opera prima di Mohamed Diab, regista egiziano davvero bravo.
la storia è quella di una donna (sostenuta da altre due) che si stanca di essere molestata e toccata in autobus, e non solo, e si difende come può.
ottimi attrici e attori per un film "rivoluzionario" nell'Egitto maschilista.
cercatelo, sarà una bella sorpresa.
buona (difensiva e femminista) visione - Ismaele
… Un film
immerso nella realtà del proprio paese, il racconto di un fenomeno sociale
assai diffuso, quello delle molestie sessuali, ma troppo spesso culturalmente
“soffocato”, reso “invisibile” dalle stesse vittime, un tabù (basti pensare che
per il regista è stato molto difficile trovare attrici pronte a interpretare
quei ruoli), qualcosa tanto presente nella vita di molte donne egiziane quanto
non conosciuta o non percepita spesso nella sua reale portata, sebbene negli
ultimi anni qualche passo in avanti ci sia stato. E un merito oggettivo, in
questo senso, il film ce l’ha, perché è riuscito senz’altro a portare
l’attenzione sul tema in patria, ad aprire varchi di discussione; del resto, se
nelle figure di Fayza e Seba – come racconta il regista – confluiscono
esperienze e caratteristiche di donne che ha incontrato, che hanno avuto il
coraggio di raccontarsi a lui, la vicenda narrativa del personaggio di Nelly
rimanda in maniera più diretta a un caso di cronaca di valore politico e storico di
certo rilevante: il caso, cioè, di Noha Roshdy, la prima donna egiziana ad aver
trascinato in tribunale il suo molestatore, poi condannato a tre anni di
reclusione. La prima donna in Egitto, una sentenza del 2008, nulla di simile
prima di allora, tutto questo ha catturato lo stupore e la curiosità di Diab, è
stata la base fondamentale del film che sarebbe venuto.
Ma Cairo
678 pare custodire e anticipare, in effetti, anche certi umori
sotterranei che quelle rivolte nelle strade contro il potere politico del paese
avrebbero poi in qualche modo accolto, messo in circolo. Sotto il profilo della
sua consistenza formale, invece, quest’opera si muove tra sprazzi quasi
documentaristici, movimenti rapidi, nervosi e strutture e incroci che guardano
al modello Arriaga-Iñárritu. Diab disegna bene psicologie e ferite, crisi e
desideri di rivalsa, ma certi tentativi di entrare più in profondità sanno a
volte di drammaturgia aggiuntiva, non mancano dunque sottolineature eccessive,
ridondanti, momenti che se non vanno a scapito della tenuta per così dire
ritmica, emotiva, del film, quantomeno indeboliscono la sua sostanza narrativa,
la sua forza cinematografica, ed è un peccato perché, più che apparire come
effettismi, sono elementi che scaturiscono da una scrittura non pienamente
riuscita. Uomo e Donna qui sono poli, ma il regista – e in questo riesce molto
bene – non crea dicotomie assolute, l’approccio è quello di chi vuole
comprendere, imparare, scoprire, e in particolar modo il
personaggio del poliziotto (Maged El Kedwany) si rivela, da questo punto di
vista, scelta molto interessante, figura che conferisce maggiori complessità e
sfumature all’insieme. C’è, insomma, del cinema nel Diab regista, ma deve
“liberarsi” anche lui come Nelly.
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