lunedì 3 febbraio 2020

Richard Jewell - Clint Eastwood

Richard è un ingenuo credulone che crede fino al midollo che chi fa il suo dovere sarà tranquillo, e magari avrà un premio, anche questo è il sogno americano.
scopre subito dopo aver fatto il suo dovere che è entrato in un tunnel di cui non si vede la fine.
solo lui crede che quello è il migliore dei mondi possibili e tutto andrà per il verso giusto.
Clint Eastwood mostra come ciascuno sia un vaso di coccio tra i vasi di ferro, e come l'arrivismo, il protagonismo, la burocrazia siano dei peccati dannosi, come la stampa (solo quella brutta, naturalmente).
a ciascuno di noi può capitare quello che è successo a Richard, e se non avremo l'avvocato giusto saremo messi male.
piccola storia ignobile per un gran film, non perdetevelo - Ismaele



qui l'articolo di Vanity Fair del 1997 che racconta la storia di Richard Jewell


…Le scene che precedono il ritrovamento della bomba, durante il concerto dei Jack Mack, sono di pura maestria: ritmo, tempi, inquadrature, montaggio, commento sonoro, l’opera di un regista in stato di grazia che crea un meccanismo di suspense a dir poco magistrale. È una storia che prende le mosse da un attentato, con l’esplosione di una bomba: sappiamo benissimo cosa sta per accadere. Eppure, sullo schermo la tensione è alle stelle, il fiato sospeso.
Richard Jewell è ovviamente un film politico, anche se l’immagine di Clinton fa una comparsata solo di sfuggita e la matrice cristiana e ultra-destrorsa dell’attentato non è nemmeno accennata. Il dito è puntato contro l’inattendibilità dei media, cavallo di battaglia della demagogia trumpiana. Nonostante questo, il regista sembra mettere in scena una parabola morale, trasversale rispetto alle amministrazioni: al centro c’è la fragilità del singolo contro le architetture del potere statale e dei media. «Il potere della burocrazia continua a crescere mentre il pianeta si restringe e i problemi della società diventano più complessi. Ho paura che l’indipendenza individuale stia diventando un sogno obsoleto»: così Clint Eastwood in un’intervista del 1984…

Richard Jewell, come prodotto in sé, è un’opera molto lontana dall’essere sperimentale ed innovativa (si tratta di un biopic dal taglio classico); ciononostante, la regia di Eastwood è da manuale perché, sia nelle scene d’azione che nei frangenti più rilevanti dal punto di vista drammaturgico, la macchina da presa è sempre al servizio della storia che sta raccontando; inoltre, grazie al montaggio di Joel Cox (storico collaboratore dell’autore californiano), il lungometraggio non ha mai tempi morti, riuscendo a coinvolgere dall’inizio alla fine.
Merito dell’ottima riuscita del film però va anche al prestigioso cast coinvolto nel progetto: la scelta di Paul Walter Hauser (diventato famoso grazie al surreale personaggio di Shawn Eckhardt in Tonya di Craig Gillespie) nel ruolo di Richard Jewell è assolutamente perfetta e, oltre alla convincente prova da villain di Jon Hamm (nei panni del subdolo agente dell’FBI Tom Shaw), a rubare la scena sono indubbiamente Sam Rockwell (che impersona l’avvocato di Jewell, Watson Bryant) e Kathy Bates (la sua performance le è valsa la nomination come Miglior Attrice Non Protagonista agli Oscar di quest’anno). La caratterizzazione della figura della giornalista Kathy Scruggs, interpretata dalla bravissima Olivia Wilde, è stata invece oggetto di aspre critiche (lanciate principalmente dall’editor-in-chief del giornale in cui lavorava la Scruggs, l’Atlanta Journal-Constitution); la stessa attrice ha però risposto difendendo strenuamente la pellicola, parlando di “doppio standard” riguardo al sessismo.
L’ultima fatica di Eastwood, che vede come produttori anche Leonardo DiCaprio e Jonah Hill, è la dimostrazione di come una straordinaria icona del grande schermo, nonostante la sua veneranda età, possa ancora dare un notevole contributo al cinema mondiale; Richard Jewell, con la sua forza narrativa e visiva, è un lungometraggio capace di sensibilizzare il pubblico più eterogeneo su tematiche sensibili (come l’abuso di potere delle forze dell’ordine e lo storytelling nella comunicazione) che riguardano da vicino la società occidentale odierna.

…Con uno stile pulito, schietto e pratico, grazie anche al montaggio di Joel Cox, Eastwood e Hauser pongono il pubblico nei panni dei cittadini americani. Una delle principali caratteristiche di Eastwood è la capacità di coinvolgere lo spettatore, di emozionarlo, di farlo sentire parte della storia che sta raccontando.
Non cede mai alla retorica né al buonismo facile e guida lo spettatore a capire Jewell con la stessa minuzia, ma di condanna, dei suoi aguzzini, quindi sulla base di pregiudizi estrapolati dai suo profilo e dai suoi comportamenti: si tratta di un trentenne obeso che vive con la mamma, “anch’io sono le forze dell’ordine”, dice agli agenti che lo stanno indagando, o provano a incastrarlo mentre brancolano nel buio, come un potenziale terrorista, con una condiscendenza che sarebbe comica se non fosse patetica…

applausi anche al piglio sardonico con cui Sam Rockwell interpreta l’avvocato Watson Bryan, un tipo autarchico i cui metodi sfidano il sistema e, talvolta, i suoi stessi clienti. Jewell è spesso il peggior nemico di se stesso, ossequioso nei confronti degli adorati poliziotti anche quando sono lì per distruggerlo. «Vogliono mangiarti vivo», gli dice Bryant, che chiede a Jewell se è pronto a lottare. Lo sguardo quasi disgustato che si legge sul volto di Hauser quando Richard decide finalmente di combattere è commovente, al pari del momento in cui, nel 2003, viene a sapere che gli agenti hanno catturato il vero colpevole. Peccato che Jewell, morto di arresto cardiaco nel 2007, non sia vissuto abbastanza per vedere il film di Eastwood. L’avrebbe reso felice.

