la storia, gli attori diretti benissimo, il suo essere un film reale/surreale, senza effetti speciali, è proprio quello che si vede sullo schermo.
Chiara Mastroianni (vincitrice di un premio a Cannes) è davvero brava, sempre più somigliante al padre.
di cosa parla il film lo vedrai, sappi che un po' (molto o poco, dipende) riguarda tutti noi, nessuno si senta escluso.
buona visione - Ismaele
…Tra situazioni anche divertenti tutte giocate sul filo del
paradosso temporale e memoriale, L’hotel degli amori smarriti conduce in realtà
un discorso nient’affatto banale sulla fatica del sacrificio e delle rinunce, e
sul desiderio universale, più o meno sottaciuto e disperatamente impossibile,
di non smarrire mai nulla del proprio vissuto. Verso la fine, i quattro protagonisti
esprimono il desiderio di fare un matrimonio poligamico e inter-temporale,
allargato poi a tutti gli amori passeggeri di Maria. Si dà piena evidenza
insomma alla fatica delle scelte, e al loro inevitabile tramutarsi, prima o poi
in un punto della propria vita, in rimpianti, rabbie e riflessioni. Sarebbe
tutto più facile se la vita ci permettesse di abolire il tempo, stringendo in
un unico abbraccio le perdite di vita frutto di inevitabili scelte. L’abbraccio
ecumenico di un matrimonio che sposi tutti i protagonisti della propria
esistenza e le loro cangianti immagini nel tempo sembra contenere il senso
profondo del film di Honoré, un malinconico inno innalzato alla dolorosa
impossibilità di non compiere alcuna rinuncia lungo il corso dei propri anni e
di rifiutare il divenire dell’esistenza con i suoi inevitabili mutamenti…
L’hotel degli amori smarriti inizia con un pedinamento per le strade di Parigi
che sembra un’altra dichiarazione d’amore di Christophe Honoré a Chiara
Mastroianni. È la stessa immagine con cui il film si chiuderà, con un fermo
immagine di lei che cammina su un marciapiede dopo aver salutato Richard, il
marito con cui è in crisi. Maria (Mastroianni) lo tradisce con ragazzi più
giovani. Lui una sera lo scopre e si va alla resa dei conti. “Siamo sposati da
20 anni è impossibile rimanere sessualmente fedeli” dice lei. Lui è deluso,
forse ancora innamorato. Si chiude in camera. Maria rimane a guardare fuori
dalla finestra, poi improvvisamente si illumina. Abbandona la casa e prende una
stanza nell’hotel di fronte. È la numero 212.
È la stanza della magia, dei ricordi, del
tempo. Incontra Richard più giovane. “Eri innamorata di me quando avevo
vent’anni”. Lui è bello e la desidera ancora. Poi arriva la maestra di musica
di Richard, che ha lo stesso aspetto di quando lui se ne innamorò a 15 anni. Le
coppie si incrociano e anche le età della vita. Il giovane Richard è con Maria,
la pianista è con Richard adulto. In una sola notte ognuno prova a ridarsi una
seconda possibilità con l’altro: l’attrazione sessuale per la giovinezza, la
nascita di un figlio, la vita da single. E tutti incontrano il proprio alter-ego
tranne Maria, che rimane magnificamente sospesa nelle sue contraddizioni e
imprevedibilità, perfetta incarnazione del caos e della promiscuità che spesso
anima il cinema di Honorè….
…L'hotel degli amori
smarriti è brioso e spumeggiante
senza cercare di essere simpatico a tutti i costi, proprio come la sua
protagonista, e la loquacità imperturbabile dei suoi personaggi è svolta con
molta disinvoltura in un solco inusuale fra il filosofico, l'ironico e il
surreale.
Richard attribuisce l'infedeltà di Maria
all'essere diventata cinica, utilitarista, una che non pensa più che 2+2 possa
fare 5 come quando si erano conosciuti, Maria dal suo canto pensa che gli altri
uomini le siano sempre piaciuti punto e basta, e in ogni caso non si capacita
del fatto che Richard abbia smesso di suonare il piano, si sia messo a chiamare
gli amici “mister” e addirittura ora ammiri il “modello tedesco”. Tutto viene
messo sul piatto per cercare di sciogliere il rompicapo sentimentale: chi ha
ucciso l'amore appassionato, lei, lui, entrambi, o la consunzione naturale
delle cose?
La domanda non riceve risposta, ma viene
esplorata da ogni punto di vista possibile, non ultimo quello di una
manifestazione della volontà di Maria personificata in un simil Charles
Aznavour in giacca di leopardo. Honoré parla del serio pescando da tutti gli
anfratti del faceto, utilizzando in primis l'ironia, a partire già dal titolo
originale alla pellicola, quella “stanza 212” il cui numero si riferisce anche
al codice civile francese nella parte relativa agli obblighi coniugali, ma
anche un certo grado di bizzarria a volte straniante (il bambino e il
manichino) a volte poetica (le foglie d'autunno sul letto), e un gusto
dichiarato per la citazione scoperta (il ristorante Rosebud come lo slittino di Quarto potere, la
neve che, appena scoperto il tradimento, copre tutto come ne I morti di
James Joyce).
Honoré si bea del suo divertimento e gioca
godardianamente con l'ammissione dell'artificio: gli scenari non nascondono il
posticcio, Maria e Richard dominano come figure giganti sul plastico
dell'ambientazione, il sonoro si distacca inopinatamente dal visivo. Per
interpretare una coppia in crisi, sceglie la sua attrice favorita Chiara
Mastroianni e il di lei ex marito nella realtà Benjamin Biolay, esattamente
come in Les bien-aimés aveva coinvolto la sua vera madre
Catherine Deneuve per rappresentare un rapporto genitore-figlia. Si diverte a
ribaltare le convenzioni sentimentali, sessuali e di genere non tanto a fini
politici quanto d'effetto, nel solco peraltro di tanta commedia sentimentale
francese degli ultimi decenni. Ne esce un divertissement intelligente e spiritoso, e
scusate se è poco.
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