scopre subito dopo aver fatto il suo dovere che è entrato in un tunnel di cui non si vede la fine.
solo lui crede che quello è il migliore dei mondi possibili e tutto andrà per il verso giusto.
Clint Eastwood mostra come ciascuno sia un vaso di coccio tra i vasi di ferro, e come l'arrivismo, il protagonismo, la burocrazia siano dei peccati dannosi, come la stampa (solo quella brutta, naturalmente).
a ciascuno di noi può capitare quello che è successo a Richard, e se non avremo l'avvocato giusto saremo messi male.
piccola storia ignobile per un gran film, non perdetevelo - Ismaele
…Le scene che
precedono il ritrovamento della bomba, durante il concerto dei Jack Mack, sono
di pura maestria: ritmo, tempi, inquadrature, montaggio, commento sonoro,
l’opera di un regista in stato di grazia che crea un meccanismo di suspense a
dir poco magistrale. È una storia che prende le mosse da un attentato, con
l’esplosione di una bomba: sappiamo benissimo cosa sta per accadere. Eppure,
sullo schermo la tensione è alle stelle, il fiato sospeso.
Richard Jewell è
ovviamente un film politico, anche se l’immagine di Clinton fa una comparsata
solo di sfuggita e la matrice cristiana e ultra-destrorsa dell’attentato non è
nemmeno accennata. Il dito è puntato contro l’inattendibilità dei media,
cavallo di battaglia della demagogia trumpiana. Nonostante questo, il regista
sembra mettere in scena una parabola morale, trasversale rispetto alle
amministrazioni: al centro c’è la fragilità del singolo contro le architetture
del potere statale e dei media. «Il potere della burocrazia continua a crescere
mentre il pianeta si restringe e i problemi della società diventano più
complessi. Ho paura che l’indipendenza individuale stia diventando un sogno
obsoleto»: così Clint Eastwood in un’intervista del 1984…
… Richard
Jewell, come prodotto in sé, è un’opera molto lontana dall’essere
sperimentale ed innovativa (si tratta di un biopic dal taglio classico);
ciononostante, la regia di Eastwood è da manuale perché, sia nelle scene
d’azione che nei frangenti più rilevanti dal punto di vista drammaturgico, la
macchina da presa è sempre al servizio della storia che sta raccontando;
inoltre, grazie al montaggio di Joel Cox (storico
collaboratore dell’autore californiano), il lungometraggio non ha mai tempi
morti, riuscendo a coinvolgere dall’inizio alla fine.
Merito dell’ottima
riuscita del film però va anche al prestigioso cast coinvolto nel progetto: la
scelta di Paul Walter Hauser (diventato famoso grazie al
surreale personaggio di Shawn Eckhardt in Tonya di Craig
Gillespie) nel ruolo di Richard Jewell è assolutamente perfetta e, oltre alla
convincente prova da villain di Jon Hamm (nei panni del
subdolo agente dell’FBI Tom Shaw), a rubare la scena sono indubbiamente Sam
Rockwell (che impersona l’avvocato di Jewell, Watson Bryant) e Kathy
Bates (la sua performance le è valsa la nomination come Miglior
Attrice Non Protagonista agli Oscar di quest’anno). La caratterizzazione della
figura della giornalista Kathy Scruggs, interpretata dalla bravissima Olivia
Wilde, è stata invece oggetto di aspre critiche (lanciate
principalmente dall’editor-in-chief del giornale in cui lavorava la
Scruggs, l’Atlanta Journal-Constitution); la stessa attrice ha però risposto
difendendo strenuamente la pellicola, parlando di “doppio standard” riguardo al sessismo.
L’ultima fatica di
Eastwood, che vede come produttori anche Leonardo DiCaprio e Jonah
Hill, è la dimostrazione di come una straordinaria icona del grande
schermo, nonostante la sua veneranda età, possa ancora dare un notevole
contributo al cinema mondiale; Richard Jewell, con la sua
forza narrativa e visiva, è un lungometraggio capace di sensibilizzare il
pubblico più eterogeneo su tematiche sensibili (come l’abuso di potere delle
forze dell’ordine e lo storytelling nella comunicazione) che riguardano da
vicino la società occidentale odierna.
