come in Honor de cavalleria, gli attori che interpretano Quijote e Sancho sono ancora qui, questa volta sono due dei tre re magi.
anche stavolta la storia è minima, tre sfigati re magi che si trascinano nel mondo per portare i doni a un bambino speciale e la sacra famiglia abbandonata in una casetta nel deserto (aspettando il niente?).
poi dovranno fuggire e i tre magi vagheranno nella natura soffrendo e sognando qualcosa che chissà se esiste.
un bel film, che merita molto.
astenersi devoti dei film a cento all'ora di Tarantino et similia, ma non è detto, la bellezza non ha tachimetro.
buona (lenta e staordinaria) visione - Ismaele
El cant
dels ocells (2008), fra i tre film finora diretti dal regista
catalano Albert Serra, è
l’opera più celebrata, uno dei più importanti esperimenti estetici degli anni
’00. Nel film di Serra convivono l’evidenza del b/n più purista, l’enigmaticità
della trama e la definizione di inquadrature, che fungono da tableau vivant,
tali da determinare nello spettatore uno stato di visione estatica, vicino alla
contemplazione del Divino.
L’intenzione radicale di Serra rende il suo cinema
focalizzato sue due estreme volontà: la prima è quella di un’ambizione
smisurata, tale da avvicinarlo ai grandi classici della Storia del cinema (Dreyer, Bresson)
la seconda è relativa allo straordinario sentimento di umiltà del suo
sguardo. Nel cinema di Serra, e in El cant dels ocells questo lo si può vedere
in tutta la sua potente libertà espressiva), non c’è alcun intento punitivo,
come si vede nei cinema di Michael
Haneke o Bela Tarr.
Lo sguardo di Serra plana pacatamente sui volti di attori quasi ignari di
essere inquadrati, rasentando uno stato di sublime aderenza alle figure
immaginifiche, da lascia allo spettatore una libertà di giudizio e di movimento
all’interno dell’inquadratura, che hanno dello stupefacente.
La visione è ardua, la fatica della visione rientra
nell’ambito di uno snobismo di fondo, tale da rendere il cinema di Serra adatto
ad un pubblico estremamente selettivo, ma se anche lo spettatore
comune dovesse, per caso, imbattersi nell’arte figurativa di El cant dels
ocells, potrebbe rendersi conto di trovarsi di fronte ad un tesoro
inestimabile. Ne El cant dels ocells il tempo della visione entra in una
dimensione di saturazione dove gli elementi della scenografia, assolutamente
spartani, tendono a costruire delle distanze tra i personaggi, tali da far
assomigliare l’inquadratura ad una sinfonia dove le voci si alternano in una
composizione di eterno onirismo.
Il nuovo cinema digitale nasce con Albert Serra, uno dei
pochi cineasti in circolazione capaci di instaurare un rapporto biunivoco tra
la forma cinema e il pensiero multiforme dello spettatore. Serra fa respirare
un nuovo tipo di sguardo, dove l’occhio inquadra una sinfonia visiva, che si
colloca in una silenziosa estetica ascendente, derivata da un
onirismo che fa del reale un approdo alla nuova sostanza del visivo
contemporaneo. Il cinema come ripiegamento verso l’abisso della visione.
…Bloccarsi. Rallentati dal loro stesso
peso. Ai tre Re Magi non è concesso perdersi all'Orizzonte, sarebbe un
privilegio per anime celesti, vergini, attive, con voglia di esplorazione. Non
per umili servi, per pesanti "schiavi" della vita. Ecco quindi
rappresentato l'Uomo in tutto il suo apatico destino. Melancholia di vite
prefissate, programmate. Nemmeno l'Oscurità è stimolante - non c'è
"ricerca" -, ma, semplicemente, rallenta e basta, appesantisce
maggiormente, ritarda il traguardo, posticipa l'arrivo, il raggiungimento
dell'obiettivo prestabilito. C'è un pessimismo quasi archetipale in questa
favola rielaborata ; un annaspamento scarnificato, ridotto all'osso, vero,
fisico. Il Reale estrapolato, distillato. Spenti, come probabilmente è spenta
la stella cometa che guida i tre protagonisti. La Bellezza sta proprio nella
contemplazione di questo grigiore. L'Umanità è anche questo: il Reale, quello
nascosto tra un capitolo e l'altro della storia del mondo, quello dissimulato.