C’è un po’ di Eastwood in Richard Jewell? Forse sì, perché l’eroe che ci presenta questa volta, interpretato da Paul Walter Hauser, è un uomo comune, anzi, un uomo invisibile ma con dei tratti che potremmo definire “machisti”. Innocente, non ingenuo; entusiasta ma ossessivo in una forma quasi patologica. Un uomo sovrappeso, che a più di trent’anni vive con la madre, fedele alla legge e all’ordine come ogni buon conservatore, talvolta con accenti quasi autistici. Un uomo che crede nel potere della divisa, anche se il suo futuro legale Watson Bryant (Sam Rockwell), all’inizio della storia lo ammonisce di non diventare uno “stronzo” una volta che ne indosserà una; che risponde continuamente “Yes, sir”, così abituato ad essere schernito da aver sviluppato una propensione all’attenzione e alla gentilezza che manifesta attraverso piccole accortezze e regali, dallo snack alla lattina di cola, per essere accettato. Il rapporto con la madre Bobi (Kathy Bates) è carico di affetto e comprensione. Lei incarna quel supporto ostinato tipico di chi ha ricevuto poco dalla vita e ha imparato a farselo bastare. Un ottimismo forzato, forse semplicemente una focalizzazione al quotidiano, ma non senza speranza. Ed è proprio qui che Eastwood innesta la tragedia. Può un uomo del genere essere un eroe? Non potrebbe al contrario essere colpevole?...

Richard Jewell se une como una crítica bien estructurada e hilada sobre lo arbitrario de los juicios mediáticos. El mal uso de los prejuicios ante situaciones como el terrorismo. Eastwood critica el autoritarismo de las agencias del orden a la hora de tratar de encarcelar a un sospechoso. Porque la película muestra como, careciendo de cualquier prueba y vulnerando sus derechos constitucionales, buscan cerrar el caso con el menor esfuerzo.
En un país dónde es habitual que la policía abata a tiros a un sospechoso por el mero hecho de su color de piel, es importante recordar que nadie está a salvo de los abusos de poder y que luchar por el estado de derecho y la presunción de inocencia, son dos de los pilares más importantes a la hora de construir una sociedad mejor. Desde la óptica conservadora de Clint Eastwood se construye y plantea Richard Jewell presentando un conjunto dramático, articulado y responsable. Sin duda un Clint Eastwood mayor…

…Sgombriamo il campo da possibili equivoci. Richard Jewell non è un lungometraggio politico. Ci si potrà sforzare a lungo nel cercare un atto d’accusa verso questa o quella parte (il democratico Bill Clinton, che compare brevemente in video, era Presidente degli Stati Uniti, all’epoca) ma l’intento principale di Eastwood risiede chiaramente altrove. Nella cristallina volontà di realizzare un’opera definitiva sul senso dell’etica. Un valore già al tempo in progressivo disfacimento e adesso giunto a livelli di quasi totale insussistenza anche per demerito della rete e i vari social che la popolano. Quella di Eastwood è una lezione morale “dal basso”, cioè mai cattedratica. La stessa di un essere umano che ha vissuto la vita e ne riconosce appieno l’incontrovertibile complessità. Che si annida, come sempre, in dettagli capaci di fare la differenza. La stessa che c’è tra compiere il proprio dovere e cercare il successo a tutti i costi. Con l’agenzia di indagine governativa che vorrebbe chiudere il caso nel più breve tempo possibile – e Richard paradossalmente ne ammira le dinamiche, anche se vanno contro se stesso – e la bella giornalista Kathy Scruggs (Olivia Wilde) dell’Atlanta Journal a montare il caso per conquistare fama e gloria. In tempi di #metoo una scelta controcorrente, anche se Eastwood offre al personaggio una tardiva presa di coscienza.
Ed è quindi con l’evolversi della trama – accurato lo script di Billy Ray – che Richard Jewell riporta giustamente tutti i suoi sottotesti teorici ad una dimensione squisitamente umana ed umanista, così tipica del suo autore. Impossibile non empatizzare in toto con le sofferenze del protagonista (bravissimo il poco noto caratterista Paul Walter Hauser, scelto per la sua somiglianza con il vero Richard Jewell), nonostante caratteristiche tutt’altro che condivisibili in senso assoluto. Se Eastwood si conferma una volta di più abilissimo direttore di interpreti (Sam Rockwell e Jon Hamm, tra gli altri. Ma la vera fuoriclasse è Kathy Bates nella commovente parte della mamma di Richard) si può tranquillamente affermare che Richard Jewell rappresenta un ulteriore tassello alla lettura critica di una filmografia che ha del miracoloso, per come è costantemente riuscita ad equilibrare contenuti ed emozioni. Il Cinema secondo Clint Eastwood, Clint Eastwood che plasma la Settima Arte in modo apparentemente impercettibile ma sostanziale.

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