…Con uno
stile pulito, schietto e pratico, grazie anche al montaggio di Joel
Cox, Eastwood e Hauser pongono il pubblico nei panni dei cittadini
americani. Una delle principali caratteristiche di Eastwood è la capacità
di coinvolgere lo spettatore, di emozionarlo, di farlo sentire parte della
storia che sta raccontando.
Non cede mai alla
retorica né al buonismo facile e guida lo spettatore a capire Jewell con la
stessa minuzia, ma di condanna, dei suoi aguzzini, quindi sulla base di
pregiudizi estrapolati dai suo profilo e dai suoi comportamenti: si tratta di
un trentenne obeso che vive con la mamma, “anch’io sono le forze dell’ordine”,
dice agli agenti che lo stanno indagando, o provano a incastrarlo mentre
brancolano nel buio, come un potenziale terrorista, con una condiscendenza che
sarebbe comica se non fosse patetica…
…applausi anche al piglio sardonico con cui Sam
Rockwell interpreta l’avvocato Watson Bryan, un tipo autarchico i cui metodi
sfidano il sistema e, talvolta, i suoi stessi clienti. Jewell è spesso il
peggior nemico di se stesso, ossequioso nei confronti degli adorati poliziotti
anche quando sono lì per distruggerlo. «Vogliono mangiarti vivo», gli dice
Bryant, che chiede a Jewell se è pronto a lottare. Lo sguardo quasi disgustato
che si legge sul volto di Hauser quando Richard decide finalmente di combattere
è commovente, al pari del momento in cui, nel 2003, viene a sapere che gli
agenti hanno catturato il vero colpevole. Peccato che Jewell, morto di arresto
cardiaco nel 2007, non sia vissuto abbastanza per vedere il film di Eastwood.
L’avrebbe reso felice.
…C’è un po’ di Eastwood in Richard
Jewell? Forse sì, perché l’eroe che ci presenta questa volta, interpretato
da Paul Walter Hauser, è un uomo comune, anzi, un uomo
invisibile ma con dei tratti che potremmo definire “machisti”. Innocente, non
ingenuo; entusiasta ma ossessivo in una forma quasi patologica. Un uomo
sovrappeso, che a più di trent’anni vive con la madre, fedele alla legge e
all’ordine come ogni buon conservatore, talvolta con accenti quasi autistici.
Un uomo che crede nel potere della divisa, anche se il suo futuro legale Watson
Bryant (Sam Rockwell), all’inizio della storia lo ammonisce di
non diventare uno “stronzo” una volta che ne indosserà una; che risponde
continuamente “Yes, sir”, così abituato ad essere schernito
da aver sviluppato una propensione all’attenzione e alla gentilezza che
manifesta attraverso piccole accortezze e regali, dallo snack alla lattina di
cola, per essere accettato. Il rapporto con la madre Bobi (Kathy Bates)
è carico di affetto e comprensione. Lei incarna quel supporto ostinato tipico
di chi ha ricevuto poco dalla vita e ha imparato a farselo bastare. Un
ottimismo forzato, forse semplicemente una focalizzazione al quotidiano, ma non
senza speranza. Ed è proprio qui che Eastwood innesta la tragedia. Può un uomo
del genere essere un eroe? Non potrebbe al contrario essere colpevole?...
…Richard
Jewell se une como una crítica bien estructurada e hilada sobre lo
arbitrario de los juicios mediáticos. El mal uso de los prejuicios ante
situaciones como el terrorismo. Eastwood critica
el autoritarismo de las agencias del orden a la hora de tratar de encarcelar a
un sospechoso. Porque la película muestra como, careciendo de cualquier prueba
y vulnerando sus derechos constitucionales, buscan cerrar el caso con el menor
esfuerzo.