El Cants dels Ocells raffigura anche l'aspettativa di un'umanità pigra, che
attende il cambiamento che non avverrà. Cercando qualche (forzato) parallelismo
cinematografico si potrebbe dire che l'opera di Albert Serra è una sorta di Il
Cavallo di Torino più storico e meno apocalittico - meno definitivo. Quindi, un
film sulla vacuità dell'attesa e, anche, sull'inerzia di raggiungere la meta
prefissata, avanzare senza sentimento, camminando meccanicamente. Ricostruzione
contemplativa. I tre re magi hanno un aspetto, un non-fascino, che si allontana
dal trascendentale , approdando verso una dimensione più umana, comune,
corporea (vecchiaia, obesità), quasi pittorica - nello specifico
"botteriana". Paradossalmente, in queste Immagini, lo spettatore non
riesce comunque ad Identificarsi : i film di Albert Serra non sono specchi per
il pubblico, non avviene alcuna immedesimazione spettatoriale ; sono opere
stranianti, alienanti. Per i tre Re Magi non c'è tempo per gli ossequi, per
godersi il piacere dell'arrivo. La vita è un avanzare e basta, senza premi.
Bisogna ripartire per l'Egitto, subito. Nemmeno la tanta agognata meta si
lascia assaporare. Tutto sfugge. Ecco che bisogna ripartire, affrontare un
altro capitolo identico. Arrancare, ancora - non si ha nemmeno la forza e la
determinazione per tornare al punto di partenza, anzi, non si torna più
indietro, schiavi della vita, del deserto. L'unico simbolo di tranquillità e
pace è rappresentato da un angelo, da una figura femminile angelica, elemento
palesemente ultraterreno, di conseguenza questo equilibrio primigenio e questa
perfezione estetica sono rappresentati dal trascendentale, non dall'elemento
terreno, non dall'umano [di nuovo non c'è identificazione]. L'unico modo per evadere
da questa spenta e fatiscente realtà sembrerebbe sognare. Per far sì che ci si
possa allontanare da questa svogliatezza e deformità esistenziali, si approda
nel sogno, in cui uomini saltano da una nuvola all'altra. Nei sogni si trova la
Totalità : il bene (l'angelo) e il male (il serpente) ; nella realtà non c'è
nell'uno nell'altro, ma solo una tremenda indifferenza e apatia - sabbia,
pioggia e desolazione. Ecco che si ritorna ai movimenti goffi, insicuri,
timorosi, dubbiosi, stanchi, lenti. Forse il vero ritorno alle origini, al
primordiale - il vero punto di partenza. Grigiore. El Cants dels Ocells è
un'opera ipnotica, contemplativa e affascinante. Un quadro che si muove
lentamente. Le aspettative del racconto classico vengono stravolte, distrutte in
virtù della magia cinematografica ; ecco il Cinema, l'anarchia artistica,
l'innovazione nel tradizionale. Intrusioni di spontaneità filmica, l'invasione
da parte del Magico.
For his second film, Albert Serra took inspiration in a traditional Catalan
Christmas song ‘El cant dels ocells’. The film accompanies the Three Wise Kings
on a search for the newborn baby Jesus and their journey takes on epic
proportions as they meander along the desert-like terrain with fortitude and
stoicism.
Partly shot in the mountains of Iceland, partly in the interior of the
Canary Islands, Birdsong is risky and adventurous in both
visual and narrative terms. Breathtaking landscapes and an especially memorable
underwater scene accompany Serra’s play with this sacred tale, invigorating the
story with new life and meaning.
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