un uomo muore, cadendo da una finestra, se ne accorge il figlio, praticamente cieco, la madre del bambino è la sospettata principale e subirà un processo.
marito e moglie sono due scrittori, lui in crisi creativa, lei baciata dal successo, gelosie, il figlio che ha perso la vista, i due non vanno d'accordo, come capita a molti.
dopo la morte di lui, lei è la colpevole perfetta, in tribunale quasi tutti sono certi della sua condanna, gli avvocati fanno il loro lavoro, più o meno sporco, difficile sentire in tribunale solo parole vere.
tutto sembra contro Sandra, ma c'è il figlio, non vede, ma sente, capisce e parla.
film abbastanza claustrofobico, ma non deluderà nessuno, promesso.
buona (misteriosa) visione - Ismaele
…due superbi attori: Swann Arlaud nel ruolo
dell'avvocato Renzi e soprattutto Sandra Huller in quello della protagonista
sua omonima (il che fa venire il sospetto che la parte sia stata scritta su di
lei): la sua risata, allo stesso tempo salvifica e ferina, è al centro di una
caratterizzazione magistrale.
Sandra Voyter non si relaziona alle persone se prima non ne ha individuato
l'archetipo animale, e quale sia l'archetipo di Samuel lo si capirà solo alla
fine. Nel frattempo emergerà tutta la disfunzionalità di una coppia in cui le
rinunce dell'uno in nome dell'altra (e viceversa) sono vissute come imposizioni
mal tollerate, e di un sistema giudiziario che preferisce soffermarsi sul come
che sul perché di certe derive destinate a finire in tragedia.
Trier dirige avvicinandosi e allontanandosi dai
suoi personaggi, talvolta oscurandoli e poi riportandoli in piena luce, altre
volte dissociando l'immagine dal suono, senza abbandonarsi a inutili
virtuosismi ma mettendosi a servizio di una storia di doppie verità e di
invisibilità a se stessi, senza scene madri ma attraversata da mille piccoli
scollinamenti morali. Anche i "trending topic" della contemporaneità
- la fluidità di genere, le pari (o dispari) opportunità - sono gestiti con
parsimonia, e spesso indicati più come manipolazioni retoriche che come
circostanze rilevanti.
Perché la verità, suggerisce Triet, è scomoda e sottile, crea dissociazione e
disagio. E la vita secondo la regista è "un caos in cui tutti siamo
persi", dove la compulsione a giudicare è superiore alla disponibilità a
comprendere, e tutti si sentono in credito: di attenzione, di riconoscimento, e
soprattutto di amore privo di condizioni e giudizi.
Si tratta di mettere in luce in primis gli automatismi, gli a priori, gli storytelling già dati, e di certificare la fallacia di questi
tendenziosi schemi interpretativi del mondo (anche patriarcali, certo, ma non è
mai il punctum del film, solo un elemento ulteriore, poi strumento di
polemica per giornalisti cretini) di fronte al quotidiano di una coppia e di
una famiglia, all’enigma impenetrabile del loro fragile e inspiegabile
equilibrio. Come possono le parole dette a un terapista essere considerate
prove e non all’opposto sfoghi irosi, autofiction catartiche e rincuoranti?
Come è possibile cercare tracce di vero in un romanzo ispirato a fatti reali?
Come spiegare che un rapporto extraconiugale non è sempre un tradimento? Come dimostrare
che essere bisessuale non significa volersi accoppiare con ogni forma di vita?
Ma soprattutto: come raccontare quella serie di spinte e controspinte
silenziose, compromessi e sacrifici non detti, spazi concessi, perduti e
taciuti che tengono insieme due persone, i loro dolori, i loro desideri? Non è
da poco che il film si risolva con la deposizione del figlio, con il suo
doppiare (e dunque falsificare?) il ricordo delle parole del padre: anche in
questa scelta Anatomia di una caduta si rivela per quello che è, ovvero un grande film su come
funziona l’amore, al netto di ogni opinione, oltre ogni possibile verità.
…ci si ritrova in mezzo ad un’indagine processuale che è un
capolavoro per capire una verità fondamentale: stare alla larga dai tribunali.
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