venerdì 19 maggio 2023

Tutti i cani muoiono soli – Paolo Pisanu

se non avessi saputo chi era il regista avrei attribuito il film a Bonifacio Angius (è un complimento!).

film ambientato nelle campagne di Sassari e al mare vicino (dimenticatevi la Costa Smeralda), una storia di vinti, e di silenzi, di persone che vivono ai margini (e magari al di là) della legalità, un film a colori come se fosse in bianco e nero.

Rudi è uno che vive del pizzo estorto a poveracci, con tristezza, e si fa rispettare fino all'estremo.

ha un solo amico, se si può dire amico, Pietrone (già attore di Bonifacio Angius), e una figlia, Susanna, che non vedeva da anni, malata, che ha bisogno di una persona che badi a lei, e Rudi riprova dopo molti anni a fare il padre.

un'opera prima da vedere, promossa.

buona (senza troppa speranza) visione, per ora in sei sale - Ismaele

 

 

 

 

 

Lo spunto nasce dalla diretta conoscenza di due casi reali che hanno ispirato la costruzione dei tratti psicologici dei due protagonisti. A questo ha fatto seguito la scelta di Orlando Ercole Angius, attore di teatro, perfetto nello scavare negli abissi di un essere che di umano sembrerebbe avere conservato ben poco, tanto da aver ottenuto il premio quale migliore attore al Bif&st.
A lui si affianca Francesca Cavazzuti. Alla sua prima prova sul grande schermo si rivela come una coprotagonista molto efficace nel far trapelare, anche con un solo sguardo, l'odio di una figlia nei confronti di un padre di cui vede tutta la bassezza. Pisanu li colloca nella bellezza naturale di una Sardegna che diventa un luogo in cui, ciò che resta dell'animo di un uomo e di una giovane donna, finisce con il perdersi senza sapere se sarà possibile farlo riemergere.

Ci sono i soprusi, la violenza, i ricatti in questo film che avrebbe potuto diventare l'ennesimo film di genere ma sono tutti funzionali alla descrizione di un incontro/scontro tra due persone che potrebbero aver perso, per motivi estremamente diversi, una ragione per continuare a vivere. Il loro e' un inferno esistenziale della cui presenza sono, in qualche misura, consapevoli.
Pisanu li accompagna, con un'attenzione ai dettagli che dimostra nel saper riempire di senso anche gli spazi vuoti. Affronta una storia in cui lo scontro è affidato ai volti, agli sguardi, a un corpo sempre teso al soverchiare il prossimo (quello del padre) in opposizione a un altro a cui non è più consentito alcun movimento. Lo fa con una consapevolezza che pochi hanno alla loro prima prova. Il cinema italiano ha bisogno di esordi come questo.

da qui

 

Note di regia, di Paolo Pisanu

Nel trasporre al cinema questa storia, che riflette il mutamento etico e violento della nostra terra, in bilico tra un passato ancora vivo e un futuro incerto e confuso, si usa un linguaggio asciutto e preciso, alla ricerca della potenza d’immagine che il cinema è in grado di offrire, ma sempre al servizio della storia. Una storia calata nel reale, dunque, ma raccontata attraverso una partitura visiva che si sviluppa cercando in primis di seguire il sentimento della storia nel suo vorticoso altalenarsi, senza privarsi della bellezza estetica, dello stupore fotografico dei paesaggi, ma rinunciando in partenza alla messa in scena barocca della violenza.

Un racconto onesto, che alla ricerca della forza visuale, abbina il dramma esistenziale, la tragedia di matrice shakespeariana e un intreccio puntuale e inflessibile di pulsioni, generosità ed egoismo, violenza, sangue, vitalità e morte. Lo farà, o cercherà di farlo senza giudicare, perché se è vero che il cinema deve raccontare il mondo, il nostro, di mondo, non ha né buoni né cattivi, ma solo uomini e donne perennemente alle prese con l’esistenza che gli è toccato di vivere. E ci stupisce sempre che, per quanto quest’esistenza possa essere terribile e dolorosa, ognuno di noi ne resti attaccato, con quell’istinto animale, che ci fa essere ineluttabilmente parte della terra.

da qui

 

Il cinema di Pisanu sembra arrivare dal Sud Corea di Kim Ki-duk, sa anche di noir dal ritmo rarefatto, grazie all’apporto del sound designer e delle musiche di Riccardo Gasperini. E’ soprattutto un cinema contro tutto e contro tutti, in primis contro certe consuetudini cinematografiche, come se fosse obbligatorio compiacere lo spettatore medio oppure accalappiarlo con furbizie e strizzatine d’occhio. Il regista nel ritrarre il protagonista, una sfinge impenetrabile, interpretato con durezza da Orlando Ercole Angius, pare aver introiettato la lezione dei noir francesi di Melville. Il rapporto di ruvida amicizia con l’amico Pietro (Alessandro Gazale) è all’insegna della diffidenza ben celata e dei sogni infranti esposti attraverso dei dialoghi che sono degli haiku di dolore. La ricerca del sacro, apparentemente casuale (la fissità di una madonnina e un rosario improvvisato), rientra nel cammino di perdizione/redenzione. Nella descrizione degli ambienti, oltre il cinema sud coreano citato e si potrebbe proseguire con i richiami, emerge una sostanziale urgenza di far vedere (e Mario Piredda con “L’ Agnello” lo aveva già fatto) un’altra isola. Non venite in Sardegna, non c’è niente da visitare né da saccheggiare. Pianto, stridor di denti e regolamenti di conti vigono anche nella nostra amara terra.

da qui

 


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