un film che non lascia scampo, il povero maestro di città non risce a fuggire dall'outback australiano.e come ne "La leggenda del santo bevitore" una potente e implacabile calamita gli nega la salvezza.
i due protagonisti Gary Bond e Donald Pleasence sono eccezionali.
il film è un gioiellino da (ri)scoprire, promesso.
buona (prigioniera) visione - Ismaele
Ozploitation è una parola magica. Il cinema di genere australiano ha
sempre mantenuto delle caratteristiche ben precise, il più delle volte legate
ai netti contrasti del territorio: da un lato le città e le sviluppate zone
costiere del sud, dall’altro l’outback ovvero
le aree semidesertiche dell’interno, queste ultime viste come controparte
negativa, pericolosa e retrograda. Proprio “Outback” è il
titolo alternativo con il quale fu rilasciato “Wake In Fright”, pietra miliare
del cinema aussie e documento
imprescindibile per afferrare a pieno i concetti di cui sopra (civilizzazione
vs abbrutimento), una pellicola per anni scomparsa dalla circolazione e solo
nel 2009 restaurata per poi essere distribuita sia in dvd che in blu-ray.
John Grant è un maestro che lavora nella remota
località di Tiboonda. Durante un viaggio verso Sydney (qui vive la sua
ragazza), è costretto a fermarsi in una piccola cittadina denominata dagli
abitanti Yabba, dove viene (suo malgrado) inoltrato nelle usanze tipiche degli
uomini di quel luogo: gioco d’azzardo, alcool a fiumi e caccia al canguro, una
vita primordiale nella quale non c’è posto per le donne, ma solo per una sporca
routine fatta di autodistruzione. Il protagonista è costretto ad adeguarsi alla
comunità trasformandosi in una bestia tra le bestie, in un paese nel quale
l’acqua serve solo per lavarsi e dove non ci si scandalizza per uno stupro, ma
solo per il rifiuto di un boccale di birra (“Have a drink, mate? Have a
fight, mate? Have a taste of dust and sweat, mate? There’s nothing else out
here”).
Il film fu vietato ai minori di diciotto anni
per una scena controversa, quella della caccia al canguro: immagini vere,
catturate durante la notte e pescate da un filmato realizzato da bracconieri
professionisti. Ted Kotcheff (vegetariano dichiarato) ha sempre difeso questa
sequenza di hunting footage dagli
attacchi della censura, considerandola un atto di denuncia per la salvaguardia
di questi marsupiali nel continente. Ma nel 2009, quando il film fu proiettato
a Cannes, durante la scena incriminata dodici persone abbandonarono la sala.
Il realismo che si respira in “Wake In Fright” è
impressionante, la fotografia è intrisa di una luce accecante, un giallo
sudicio che avvolge lo spettatore in un lurido abbraccio di polvere e sudore.
Però a funzionare è soprattutto il comparto attoriale, con Gary Bond e Donald
Pleasence veri mattatori di un’opera divenuta di culto non solo in terra
australiana (tra i suoi estimatori, ricordiamo Martin Scorsese e Nick Cave). Un
film crudele (basato su un libro di Kenneth Cook del 1961), in un luogo dove le
regole del quieto vivere borghese sono completamente ribaltate, un punto di
partenza cruciale per il cinema ozploitation e
per tutte quelle pellicole che seguiranno questi passi nella sabbia, in un
mondo violento e senza umanità.
Ted Kotcheff, undici anni prima di dirigere
“Rambo”, è entrato nella storia dalla porta principale, ma alcuni non lo sanno.
Un ingresso trionfale che ha lasciato dei solchi profondi nel lungo cammino del
cinema di genere australiano.
…Fatta la necessaria tara a certe convenzioni estetiche e di
linguaggio da film con quarant'anni sulle spalle, Wake in Fright è
un pugno nello stomaco ancora oggi, per il modo in cui alza continuamente la
posta e per singole scene fortissime, tra le quali spicca quella già citata in
cui viene mostrata una brutale caccia al canguro, ripresa seguendo dei veri
cacciatori scatenati nella notte. C'è anche, va detto, una vena satirica che
scorre lungo tutto il film e strappa più di una risata, ma che non riesce mai a
levare di dosso una profonda sensazione di disagio. Non c'è da stupirsi se il
popolo ritratto dal film si è preso male, ma la verità è che, purtroppo, nulla
di quel che viene mostrato, al di là di alcuni atteggiamenti esasperati per
amor d'effetto inquietante, m'è parso poi così improbabile. Diretto e
interpretato benissimo, incredibilmente evocativo nell'utilizzo che fa dei suoi
paesaggi, Wake in Fright mi ha un po' ricordato The Wicker Man, per il modo in cui
racconta il viaggio all'inferno di un uomo assorbito dalle assurdità della
profonda provincia. La differenza sta nel fatto che nel film di Ted Kotcheff
non ci sono strane cospirazioni e culti pagani, c'è solo la brutale normalità
dell'essere umano abbandonato a se stesso. E forse per questo fa molta più
paura.
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