acqua potabile, l’acqua piovana andrebbe classificata ovunque come
non potabile».
Anche nell’UE ci sono delle soglie per la somma delle PFAS
nell’acqua potabile. E tuttavia vengono regolarmente superate, dato che questi
composti continuano a essere prodotti e rilasciati in un ambiente già
pesantemente inquinato. Poiché non si dissolvono, vanno attivamente eliminati
dall’acqua e dal suolo, eppure, ad avviso di Martin Scheringer, anche lui tra
gli autori dello studio e chimico presso l’ETH di Zurigo, «c’è ben poco che
possiamo fare per ridurre le contaminazioni da PFAS».
Bonifica: costosa e complicata
Rimuovere le PFAS da terreni e falde freatiche contaminati, è
un’impresa difficile. A causa delle loro particolari proprietà, le tradizionali
procedure di bonifica non sortiscono effetti degni di nota. «Le PFAS non
svaniscono se i prodotti vengono gettati via o sottoposti al lavaggio»,
chiarisce Tasha Stoiber, direttrice scientifica dell’EWG. «La nostra ricerca
mostra come le modalità in uso per lo smaltimento dei rifiuti possano
effettivamente aumentare l’inquinamento ambientale».
Secondo l’Umweltbundesamt, le PFAS possono essere smaltite
completamente solo in inceneritori di rifiuti speciali ad alta temperatura.
Oltre al fatto che la disponibilità di questi impianti e di discariche adeguate
è insufficiente rispetto alle esigenze, il procedimento comporta costi elevati.
Per Jane Muncke, tossicologa ambientale e presidente della Food
Packaging Forum Foundation di Zurigo, chi debba farsene carico è evidente: «È
inaccettabile che un numero ristretto di persone faccia profitti mentre inquina
l’acqua potabile di milioni di persone. Le enormi somme di denaro che costerà
riportare le PFAS nell’acqua potabile a livelli che, stando alle conoscenze
scientifiche attualmente disponibili, sono sicuri devono essere pagate
dall’industria che produce e adopera queste sostanze tossiche».
Perché non vengono vietate?
Prima che una sostanza possa essere vietata, anzitutto vanno
fornite laboriose prove sulla sua pericolosità per l’ambiente e la salute. A
complicare ulteriormente la situazione nel caso delle PFAS, c’è il fatto che
alcune di esse sono componenti essenziali di prodotti indispensabili come
schiume antincendio, indumenti protettivi e dispositivi medici che non possono
essere rimpiazzati facilmente. La loro utilità va perciò valutata alla luce del
danno che comportano – un processo che richiede anni.
Ecco perché nell’UE sono vietate solo quelle PFAS i cui effetti
negativi sull’ambiente e la salute umana sono stati chiaramente dimostrati –
tra queste, dal 2020 e con alcune limitazioni, anche il PFOA. In questi casi,
la maggior parte delle volte l’industria sostituisce le sostanze regolamentate
direttamente con altre PFAS sulla cui pericolosità non esistono informazioni e
che dunque non sono sottoposte a restrizioni. E poiché allo stato attuale si
conoscono oltre 10mila tipi diversi di PFAS, questo gioco potrebbe protrarsi
all’infinito.
Visto che negli ultimi anni è emerso sempre più chiaramente come a
essere problematico sia l’intero gruppo delle PFAS, Germania, Danimarca,
Norvegia, Svezia e Paesi Bassi hanno congiuntamente preparato un «dossier normativo» per
bloccarne l’impiego superfluo. Sulla proposta presentata lo scorso gennaio
all’Agenzia europea delle sostanze chimiche, quest’ultima dovrà pronunciarsi
entro un anno.
Per gli autori dello studio sull’acqua piovana, quest’iniziativa
non è sufficiente. Dal momento che la contaminazione da PFAS è un problema
globale, a loro avviso sarebbe sensato introdurre un valore limite valido in
tutto il mondo. Ciò nonostante, secondo Martin Scheringer, «questo limite,
come abbiamo dimostrato nel nostro studio, è già stato superato».
La mappa dei luoghi contaminati da Pfas in Italia
L'ha costruita Wired a partire dai
dati del Forever Pollution Project, inchiesta giornalista guidata dalla testata
francese Le Monde che ha permesso di individuare oltre
17mila siti contaminati da Pfas in tutta Europa
Sono più di 1.600 in Italia,
oltre 17mila in tutta Europa i
siti contaminati da Pfas, detti anche inquinanti eterni per la loro capacità di rimanere
a lungo nell'ambiente. A censirli ci ha pensato il Forever Pollution Project,
un'inchiesta giornalistica che ha coinvolto 17 testate in
tutto il continente guidato dal francese Le Monde.
Wired ha scaricato i dati e li ha
utilizzati per costruire una mappa che permetta di visualizzare i siti
contaminati da Pfas in Italia, dando modo al lettore di filtrare per regione e
provincia così da poter analizzare la situazione con un maggiore livello di
dettaglio.
I Pfas sono composti chimici utilizzati a partire dalla
metà del secolo scorso in diversi settori dell'industria, a cominciare da
quella alimentare e dell'abbigliamento. Vengono chiamati inquinati eterni
perché potrebbero rimanere nell'ambiente per centinaia, se non
migliaia di anni. Una problematica che, nel nostro paese, ha colpito
in modo particolare il Veneto.
Regione per la quale l'Associazione
italiana medici per l'ambiente (Isde) parla espressamente di “emergenza
sanitaria” per quanto riguarda la contaminazione da queste
sostanze. I Pfas, infatti, sono associati a diverse patologie oncologiche.
La mappa rilasciata da Le
Monde è stata costruita incrociando diverse fonti, alcune delle quali
non pubbliche e ottenute grazie a richieste Foia. Il risultato è una mappa che
riporta 17mila siti contaminati, ovvero con una concentrazione di queste
sostanze superiore a 10 nanogrammi per litro. Di
questi, 2.100 sono definiti hotspot: qui si parte
dai 100 ng/L. A questi si aggiungono altri 21mila siti
nei quali la contaminazione è solo presunta.
Il Forever Pollution Project ha
rilasciato due versioni del dataset dei siti contaminati. Una più ‘snella’, che
riporta i punti con una concentrazione superiore a 10 ng/L. Un'altra invece più
corposa, con anche i siti con valori più bassi. Wired ha
utilizzato questa seconda versione. A questo proposito, è bene ricordare che
nel 2014 il ministero della Salute affermava che "concentrazioni
nelle acque destinate a consumo umano di pfba fino a 500 ng/l e pfbs fino a 500
ng/l non configurano rischi per la salute umana".
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