una storia senza tempo, di bambini soli, senza genitori, affidati ai nonni, e della crescita di un'amicizia che finisce, in un mondo nel quale le sirene della modernità incantano ormai quasi tutti.
Tulga e Tuntuulei sono i protagonisti, un gigante e un bambino cresciuto solo, in un mondo che non riesce a contenere e soddisfare i bisogni di un bambino come tutti.
non c'è bisogno di troppe parole, spesso ingannevoli e offensive, per conoscersi e volersi bene.
Tuntuulei conosce tutto ciò che serve, conosce le persone (infatti non si fida) e ama quello che amano i bambini come lui, i cavalli e le gare di lotta per bambini.un film d'altri tempi, che cercheremo di meritarci.
"naturalmente" il film è in poche sale, nessuno urla, non ci sono morti ammazzati, e neanche sesso.
buona (senza telefonino) visione - Ismaele
Il cinema dei buoni e sinceri sentimenti esiste
e se esiste si trova da quelle parti nascoste agli occhi del mondo dove non
arriva il segnale della tecnologia telefonica e dove ancora si falcia a mano
senza l’aiuto di attrezzature meccaniche. L’ultima luna di settembre di
Amarsalkhan Baljinnyam, qui all’esordio nella regia dopo i suoi trascorsi
d’attore e produttore, è ambientato nella provincia più rurale della Mongolia e
narra del ritorno a casa di Tulga, un giovane che aveva provato a trasferirsi
dalla campagna alla città per trovare lavoro. Il suo improvviso rientro è
dovuto alla malattia del patrigno. Lo assiste fino alla fine e poi si dedica a
rimettere in ordine i campi. Nel frattempo dopo un primo scontro che prelude ad
un profondo rapporto, stringe amicizia con Tuntuuelei un ragazzino che sa il
fatto suo, che governa un gregge e gli risolve molti problemi. Lui sta con i
nonni e sente forte il bisogno di un padre e se Tuntuuelei ha eletto Tulga a suo
genitore elettivo, questi non può assolvere al compito.
Un racconto semplice e naturale che arriva da un
oriente che nonostante tutto continua ad essere sconosciuto, da una regione tra
le geograficamente più vaste e in modo direttamente proporzionale, altrettanto
misteriose…
…Amarsalkhan
Baljinnyam firma un film ben fatto. Pienamente immerso nella
vastità delle colline mongole, ne conserva intatto il fascino e il respiro,
sfruttandone la cassa di risonanza per trattare il rapporto genitore-figlio
all’insegna della mancanza. Il protagonista ha perso il padre, il piccolo co-protagonista
mai l’ha avuto, e il primo potrebbe essere così padre per il secondo, ma ecco
che il discorso s’intreccia a quello della maturità e dell’infanzia: Tulga è
pronto a diventare grande? Tuntuulei sarà invece capace di accettare il suo
essere bambino? I ruoli risultano mescolati come se le rispettive assenze non
permettessero loro di avere un modello a cui poter rapportare per trovare la
loro collocazione nella vita.
Il film è però
capace di momenti di leggerezza. A parte le parentesi di spensieratezza tra i
due protagonisti – quello della pesca, per fotografia, eccelle per delicatezza
come le riunioni attorno al fuoco, per soundtrack, spiccano per calore -, sono
le figure di contorno che popolano le yurte a far sorridere: i due ubriachi, il
nonno che si fa girare le sigarette dal nipote, il direttore della fienagione
etc etc… attorno ai due protagonisti si crea un universo colorato nel quale il
rapporto tra i due non viene mai sporcato dal melodramma o dallo scontato, le
reazioni non vengono filtrate né approssimate, ma l’abbraccio finale – che sia
di addio o di riunione – è quanto più di vero ci possa essere. Perché
d’altronde non è sempre vero che gli uomini non piangono
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