mercoledì 26 febbraio 2020

L'hotel degli amori smarriti (Chambre 212) - Christophe Honoré

se qualcuno non sa cosa vuol dire vedere un film francese, L'hotel degli amori smarriti è davvero quello.
la storia, gli attori diretti benissimo, il suo essere un film reale/surreale, senza effetti speciali, è proprio quello che si vede sullo schermo.
Chiara Mastroianni (vincitrice di un premio a Cannes) è davvero brava, sempre più somigliante al padre.
di cosa parla il film lo vedrai, sappi che un po' (molto o poco, dipende) riguarda tutti noi, nessuno si senta escluso.
buona visione - Ismaele






…Tra situazioni anche divertenti tutte giocate sul filo del paradosso temporale e memoriale, L’hotel degli amori smarriti conduce in realtà un discorso nient’affatto banale sulla fatica del sacrificio e delle rinunce, e sul desiderio universale, più o meno sottaciuto e disperatamente impossibile, di non smarrire mai nulla del proprio vissuto. Verso la fine, i quattro protagonisti esprimono il desiderio di fare un matrimonio poligamico e inter-temporale, allargato poi a tutti gli amori passeggeri di Maria. Si dà piena evidenza insomma alla fatica delle scelte, e al loro inevitabile tramutarsi, prima o poi in un punto della propria vita, in rimpianti, rabbie e riflessioni. Sarebbe tutto più facile se la vita ci permettesse di abolire il tempo, stringendo in un unico abbraccio le perdite di vita frutto di inevitabili scelte. L’abbraccio ecumenico di un matrimonio che sposi tutti i protagonisti della propria esistenza e le loro cangianti immagini nel tempo sembra contenere il senso profondo del film di Honoré, un malinconico inno innalzato alla dolorosa impossibilità di non compiere alcuna rinuncia lungo il corso dei propri anni e di rifiutare il divenire dell’esistenza con i suoi inevitabili mutamenti…

L’hotel degli amori smarriti inizia con un pedinamento per le strade di Parigi che sembra un’altra dichiarazione d’amore di Christophe Honoré a Chiara Mastroianni. È la stessa immagine con cui il film si chiuderà, con un fermo immagine di lei che cammina su un marciapiede dopo aver salutato Richard, il marito con cui è in crisi. Maria (Mastroianni) lo tradisce con ragazzi più giovani. Lui una sera lo scopre e si va alla resa dei conti. “Siamo sposati da 20 anni è impossibile rimanere sessualmente fedeli” dice lei. Lui è deluso, forse ancora innamorato. Si chiude in camera. Maria rimane a guardare fuori dalla finestra, poi improvvisamente si illumina. Abbandona la casa e prende una stanza nell’hotel di fronte. È la numero 212.
È la stanza della magia, dei ricordi, del tempo. Incontra Richard più giovane. “Eri innamorata di me quando avevo vent’anni”. Lui è bello e la desidera ancora. Poi arriva la maestra di musica di Richard, che ha lo stesso aspetto di quando lui se ne innamorò a 15 anni. Le coppie si incrociano e anche le età della vita. Il giovane Richard è con Maria, la pianista è con Richard adulto. In una sola notte ognuno prova a ridarsi una seconda possibilità con l’altro: l’attrazione sessuale per la giovinezza, la nascita di un figlio, la vita da single. E tutti incontrano il proprio alter-ego tranne Maria, che rimane magnificamente sospesa nelle sue contraddizioni e imprevedibilità, perfetta incarnazione del caos e della promiscuità che spesso anima il cinema di Honorè….

L'hotel degli amori smarriti è brioso e spumeggiante senza cercare di essere simpatico a tutti i costi, proprio come la sua protagonista, e la loquacità imperturbabile dei suoi personaggi è svolta con molta disinvoltura in un solco inusuale fra il filosofico, l'ironico e il surreale.
Richard attribuisce l'infedeltà di Maria all'essere diventata cinica, utilitarista, una che non pensa più che 2+2 possa fare 5 come quando si erano conosciuti, Maria dal suo canto pensa che gli altri uomini le siano sempre piaciuti punto e basta, e in ogni caso non si capacita del fatto che Richard abbia smesso di suonare il piano, si sia messo a chiamare gli amici “mister” e addirittura ora ammiri il “modello tedesco”. Tutto viene messo sul piatto per cercare di sciogliere il rompicapo sentimentale: chi ha ucciso l'amore appassionato, lei, lui, entrambi, o la consunzione naturale delle cose?
La domanda non riceve risposta, ma viene esplorata da ogni punto di vista possibile, non ultimo quello di una manifestazione della volontà di Maria personificata in un simil Charles Aznavour in giacca di leopardo. Honoré parla del serio pescando da tutti gli anfratti del faceto, utilizzando in primis l'ironia, a partire già dal titolo originale alla pellicola, quella “stanza 212” il cui numero si riferisce anche al codice civile francese nella parte relativa agli obblighi coniugali, ma anche un certo grado di bizzarria a volte straniante (il bambino e il manichino) a volte poetica (le foglie d'autunno sul letto), e un gusto dichiarato per la citazione scoperta (il ristorante Rosebud come lo slittino di Quarto potere, la neve che, appena scoperto il tradimento, copre tutto come ne I morti di James Joyce).
Honoré si bea del suo divertimento e gioca godardianamente con l'ammissione dell'artificio: gli scenari non nascondono il posticcio, Maria e Richard dominano come figure giganti sul plastico dell'ambientazione, il sonoro si distacca inopinatamente dal visivo. Per interpretare una coppia in crisi, sceglie la sua attrice favorita Chiara Mastroianni e il di lei ex marito nella realtà Benjamin Biolay, esattamente come in Les bien-aimés aveva coinvolto la sua vera madre Catherine Deneuve per rappresentare un rapporto genitore-figlia. Si diverte a ribaltare le convenzioni sentimentali, sessuali e di genere non tanto a fini politici quanto d'effetto, nel solco peraltro di tanta commedia sentimentale francese degli ultimi decenni. Ne esce un divertissement intelligente e spiritoso, e scusate se è poco.

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