tutto è concretamente reale, nel film, Sancho sembra un po' scemo, ma è solo uno introverso, che si sacrifica per il padre-padrone, pende dalle sue parole.
un film diverso dal solito, con una trama che non esiste, te la fai tu - Ismaele
…Un
film privo di trama, sceneggiatura e attori professionisti, che procede in
maniera beckettiana, come una rappresentazione impalpabile dell'esistenza di un
visionario. Il Quixote di Serra parla di alberi, insetti, della fatica e dei
temporali, trovando nella semplicità del quotidiano il senso ultimo di un
viaggio, di cui comprendiamo il sinistro esito cammin facendo, man mano che
l'hidalgo e il suo scudiero imparano a comprendersi e a capire di non poter
fare a meno l'uno dell'altro.
Per Serra, Honor de Cavalleria è l'inizio di un percorso negli interstizi del mito, negli angoli che nessuno rischiara ma in cui è facile trovare gli indizi più rilevanti. Con Quixote, il regista sceglie il re dei perdenti e il più lucido dei pessimisti. Una figura in sé crepuscolare, di malinconia e di morte, di passaggio di un'epoca, di tramonto di un'era. Che non a caso il regista ama girare proprio al calar del sole, quando le figure di Sancho e del Don si fanno buie e confuse, ai limiti dell'intelligibilità.
Honor de Cavalleria infatti non solo è girato in esterni e in presa diretta, ma in un digitale volutamente povero e poco leggibile. Quasi Serra voglia confondere il limite tra realtà e immaginazione, ossia aiutarci a guardare il mondo attraverso gli occhi di Don Quixote.
Il digitale, con la sua bassa fedeltà, acquisisce così una valenza duplice. Di giorno sembra di assistere a un documentario sulla quotidianità di Quixote e Sancho, dove di notte il senso di vaghezza soverchiante avvicina a quel sentore di morte che accompagna costantemente il cavaliere sognatore…
Per Serra, Honor de Cavalleria è l'inizio di un percorso negli interstizi del mito, negli angoli che nessuno rischiara ma in cui è facile trovare gli indizi più rilevanti. Con Quixote, il regista sceglie il re dei perdenti e il più lucido dei pessimisti. Una figura in sé crepuscolare, di malinconia e di morte, di passaggio di un'epoca, di tramonto di un'era. Che non a caso il regista ama girare proprio al calar del sole, quando le figure di Sancho e del Don si fanno buie e confuse, ai limiti dell'intelligibilità.
Honor de Cavalleria infatti non solo è girato in esterni e in presa diretta, ma in un digitale volutamente povero e poco leggibile. Quasi Serra voglia confondere il limite tra realtà e immaginazione, ossia aiutarci a guardare il mondo attraverso gli occhi di Don Quixote.
Il digitale, con la sua bassa fedeltà, acquisisce così una valenza duplice. Di giorno sembra di assistere a un documentario sulla quotidianità di Quixote e Sancho, dove di notte il senso di vaghezza soverchiante avvicina a quel sentore di morte che accompagna costantemente il cavaliere sognatore…
…La película llamó la atención de la crítica y los
programadores de festivales. De algunos, claro. Otros la rechazaron
violentamente: el cine radical provoca enojos aunque la clave de una película
como esta es la simplicidad absoluta. Serra se propuso nada más que instalar
unos pasajes de El Quijote en
el campo catalán y hacerle jugar los papeles del Quijote y Sancho a dos tipos
comunes de su pueblo. El resultado es uno de los films más poéticos —y al mismo
tiempo más en prosa— del cine contemporáneo. Esa es una de las capacidades
secretas del cine: ser para la literatura no una ilustración sino un
complemento, una extensión que la mantiene viva. No es que los actores vayan a
encarnar físicamente a los personajes y hacerlos visualmente inolvidables, ni
que los diálogos revivan para el oído el estilo del original. Se trata de otra
cosa: la creación de un espacio en el que la obra puede renacer en tiempo
presente sin dejar de nutrirse de la materialidad del pasado literario…
,,,El film tampoco tiene buena fotografía (ha sido
iluminado por el sol, pero en sentido estricto: a la buena de Dios, como si el
astro rey fuera su director de fotografía… y cuando el sol se apaga –cosa que ocurre
muchas veces, porque abundan los crepúsculos– ya no se ve casi nada), ni ha
sido bien rodado (la cámara en mano se mueve sin ton ni son, como en las
filmaciones hogareñas, y campean los desenfoques).
¿Estamos ante el producto de un imbécil que sólo intenta decirnos que el
Quijote era un imbécil? Ay, yo no sé. He buscado y rebuscado en Internet, en
críticas, en reportajes y en declaraciones del realizador, a ver si aparecían
las ideas, la inteligencia o la poesía ocultas, tan ocultas que se me escapaban
por completo, detrás de esta película de 100 minutos a la que a la media hora
yo ya le perdonaba todo, absolutamente todo, con tal que terminase lo antes
posible. Pero no aparecieron. Lo que sí encontré son renovadas pruebas de un
sistema perverso, constituido por funcionarios, "cineastas" y
"expertos" que confunden mediocridad artística con independencia
artística, y lo hacen con tanto ahínco que logran instalar engendros como éste
en las competencias oficiales de festivales internacionales como el de Mar del
Plata.
…La decodifica dello
stile di Albert Serra serve ad entrare all’interno di un mondo visivo
sconosciuto e affascinante. Per quanto Honor de cavalleria sia un film di una
lentezza quasi esasperante, la composizione delle inquadrature fa pesnare che
il cineasta catalano sia un artista onesto e spregiudicato. Serra organizza le
sequenze in quadri autonomi dove l’azione è limitata alla registrazione del
gesto quotidiano. Gli unici movimenti servono ad adombrare il carattere di ogni
personaggio. Nel suo cinema il silenzio è d’oro. Di fatto, nei suoi film, il
sound design è un’opera d’arte a se stante. La presa diretta istallata su
immagini magicamente evocative da l’impressione di essere entrati in un’altra
dimensione, l’arte di Serra è la totale mise-en-abime di luoghi e corpi dove il
linguaggio viene adoperato come corollario stratificato di emozioni
indescrivibili.
… La vera novità di questo film, coraggioso e meditativo,
sta nell’uso delle riprese digitali, tutte in esterni, con luce naturale, senza
scenografie.
Albert Serra dimentica gli effetti speciali e le
ambientazioni urbane, comuni tra i registi della sua generazione, si rivolge al
passato letterario e crea un film, per sua stessa definizione “atmosferico”, in
cui dominano i paesaggi: “Il tema non è interessante, le avventure non sono
interessanti, quindi dov’è la sostanza? In tutto quello che non si vede, che
non è apparente, cioè, l’atmosfera e la quotidianità“.
E in effetti l’immediatezza dei dialoghi, e la semplicità
dei gesti, in qualche sequenza ripetuti ossessivamente, sono i punti di forza
della scenggiatura.
Il film è stato girato in quindici giorni, nel mese di
agosto del 2005, a Sant Clement, in Catalogna, con tre camere digitali e attori
non professionisti, tra i quali spicca Lluís Carbó: un Chisciotte teneramente
pazzo, che tuttavia non potrebbe esistere senza il rotondo Lluís Serrat, un
silenzioso e incisivo Sancho Panza.
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