En un país dónde es habitual que la policía abata a
tiros a un sospechoso por el mero hecho de su color de piel, es importante
recordar que nadie está a salvo de los abusos de poder y que luchar por el
estado de derecho y la presunción de inocencia, son dos de los pilares más
importantes a la hora de construir una sociedad mejor. Desde la óptica
conservadora de Clint Eastwood se
construye y plantea Richard Jewell presentando
un conjunto dramático, articulado y responsable. Sin duda un Clint Eastwood mayor…
…Sgombriamo
il campo da possibili equivoci. Richard Jewell non è un lungometraggio politico. Ci si potrà sforzare
a lungo nel cercare un atto d’accusa verso questa o quella parte (il
democratico Bill Clinton, che compare brevemente in video, era Presidente degli
Stati Uniti, all’epoca) ma l’intento principale di Eastwood risiede chiaramente
altrove. Nella cristallina volontà di realizzare un’opera definitiva sul senso
dell’etica. Un valore già al tempo in progressivo disfacimento e adesso giunto
a livelli di quasi totale insussistenza anche per demerito della rete e i vari
social che la popolano. Quella di Eastwood è una lezione morale “dal basso”,
cioè mai cattedratica. La stessa di un essere umano che ha vissuto la vita e ne
riconosce appieno l’incontrovertibile complessità. Che si annida, come sempre,
in dettagli capaci di fare la differenza. La stessa che c’è tra compiere il
proprio dovere e cercare il successo a tutti i costi. Con l’agenzia di indagine
governativa che vorrebbe chiudere il caso nel più breve tempo possibile – e
Richard paradossalmente ne ammira le dinamiche, anche se vanno contro se stesso
– e la bella giornalista Kathy Scruggs (Olivia Wilde) dell’Atlanta Journal a
montare il caso per conquistare fama e gloria. In tempi di #metoo una scelta
controcorrente, anche se Eastwood offre al personaggio una tardiva presa di
coscienza.
Ed è quindi con l’evolversi della trama – accurato lo script di Billy Ray – che Richard Jewell riporta giustamente tutti i suoi sottotesti teorici ad una dimensione squisitamente umana ed umanista, così tipica del suo autore. Impossibile non empatizzare in toto con le sofferenze del protagonista (bravissimo il poco noto caratterista Paul Walter Hauser, scelto per la sua somiglianza con il vero Richard Jewell), nonostante caratteristiche tutt’altro che condivisibili in senso assoluto. Se Eastwood si conferma una volta di più abilissimo direttore di interpreti (Sam Rockwell e Jon Hamm, tra gli altri. Ma la vera fuoriclasse è Kathy Bates nella commovente parte della mamma di Richard) si può tranquillamente affermare che Richard Jewell rappresenta un ulteriore tassello alla lettura critica di una filmografia che ha del miracoloso, per come è costantemente riuscita ad equilibrare contenuti ed emozioni. Il Cinema secondo Clint Eastwood, Clint Eastwood che plasma la Settima Arte in modo apparentemente impercettibile ma sostanziale.
Ed è quindi con l’evolversi della trama – accurato lo script di Billy Ray – che Richard Jewell riporta giustamente tutti i suoi sottotesti teorici ad una dimensione squisitamente umana ed umanista, così tipica del suo autore. Impossibile non empatizzare in toto con le sofferenze del protagonista (bravissimo il poco noto caratterista Paul Walter Hauser, scelto per la sua somiglianza con il vero Richard Jewell), nonostante caratteristiche tutt’altro che condivisibili in senso assoluto. Se Eastwood si conferma una volta di più abilissimo direttore di interpreti (Sam Rockwell e Jon Hamm, tra gli altri. Ma la vera fuoriclasse è Kathy Bates nella commovente parte della mamma di Richard) si può tranquillamente affermare che Richard Jewell rappresenta un ulteriore tassello alla lettura critica di una filmografia che ha del miracoloso, per come è costantemente riuscita ad equilibrare contenuti ed emozioni. Il Cinema secondo Clint Eastwood, Clint Eastwood che plasma la Settima Arte in modo apparentemente impercettibile ma sostanziale.
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